Antonio De Lisa – Viaggio agli Iperborei
Sono in treno, in partenza da Roma. Sto tornando a casa dalla Norvegia e sto raccogliendo e ordinando i miei appunti di viaggio. Davanti a me due passeggeri. Il primo è alto (l’ho visto prima che si sedesse), ha occhiali scuri Rayban, scarpe Prada a mocassino, pantaloni neri, maglietta nera con su una camicia elegante, braccialetto su posto destro, maneggia un IPhone bianco. L’altro è un nero, amche lui veste elegante, ma un po’ meno del primo, anche lui con l’Iphone. Parlano inglese con accento americano. Una coppia di passeggeri interessante.
E’ la voglia di nord che spinge a cammini artici, paesaggi di tundra, fiordi e falesie. Capo Nord nell’ipotesi di questo viaggio è come una bandierina, un punto di arrivo, un segnale di riferimento nel cuore di una geografia prima fanstastica e poi terrena: la Norvegia, le Isole Lafoten, Tromsø, Finmark.
Oslo come città ha una superficie superiore a quella di Londra, ma conta solo 600 mila abitanti. Come va giudicata una città così? C’è più verde che aree edificate e il verde poi è un verde carico, non uno smorto verdicciolo. Adesso sono le 22.25 e c’è ancora molta luce. Il tramonto ha un andamento rallentato, indolente.
La prima passeggiata è sui pontili di Aker Brygge. L’area del porto situata sul lato di Aker Brygge in estate diventa una zona molto vivace. In origine la zona altro non era che un vecchio cantiere navale, poi rigenerato in una zona emergente con tanto di pub all’aperto, ristoranti, negozi ed appartamenti di lusso. I ristoranti di Aker Brygge sono i più celebrati in città, si può mangiare in 35 luoghi diversi e in altrettante cucine diverse. Ho il sospetto che i norvegesi abbiano la pressione più alta della media. I cibi sono salatissimi. Fanno bere in continuazione. Fortuna che l’acqua è tra le più buone del mondo. E’ incredibile come il petrolio possa cambiare un paese. E’ il caso della Norvegia. E’ diventata ricchissima. Oslo è tutto un cantiere. E’ uscita dal letargo nordico e sta acquisendo un look molto english. Locali e localini, giovani molto trendy.
La prima cosa che colpisce è la luce, ma suoni e rumori vengono subito dopo. La capitale della Norvegia sembra essere abitata da indivdui silenziosi o di poche parole. Il traffico diradato contribuisce a un panorama sonoro dalle tinte tenui. Anche il sommesso vociare dei pub (numerosi, a dire il vero, specie quelli scozzesi) non riga di schiamazzi la quiete urbana. Si sente solo il fruscio di bus e tram incessanti, puntualissimi e semivuoti.
Tutti qui parlano delle distanze norvegesi. A sentir loro quello di distanza qui assume connotati aleatori e approssimativi: “Vai 700 chilometri a nord…”. Per loro 700 chilometri è la distanza minima tra due città, specie nella Norvegia settentrionale. Hanno un concetto della cartina geografica come di un canovaccio utile ma inaffidabile… “Prova a salire più su…” . Domani appunto proverò a salire più su, ma prima c’è Oslo a cui dare un’occhiata, con il suo nuovo edificio dell’Opera, con il museo di arte contemporanea disegnato e realizzato da Renzo Piano… dicono che la città stia cambiando, che la Norvegia non sarà solo un posto dove venire a sciare.
La mattinata successiva è dedicata alla scena artistica e musicale. Osservo l’incredibile battage pubblicitario per l’ultimo libro di Jo Nesbø, l’autore norvegese di punta in questo momento. Si intitola “Politi”, che significa “Polizia”. Questo paese ha un indice di lettori altissimo e si vede dal numero di librerie che si incontrano per strada.
La seconda cosa che mi ha colpito a Oslo è la grande e straordinaria mostra di tutte le opere di Edvard Munch per il 150esimo anniversario della nascita. Visitandola si scoprono varie cose sull’arte del pittore norvegese. In particolare l’uso dei bianchi. Conoscevo la tematica delle ombre che si vedono dietro i protagonisti dei suoi quadri, ombre come ali della morte. Non conoscevo la tecnica dei bianchi quasi puri che usa spessissimo. Non è il caso di parlarne adesso. Ma è un tema interessante.
La scena rock norvegese è vibrante e attiva, con molti gruppi dal sound potente, come Kaizers Orchestra, Big Bang, Madrugada, Amulet, Serena Maneesh, Motorpsycho, Animal Alpha e JR Ewing, ciascuno dei quali vanta un fedele seguito in Norvegia e accresce il numero dei propri fan all’estero ogni volta che va in tour. Artisti e gruppi con un linguaggio musicale più sottile sono St. Thomas, Thomas Dybdahl e Ane Brun, oltre a band come Washington, Minor Majority, Salvatore e The White Birch.
La scena elettronica è dominata dal gruppo norvegese attualmente più noto all’estero, i Röyksopp. Tuttavia, il duo di Tromsø e Bergen non è il solo a produrre musica elettronica armoniosa, calda e melodica. Artisti come Jaga Jazzist, Xploding Plastix, Ralph Myerz and the Jack Herren Band, Lindstrøm and Prins Thomas, Datarock, Flunk, Bermuda Triangle, Supersilent, Frost, Sternklang e Bjørn Torske sono estremamente produttivi sia negli studi di registrazione che sulle scene.
L’hip-hop norvegese è rappresentato da artisti di lingua norvegese come Tungtvann, Klovner i Kamp e Karpe Diem, e comprende anche giovani artisti emergenti influenzati dalla scena della East Coast americana, come Equicez, Paperboys, Warlocks e Tee Productions.
Il metal è tradizionalmente uno dei generi più esportati della scena musicale norvegese. Gruppi come Satyricon, Red Harvest, Dimmu Borgir, Enslaved e Mayhem vantano un grande e fedele pubblico di fan in Norvegia e all’estero.
Finalmente è sceso il buio. Ho qualche remora ancestrale a mettermi a letto con la luce del sole; sembra di profanare i confini rituali di divinità apotropaiche. Non ci si mette a letto con la luce del sole. Ma qualcuno mi ha spiegato che non è raro trovare gente che lo fa abitualmente. Evidentemete nel profondo nord il rapporto con il sole ha connotati diversi dai nostri, o perlomeno dai miei. Per me il sole è qualcosa di indispensabile ma da cui in un certo senso difendersi, a causa della sua potenza incidente. Qui è una specie di lucernario, che si pavoneggia all’orizzonte, vanitosissimo e innocuo. Tinge i capelli delle bellissime ragazze norvegesi, ma non ferisce nel profondo.
Il viaggiatore che partendo dalle zone temperate dell’emisfero boreale si muova verso nord noterà ben presto un singolare fenomeno: durante l’autunno e l’inverno troverà, a latitudini crescenti, tempi di illuminazione diurna via via sempre più brevi, mentre durante la primavera o l’estate essi saranno sempre più lunghi. Al di la di una certa latitudine, l’accorciamento del dì (è questo il termine con cui si indica il periodo di luce di una giornata) invernali e, rispettivamente, l’allungamento de quelli estivi, giungerà alle estreme conseguenze e il Sole in inverno non sorgerà (o in estate non tramonterà) per almeno due giornate consecutive. La linea lungo la quale incomincia a verificarsi questo fenomeno si trova a 66°33′ di latitudine nord e viene chiamata Circolo Polare Artico.
Capo Nord si trova a poco più di 500 chilometri oltre il circolo polare artico, e quindi dall’11 maggio al 10 agosto è possibile ammirare il fenomeno del sole di mezzanotte; al contrario, nel periodo invernale, pur non sorgendo mai il sole al di sopra dell’orizzonte per circa due mesi e mezzo, il promontorio è estraneo al fenomeno della cosiddetta notte polare, in quanto il crepuscolo impedisce che si verifichi il buio totale. Inoltre, sempre nei mesi invernali, a Capo Nord – al pari di tutte le zone situate tra i poli magnetici e 10°-20° di distanza dai poli magnetici stessi – è possibile ammirare anche il fenomeno dell’aurora boreale.
Quando le nuvole coprono l’oceano con un tappeto colorato e il sole di mezzanotte è al suo punto più basso, questo diventa uno dei posti più speciali sulla terra. Non si può andare più a nord nell’Europa continentale: lì saremo alla fine del mondo. Ho già assistito a una fine, nell’emisfero australe. Questo è il suo rovescio boreale.
Ho dovuto lottare con i demoni. Ho dovuto contrastare la tentazione. Ho soffocato l’impeto. La tentazione di andare in Egitto, in questi giorni di tensione e trasformazione. Troppe le incognite. Non si scherza con i colpi di stato. Oggi è così, domani potrebbe essere in modo molto diverso. Ho fatto tacere i refoli della mia anima storico-giornalistica. Ho deciso di seguire una strada che stavo pregustando da tempo.
Viaggerò verso il nord con lo sguardo rivolto a sud? Al delta del Nilo? Alla sorpresa che viene dal deserto? Come un amante che sogna da lontano la sua inaccessibile amata? Come un cavaliere che si allontana per non sentire il tumulto della storia?
Nordkapp, come viene chiamato in Norvegia il Capo Nord, estremo lembo di terra ferma dell’emisfero boreale, è contemporaneamente fascino della distanza e altrove geografico. In genere tutta la Norvegia offre un paesaggio naturalistico di assoluta unicità. Ma c’è anche un altro percorso da seguire, quello della mitologia nordica: qui tocca entrare in sotterranei di cui non si intravede l’uscita.
Pitea di Marsiglia, greco del IV secolo a.C., è stato il primo viaggiatore, di cui si abbia notizia, a circumnavigare l’Europa verso settentrione, la Gran Bretagna, il Baltico, la Scandinavia, fino al confine boreale del mondo, la leggendaria «ultima Thule». Del racconto del viaggio, Sull’Oceano, per tutta l’antichità unico resoconto geografico su quei luoghi, restarono solo pochi frammenti, notizie sparse in testi diversi. Giovanni Maria Rossi in Finis terrae, pubblicato da Sellerio, li ha ricuciti, colmandone le lacune, a ricrearne, se non la filosofia del testo, lo spirito. «Permane, in questa avventura dell’uomo il carattere forte di un’esperienza primigenia, irripetibile, che trasmette le vibrazioni di una dilatazione mentale dello spazio fisico-geografico colta nell’attimo del suo divenire. Il mito si sfalda, la Thule diventa decifrabile, oltre le nebbie e il ghiaccio».
Pitea non fu il primo a intraprendere una navigazione dei territori del Mare del Nord e intorno la Gran Bretagna. Verso il 550 a.C. lo aveva preceduto il cartaginese Imilcone. I commerci tra i Galli e la Gran Bretagna erano già molto fiorenti; pescatori e altri naviganti viaggiarono fino alle Orcadi, Norvegia o le Shetland. Il romano Rufio Festo Avieno, che visse nel quarto secolo, menziona un precedente viaggio greco, stimandolo intorno al VI secolo a.C.
Pitea visitò un’isola distante sei giorni di navigazione dal nord della Gran Bretagna, chiamata Thule. Siccome il mare risultava ghiacciato, fatto ignoto fino allora, Pitea lo descrisse come “Il mare di gelatina”. Si ritiene che Thule possa essere riferibile all’Islanda o a zone costiere della Norvegia, le Isole Shetland o le Isole Fær Øer. Pitea afferma che Thule era un paese agricolo che produceva miele. I suoi abitanti mangiavano frutti e bevevano latte, e fabbricavano una bevanda fatta di grano e miele. A differenza delle popolazioni dell’Europa meridionale, loro avevano granai all’interno dei quali effettuavano la trebbiatura dei cereali.
Disse che gli fu mostrato il luogo dove il Sole andasse a dormire e annotò che la notte a Thule durava solamente due o tre ore. Con un giorno ulteriore di navigazione a nord, egli sostenne di aver visto il mare congelato (“Il mare di gelatina”). Così come Strabone scrisse (e citato da Chevallier 1984):
“Pitea parla anche di acque intorno Thule e di quei posti dove la terra, propriamente parlando, non esiste più, e neppure il mare o l’aria, ma un miscuglio di questi elementi, come un “polmone marino”, nel quale si dice che la terra e l’acqua e tutte le cose sono in sospensione come se questo qualcosa fosse un collegamento tra tutti questi elementi, sul quale fosse precluso il cammino o la navigazione”.
Il termine usato per “polmone marino” a dire il vero deve essere inteso come medusa, e gli scienziati moderni ritengono che Pitea qui cercò di descrivere la formazione di isole di ghiaccio all’estremità della calotta polare, dove mare, neve e ghiaccio sono circondate dalla nebbia.
Dopo aver completato la sua esplorazione della Gran Bretagna, Pitea viaggiò fino alle basse coste continentali del mar del Nord. Egli può anche aver visitato un’isola che era fonte dell’ambra. Secondo la Storia Naturale di Plinio il Vecchio:
“Pitea afferma che i Gutoni, una popolazione della Germania, abitasse le coste di un estuario dell’Oceano chiamato Mentonomo, che il loro territorio si estendesse su di una distanza di sei stadi, che a un giorno di navigazione da questo territorio ci fosse l’isola di Abalo, sulle cui coste l’ambra fosse gettata dalle onde infrante, come se fosse una escrescenza del mare in forma concreta; che, inoltre, gli abitanti usassero questa ambra come combustibile e che la vendessero ai loro vicini, i Teutoni”.
L’isola potrebbe essere stata l’Helgoland, la Selandia nel mar Baltico o anche le coste della baia di Danzica, la Sambia o la laguna Curonia, che erano storicamente le più ricche fonti di ambra nell’Europa settentrionale (I Gutoni di Plinio possono essere stati i germanici Goti o i Balti).
Il fascino del racconto di Pitea aveva suggerito già nel II secolo a.C. di inserire l’isola nel quadro di narrazioni fantasiose, come avviene nel romanzo di Antonio Diogene Le incredibili meraviglie al di là di Tule.
Nella Geografia di Claudio Tolomeo Thule è tuttavia un’isola della quale si forniscono le coordinate (latitudine e longitudine) delle estremità settentrionale, meridionale, occidentale e orientale, seppur in modo troppo approssimativo perché si possa darne un’identificazione certa.
L’identificazione della Thule di Pitea e di Tolomeo (non necessariamente coincidenti) è sempre stata problematica e ha dato luogo a diverse ipotesi, anche per la generale inaccuratezza delle coordinate assegnate da Tolomeo a luoghi lontani dall’impero romano.
Vari autori hanno identificato Thule con l’Islanda, le Isole Shetland, le Isole Fær Øer o l’isola di Saaremaa. Attualmente la teoria più accreditata è quella che Pitea avesse dato il nome di Thule a un tratto della costa norvegese.
Nel corso della tarda antichità e nel medioevo il ricordo della lontana Thule ha generato un resistente mito: quello dell’ultima Thule, come fu per la prima volta definita dal poeta latino Virgilio nel senso di estrema, cioè ultima terra conoscibile, e il cui significato nel corso dei secoli trasla fino a indicare tutte le terre “aldilà del mondo conosciuto” , come indica l’origine etrusca della parola “tular “, confine. Il mito, che possiede molte analogie con altri miti, ad esempio con quello dello Shangri-La himalaiano, ha affascinato anche in epoca moderna.
Esso è stato anche alla base della formazione di gruppi occulti come quello tedesco della Società Thule (Thule Gesellschaft) (fondata il 17 agosto 1919) e che identificava in Thule l’origine della saggezza della razza ariana, popolata da giganti con i capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle chiara, che un tempo dominavano il mondo, successivamente perso per aver consumato relazioni sessuali con membri di altre razze, inferiori, subumane e in parte animali.
In effetti, nel mito tuleano di una terra abitata da una razza umana sotto certi aspetti “superiore”, identificata sovente con il popolo degli Iperborei, organizzata in una società pressoché perfetta, si possono facilmente ritrovare alcune delle basi del concetto — accolto e divulgato dal nazismo — di razza ariana, ovvero superiore a qualsiasi altra e dunque inevitabilmente dominante sul mondo.
La letteratura che fiorì in Norvegia dall’età vichinga, cioè circa dal IX al XIV sec., non è separabile da quella delle colonie norvegesi stabilite sulle isole dell’Atlantico settentrionale. Nell’Islanda, anzi, dopo la grande immigrazione dei Norvegesi ribelli all’assolutismo politico di Harald Bellachioma (IX-X sec.), la cultura sopravanzò presto quella della madrepatria, tanto che molti studiosi hanno a lungo chiamato norvegese antico (o islandese antico)la letteratura e insieme la lingua, da un punto di vista filologico più esattamente chiamata oggi norrena. Tale letteratura, oltre a riflettere cultura, storia e società del mondo nordico attraverso più di 500 anni, costituisce una preziosa fonte d’informazione per la conoscenza, nelle forme più antiche, delle leggende (a cominciare dalle nibelungiche), della mitologia e dei modi di vita dei popoli germanici, prima della conversione al cristianesimo. Essa si espresse attraverso forme peculiari come il carme dell’Edda e il carme scaldico in poesia, e la saga in prosa. Forse alcuni carmi eddici furono composti in N., come norvegesi furono gli scaldi più antichi da Bragi Boddason (IX sec.) a Thorbiœrn Hornklofi, da Thjódholfr da Hvin a Øyvindr Skáldaspillir. Comunque la cultura norrena non sopporta moderne circoscrizioni nazionali, che sarebbero piuttosto deformazioni nazionalistiche. Discorso analogo va fatto per i canti popolari o ballate epico-liriche, che sono la novità epica maggiore del tardo Medioevo, cioè a partire dal XIII sec., e fanno parte della tradizione comune scandinava.
Bodø è una città della Norvegia settentrionale dentro il Circolo polare artico. Pensavo facesse più freddo, invece la temperatura è piacevole. C’è solo un po’ di vento. Qui si ha una visione più chiara dei fiordi.
Inutile dire che a questo punto non vedo l’ora di salire verso Nord. Domani sul battello si avrà un’idea più chiara. Fortuna ha voluto che da Oslo in aereo mi sedesse vicino una fanculla di Bodø, che mi ha insegnato i primi rudimenti del norvegese. In questo paese di 5 milioni di abitanti sparsi su una superficie più grande dell’Italia, con una densità di popolazione bassissima, esistono ben due lingue, molto simili, ma si scrivono e si pronunciano in maniera diversa… Ora, dopo la prima lezione, saprei ordinare almeno un caffé in norvegese, ma anche una torta alla vaniglia; mi sono solo dimenticato di chiedere come si ordina un piatto di carne di renna.
Il circolo polare artico è situato lungo il parallelo a 66°33’39” di latitudine nord, e teoricamente il punto più meridionale di latitudine in cui sia possibile vedere il sole di mezzanotte a nord dell’equatore. E’ uno dei cinque principali paralleli indicati sulle carte geografiche, e uno dei due circoli polari.
Il circolo polare artico segna il confine meridionale del giorno al solstizio di giugno e la notte polare al solstizio di dicembre. Dal momento che l’asse della Terra è inclinato rispetto all’eclittica di circa 23 gradi 27 minuti, il sole non tramonta alle alte latitudini in estate. In pratica, siamo di fronte ad un interminabile tramonto. Con il bel tempo, il sole è visibile per un continuo di 24 ore. Nella regione norvegese dello Svalbard, la regione abitata più settentrionale d’Europa, il sole non tramonta dal 19 aprile al 23 agosto. A Capo Nord, conosciuto come il punto più estremo dell’Europa continentale, tale periodo va dal 14 maggio al 29 luglio. Al di là del circolo polare artico, quindi, il sole rimane d’estate sopra l’orizzonte per almeno 24 ore consecutive (sole di mezzanotte). Viceversa, durante l’inverno il sole rimane sotto l’orizzonte per almeno 24 ore consecutive (notte polare).
In realtà, a causa della rifrazione e dello schiacciamento della Terra ai poli, e poiché il Sole appare come un disco e non come un punto, il sole di mezzanotte si può vedere la notte del solstizio di giugno fino ai 50′ (90 km) a sud del circolo polare artico e, al solstizio di dicembre, parte del Sole è visibile fino ai 50′ di latitudine a nord del circolo.
L’aurora polare, spesso denominata aurora boreale o australe a seconda dell’emisfero in cui si verifica, è un fenomeno ottico dell’atmosfera terrestre, caratterizzato principalmente da bande luminose di colore rosso-verde-azzurro, detti archi aurorali. Le aurore possono comunque manifestarsi con un’ampia gamma di forme e colori, rapidamente mutevoli nel tempo e nello spazio.
Il fenomeno è causato dall’interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) di origine solare (vento solare) con la ionosfera terrestre (atmosfera tra i 100 – 500 km). Tali particelle eccitano gli atomi dell’atmosfera che diseccitandosi in seguito emettono luce di varie lunghezze d’onda. A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra, dette ovali aurorali. Le aurore visibili ad occhio nudo sono prodotte dagli elettroni, mentre quelle di protoni possono essere osservate solo con l’ausilio di particolari strumenti, sia da terra sia dallo spazio.
L’aurora polare è visibile, spesso, anche in zone meno vicine ai poli, come la Scozia, o molte zone della penisola scandinava. Le aurore sono più intense e frequenti durante periodi di intensa attività solare, periodi in cui il campo magnetico interplanetario può presentare notevoli variazioni in intensità e direzione, aumentando la possibilità di un accoppiamento (riconnessione magnetica) con il campo magnetico terrestre.
In questo momento mi trovo a Svolvær, su un isoletta dell’arcipelago di Lofoten, a nord-ovest della Norvegia settentrionale. L’albergo è sulle palafitte. Piove da ore e si è alzata una nebbia persistente che oscura il paesaggio. Si sente solo il richiamo dei gabbiani. Vedo passare una famigliola di anatre.
Il paesaggio delle isole Lofoten è veramente bello. In mattinata siamo arrivati a un villaggio che si chiama Å, che in norvegese è l’ultima lettera dell’alfabeto e si pronuncia “O”. L’ultima lettera dell’alfabeto indica che è l’ultimo paese cui si arriva con una strada. Oltre, ci sono solo montagne e mare, e si può andare solo in barca. Da questo punto in poi, la Norvegia, he è già molto bella nella zona dei fiordi, più a sud, diventa strepitosa. Qui si comincia veramente a percepire il clima del Circolo polare artico. Svolvær è frequentata da giovani dediti a sport estremi: arrampicate su rocce di granito a strapiombo sulle acque gelide del mare; tour in bicicletta o in moto (piove spesso e la temperatura è sui 10 gradi); lunghi percorsi in kayak. Questi ragazzi hanno le tende, che punteggiano le anse e il limitare di spiagge che esibiscono un mare color smeraldo da far invidia a quello dei tropici.
L’alimento naturale delle isole Lofoten è stato per secoli il merluzzo. I villaggi sono costellati dai tralicci per l’essiccazione del pesce (il periodo va da febbraio a maggio, dopo no perché se no marcisce). Tutto il baccalà e lo stoccafisso (che sono due cose diverse) che arriva in Italia viene dalle Lofoten. Canzoni e filastrocche popolari hanno per protagonista il re merluzzo. Poi c’è il salmone, molto diverso da quello che conosciamo noi, ma deve essere selvatico, quello di allevamento non è niente di particolare. Infine le aringhe. Chi gradisce queste pietanze, qui è di casa. Pesce e patate, il piatto nazionale, accompagnato da fiumi di birra. La gente è cortesissima, silenziosissima. Nelle Lofoten ci si disintossica, specie se si ama camminare o andare in barca, sia pure sotto la pioggia.
Sono rimasto molto colpito dalla forma delle montagne, a strapiombo sul mare. Alte fino a 1500 metri, emergono dalle acque come mostri preistorici. Molte delle cime sono a forma di dente di pescecane. Non hanno nulla della dolce ondulazione delle montagne intorno a Oslo. E’ un fraseggio di picchi, convessi da un lato, concavi dall’altro. Denti di pescecane, appunto. Descrivono un paesaggio di insenature e valichi; senza foschia si sovrappongono in lontananza come un contrappunto di forme e di curvature.
Dall’albergo vedo che si accende qualche luce nelle case, in realtà non ce ne sarebbe bisogno. La foschia copre tutto il paesaggio ma la luce è piena. Non si sente un solo rumore. In questo momento mi sta passando davanti un battello dalle forme piuttosto strane, forse qualcuno che rientra al porto, che è alla destra dell’albergo. La Norvegia in fondo è un paesaggio d’acqua.
Tranne una grande capanna di una cinquantina di metri e una incisione runica che si trova proprio qui a Svolvær, dei vichinghi, gli antichi abitanti di queste zone, non c’è quasi traccia. La Norvegia ha avuto sempre uno strano destino. Qualcuno dice che sia di queste zone lo spunto dell’antica epica norrena, che però è fiorita in Islanda; alcuni storici affermano che i vichinghi o normanni (Nord Mann=uomini del nord) hanno lasciato più tracce sul continente che nella penisola scandinava. Sembra sempre che quello che è spuntato qui, sia poi fiorito altrove. Come se lo spirito del luogo non tollerasse memoria, che si perde in una liquidità senza confini o dai confini incerti. La Norvegia è acqua e roccia, neve e boschi. Lo spirito si fa volatile in queste condizioni, ha l’umbratile ritrosia del contatto diretto con una natura ai limiti della vivibilità.
Nel viaggio da Svolvær a Tromsø, nella Norvegia settentrionale, ho potuto riflettere sul posto su una cosa che mi sono sempre chiesto: perché i Normanni si sono spinti così a sud, prima in Francia (Normandia) e poi nell’Italia meridionale. La risposta forse è semplice: l’uomo per vivere ha bisogno di terra, di terra fertile; non può vivere di solo mare, se non molto miseramente. E’ il possesso della terra il motore delle conquiste e della storia. Qui di terra non ce n’è. Solo montagne, boschi e mare. L’agricoltura norvegese praticamente non esiste. Quando quegli uomini, come Roberto il Guiscardo, ebbero sentore della ricchezza mediterranea non esitarono ad affrontare un lungo viaggio di conquista…
Che cosa portarono i normanni nella civiltà continentale? Soprattutto l’organizzazione tribale, con alla testa la figura del re guerriero, a cui bisognava rendere omaggio; un processo che era cominciato secoli prima con l’inizio della feudalizzazione in seguito alle invasioni barbariche. A Roma non c’è mai stato un re, se non all’inizio della sua storia. I germani del nord portarono in tutto il continente soprattutto gli usi e i costumi della tribù razziatrice e con essi l’idea della guerra come titolo d’onore…. la storia si fa con i piedi, diceva un mio professore all’università e aveva ragione: la storia si studia camminando, viaggiando, esplorando… se no restano solo delle date.
L’idea del re guerriero, che nell’epoca vichinga era soprattutto un capo tribù, risulta molto evidente osservando una capanna di legno di una cinquantina di metri i cui resti si trovano sul tragitto che sto facendo nella Norvegia settentrionale. In quella capanna presumibilmente viveva un’intera tribù, con i suoi animali. Tutti insieme. Tutti, tranne il capotribù, che viveva in una capanna a fianco. L’idea sacrale del capotribù è chiarissima. Il capotribù rappresentava l’idea stessa e l’identità della tribù. La società germanica, pur nelle sue ramificazioni in tutto il nord Europa, nutriva un’idea fortemente gerarchica della società e fortemente sessista. In testa a tutti c’era il capotribù, subito dopo i guerrieri – che non lavoravano, combattevano soltanto- e infine le donne, che invece lavoravano essiccando i pesci pescati dagli umilissimi pescatori…
La mitologia dei vichinghi era quella norrena, raccolta poi nelle saghe islandesi di Snorri. Una mitologia guerriera di eroi e di guerrieri. Questo forse voleva dire Richard Wagner nella sua tetralogia e soprattutto nel “Crepuscolo degli dei”. Perché l’ha chiamato “crepuscolo”? “Crepuscolo” di cosa? E’ semplice: si tratta del “crepuscolo” della volontà di potenza e di dominio degli dei e degli eroi germanici. “Crepuscolo” perché hanno perso la fede nel dominio…
Dopo centinaia di chilometri in un paesaggio di betulle e di abeti siamo arrivati a Tromsø e ormai a un passo da Capo Nord. Tromsø è definita la Parigi dell’Artico. E’ una bella cittadina, infatti. Ma a me interessa in paricolare la circostanza che da qui partivano e partono le spedizioni per le Svalbard e il Polo Nord, le cui testimonianze sono conservate nel museo “Polaria”. Questo è il regno del grande esploratore Roald Amundsen. Dopo aver esplorato il Polo Sud (1911), Amundsen partecipò all’impresa dell’esplorazione del Polo Nord. Nel maggio 1926 Amundsen riuscì a sorvolare il Polo Artico insieme al finanziatore americano Lincoln Ellsworth e all’italiano Umberto Nobile. I tre (oltre a cinque meccanici italiani e otto marinai norvegesi) volarono sul dirigibile Norge costruito e guidato dallo stesso Umberto Nobile. Dal dirigibile furono lanciate sul Polo le bandiere italiana, norvegese e statunitense.
Amundsen morì nel 1928 in un incidente aereo avvenuto sopra i cieli del Mare Glaciale Artico. Informato dell’incidente del dirigibile Italia, andò generosamente in soccorso dell’esploratore italiano Umberto Nobile e del suo equipaggio, nonostante avesse avuto con lui forti discussioni riguardo ai meriti della precedente avventura aeronautica con il dirigibile N1-Norge (“Norvegia”), ma l’idrovolante francese Latham 47 su cui salì, scomparve in mare senza mai essere ritrovato, nonostante varie ricerche.
Nel porto di Tromsø si vedono molte balerniere e diverse navi da carico anti-tempesta: hanno le fiancate altissime, devono sopportare condizioni oceaniche estreme, soprattutto nel Mar di Barents, con mari spesso in tempesta e con temperature polari. Appena fuori città ci si inoltra in una natura selvaggia e incontaminata e nei boschi scorazzano renne, alci e orsi bruni.
C’è un periodo buio, nella storia della Norvegia, che comincia nell’aprile del 1940, con l’invasione nazista, e finisce nel 1945. I tedeschi misero a capo del governo il presidente del partito fascista norvegse, Vidkun Quisling. Nessuno ama parlare i quel periodo e tutti odiano Quisling; ma dal sottofondo della vita politica e sociale norvegese ogni tanto affiora qualche traccia di filo-nazismo, soprattutto in relazione alla tematica degli immigrati, ma non solo. E’ un tema tabù, ma presente.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Norvegia insistette con il tentativo di rimanere neutrale a dispetto degli avvertimenti giunti da alcune fazioni politiche che ritenevano che la posizione geografica del paese ne avrebbe fatto un obiettivo strategico per la Germania nazista e che avrebbero voluto allestire delle difese sufficienti per resistere ad un attacco fino all’arrivo dei rinforzi da Francia o Gran Bretagna.
In un attacco a sorpresa all’alba del 9 aprile 1940 la Germania lanciò l’operazione Weserübung. Le truppe tedesche attaccarono Oslo e i principali porti norvegesi, (Bergen, Trondheim, Kristiansand e Narvik) e si impossessarono rapidamente delle città e dei territori circostanti.
Lo stesso giorno dell’attacco le truppe norvegesi, presso la fortezza di Oscarborg nel fiordo di Oslo, affondarono l’incrociatore pesante Blücher rallentando l’invasione per il tempo necessario al sovrano, al governo e al parlamento per abbandonare la città. Nonostante la superiorità teorica degli invasori l’esercito norvegese, aiutato da truppe francesi, inglesi e polacche riuscì a opporre resistenza per circa due mesi. Il 17 giugno le truppe del paese dovettero arrendersi, il sovrano e il governo il 7 giugno lasciarono la città di Tromsø per formare un governo in esilio a Londra. Molti militari e civili lasciarono il paese e si unirono al governo in Inghilterra dove furono di grande aiuto all’esercito britannico e ai suoi servizi segreti (Special Operations Executive – SOE).
Il capogruppo del partito nazionalsocialista norvegese, Vidkun Quisling, tentò un colpo di stato ma incontrò tale resistenza da parte della popolazione che le truppe tedesche lo deposero dopo una sola settimana e instaurarono un’amministrazione presieduta dal governatore (Reichskommissar) Josef Terboven che formò un governo nel quale la maggioranza dei ministri giungevano dal partito di Quisling. Nel 1942 quest’amministrazione fu sostituita da un governo fantoccio guidato da Quisling.
Quando sono in Italia, i tedeschi non ti fissano come fanno quando vedono un italiano in quelle che considerano un po’ le loro terre di vacanza, come per esempio in Norvegia. Qui a Tromsø ce ne sono molti, intere comitive, per lo più di anziani. Stamattina a colazione ce n’era uno che mi fissava con insistenza. Quindi ho cominciato a fare due conti: allora, vediamo, quanti anni poteva avere un soldato tedesco durante l’occupazione italiana, dal ’43 al ’45? 20 anni? Quindi è nato dal 1923 al 1925. E oggi quanti anni ha? da 88 a 90 anni… quel tedesco che mi fissava non poteva essere così vecchio, avrà avuto 75 anni… sarà magari stato un figlio di un soldato nazista in Italia, un nipote… comunque dell’Italia sa più di qualcosa… ho fatto finta di niente e ho continuato a fare colazione.
Non sapevo, se non superficialmente, che a poca distanza da Tromsø ci fosse il più alto concentramento di soldati della Nato nell’Europa nord-occidentale. A pochi chilometri dalla Russia, dovevano difendere l’occidente ai tempi della guerra fredda con l’Unione Sovietica. Migliaia e migliaia di soldati. Ma ora sono rimasti in pochi. Inoltre, qui siamo a pochi chilometri dalla Svezia.
Capo Nord. Temperatura 9 gradi. Ogni tanto piove. Mare agitato. Ogni tanto esce il sole, ma e’ molto variabile. Non so se a mezzanotte lo vedremo. Troppe nuvole.
I norvegesi dicono che non esiste brutto tempo, solo abbigliamento inadeguato. Infatti, basta coprirsi un po’ e vai ovunque. E’ sufficiente anche solo un berrettino con la scritta dei Sami, quel popolo che prima veniva definito Lappone.
Davanti al famoso mappamondo di Capo Nord la foto è d’obbligo, ma l’immagine che si può visualizzare da qui è soprattutto interiore. Il vento ti sbalza via come un foglio di giornale, il freddo è pungente; ma se riesci per un attimo ad estraniarti dalla condizioni atmosferiche contingenti, puoi immaginare quello stesso vento che spinge in avanti, verso il Polo. mancano ancora 20 gradi di latitudine sulla carta geografica (qui siamo a 70 e qualcosa), ma è lì.
L’ultimo lembo d’Europa si dissolve nel vento gelido del Mar Glaciale Artico.
L’esplorazione di Capo Nord conta un certo numero di viaggiatori italiani, fin dal XV secolo.
Il primo è il patrizio veneto Pietro Querini, Nobile da Maggior Consiglio (N.H.), che arriva nelle Lofoten nel 1432. Come tutti i nobiluomini Veneziani del tempo faceva anche il mercante, trasportando il vino di Malvasia dai propri feudi di Castel di Termini e Dafnes in Candia (Creta, terra veneziana): aveva in uso le rotte per le Fiandre, quasi una esclusiva e così si spinse troppo in la e contrariato da “nimichevoli venti finì in culo mundi”.
Con i veneziani Francesco Fioravante, comito, Nicolò Michiel patrizio veneto, luogotenenti di Pietro vi era pure un altro Querini, Francesco che dimorava proprio a Candia, feudo della famiglia Querini per secoli. Come tutti i Patrizi, al rientro a Venezia doveva presentare una relazione scritta all’Eccellentissmo Senato; relazione che non è a Venezia alla Marciana ma a Roma nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Francesco Negri, sacerdote di Ravenna (1624-1698) nel 1663 si spinge sino in Lapponia e quindi arriva a Capo Nord, dopo un tentativo fallito che dalla costa norvegese lo vede tornare a Stoccolma. Da qui riparte e segue la costa norvegese sino a Capo Nord.
Scrive il manoscritto “Viaggio Settentrionale” che sarà pubblicato nel 1700, dopo la sua morte, dove vi è una precisa ed accurata descrizione della vita dei Lapponi e del Norvegesi del XVI secolo… spinto dalla curiosità e dall’avventura per quelle terre dove “nessun frutto vi può rendere per l’estremo freddo al testimonio de’ scrittori; e pure vi si sostenta il genere umano. Non si trova altra terra abitata, che si sappia, sotto il suo parallelo, e la zona glaciale artica è totalmente ignota. Dunque è forza che quel paese abbia qualità agli altri non comuni, ma singolari; dunque sarà la più curiosa parte del mondo per osservarsi.”
Nel 1666 rientra in Italia.
Nella primavera del 1799 il mantovano Giuseppe Acerbi (Castel Goffredo 1773-1846) effettua un viaggio di esplorazione che parte da Kemi in Finlandia e arriva a Nordkapp, lungo il tragitto che attualmente delimita il confine tra Svezia e Finlandia.
Raggiunge Oulu nell’attuale Golfo di Botnia al nord della Finlandia, con un amico italiano, il bresciano Bernardo Bellotti, e qui si unisce a specialisti svedesi di botanica e meteorologia quali Skjoldebrand e Johan Julin.
Nel 1802 pubblica a Londra, in lingua inglese, un resoconto dei suoi viaggi nell’Europa del nord: “Travel through Sweden, Finland and Lapland to the North Cap in the years 1798 and 1799” (la traduzione italiana, in realtà solo un compendio dei “Travels” e sarà pubblicata a Milano nel 1832 con il titolo “Viaggio al Capo Nord”). Nei suoi viaggi conosce molte personalità di grande importanza europea come Madame de Stael, Goethe, Malthus, Klopstock.
Il tipico paesaggio della tundra artica è fatto di rocce a strapiombo sulle vallate, ricoperte di una erbetta muschiosa. Senza alberi, senza fiori, senza vegetazione. Solo le renne possono vivere in queste condizioni, alcuni tipi di uccelli e la volpe artica. La tundra è il deserto del nord. Chilometri e chilometri di un paesaggio brullo illuminato dalla cangiante luce del sole che si riflette sulle nuvole, in un giorno eterno. A destra si vede il “corno” del promontorio di Capo Nord. La parola tundra deriva da un termine della lingua Sami, tunturia, che significa “pianura senza alberi”. E’ una vasta formazione vegetale (un bioma ) proprio delle regioni subpolari e occupa zone dell’emisfero dove la temperatura media annuale è inferiore allo zero. Il suo limite settentrionale sono i ghiacci polari perenni (banchisa polare e calotte glaciali), mentre a sud essa si arresta alle prime formazioni forestali della taiga. La tundra è caratterizzata dalla mancanza di specie arboree, poiché la crescita degli alberi è ostacolata dalle basse temperature e dalla breve stagione estiva.
Questa riserva è situata sul lato opposto dell’isola di Magerøya, con partenza dal porto di Honningsvåg. Per fare bird watching nella riserva è d’obbligo affittare una tuta termica integrale, quella che si usa d’inverno sulle motoslitte sulla neve. Ti godi al caldo un panorama faunistico straordinario: foche, aquile marine, pulcinelle dal becco colorato, cormorani. Le foche sono simpaticissime e curiose come bambini. Escono dall’acqua, si avvicinano, ti scrutano, ma quando si accorgono che non gli dai niente da mangiare se ne vanno, sdegnosette.
L’area territoriale della riserva è di 1,7 kmq. La riserva comprende anche 5,5 kmq di mare circondante gli isolotti. Tra il 15 giugno e il 15 agosto non è permesso metter piede sull’isolotto più grande, Storstappen, la cui altezza massima è di 283 mt.
Il primo fulmaro fu osservato nel 1978 e il numero di fulmari è in aumento. Negli anni ’80 le sule si stabilirono spontaneamente a Gjesværstappan. Tra gli altri uccelli si possono osservare gabbiani tridattili, cormorani, marangoni dal ciuffo, urie, gazze marine e aquile di mare dalla coda bianca. Il numero e la varietà di uccelli è enorme. Un fatto particolare è che Stappan è vicinissimo alla terraferma. Poche sono le scogliere in Europa così accessibili a gruppi di viaggiatori.
Abbiamo cominciato il vaggio di discesa da Capo Nord. A latitudini più basse, nel viaggio di ritorno, il panorama norvegese si addolcisce. L’aria riacquista un tepore “estivo” (intorno ai 13 gradi), i villaggi hanno ormai l’aspetto di città.
Ad Alta ci sono dieci gradi in più dei tre di ieri notte sul promontorio del Capo ma piove. Quello che stanca sono i lunghissimi viaggi in pullman per colmare le distanze.
La domenica mattina in una città sperduta nel profondo nord non è il massimo dell’eccitazione. Alta è immoble nel grigio assoluto. Ne approfitto per rcuperare un po’ dalla stanchezza, che a questo punto si sente.
Stavo pensando un po’ alle pietanze e al modo dei norvegesi di cucinare i cibi. La carne di renna somiglia un po’ a quella di capra, ma dovrebbero forse prepararla meglio, facendola macerare un po’ di più prima di cuocerla. Ovviamete, i gusti sono gusti e non discuto. La carne di balena è decisamente una novità, ma non mi ha entusiasmato. Invece, ho trovato squisito il granchio reale, gigantesco e veramente buono.. Del salmone e del merluzzo ho già parlato. Torno sull’argomento solo per dire che ieri, dopo il bird watching in battello tra le isole, abbiamo mangiato una zuppa di pesce veramente speciale. Il pesce era cotto nel latte, ottimo.
Il modo di pescare nella Norvegia del nord è tutt’altro che rilassante. Stavo appunto osservando una scena. Il pescatore è in piedi in acqua, con gli stivaloni e l’incerata. Forse questo succede solo nei fiumi, dove la corrente è rapida. Se non fai così il pesce non lo becchi. Però è stancante e faticoso.
Devo rispondere a qualcuno che qualsiasi confronto tra Italia e Norvegia è fuorviante. L’Italia ha 60 milioni di abitanti, la Norvegia 5 milioni, su una superficie approssimativamente simile. La presenza umana qui è quasi irrilevante, sprattutto al nord, l’Italia è densamente abitata. La Norvegia ha grandi risorse di petrolio e gas naturale e le sfrutta al meglio; l’Italia ha poche risorse e le sfrutta male. La vera ricchezza dell’Italia è la piccola e media industria (l’ingegno italiano) ma la stiamo perdendo; la seconda richezza dell’Italia è il turismo, ma lo stiamo devastando; la terza è l’agricotura, ma l’abbiamo abbandonata.
Che cosa ci si aspetta entrando in una chiesa luterana? Di non trovare santi, e infatti non ce ne sono; di constatare che il pulpito del sermone è molto più in vista dell’altare, che qui ha solo un signficato simbolico-iconografico, l’ulima cena, ma è inerte dal punto di vista funzionale, senza tabernacolo; di osservare l’assoluta nudità degli ambienti. C’è una cosa he però non mi aspettavo: sui muri sono appesi i numeri dei versetti dei Salmi da recitare in comune. La maggior parte dei norvegesi è di religione evangelico-luterana, designata religione di stato dall’articolo 2 della Costituzione. Nei centri più piccoli le chiese luterane sono molto frequentate.
I norvegesi hanno un rapporto particolare con la luce. Al nord la lunga notte d’nverno dura mesi, così su ogni finestra è appeso un pccolo lucernario con la candela, con questo ci si illude che un po’ di luce comunque entri dalle finestre. Non ci sono luci dirette negli appartamenti, solo luci diffuse. Non si riesce a concepire l’irradiazione del giallo, tutto deve essere smorzato, o al più avere il colore del cielo o del ghiaccio.
Il Museo di Alta contiene oggetti provenienti da tutta l’area circostante che raccontano la civiltà che creò le opere, una documentazione fotografica di tutti i graffiti ed altri reperti della cultura Sami, i fenomeni delle aurore polari e la storia della zona durante la seconda guerra mondiale. Il museo ricevette l’European Museum of the Year Award nel 1993.
I graffiti rupestri di Alta fanno parte di un sito archeologico nei pressi della città. Dopo il rinvenimento del primo graffito o, più precisamente, della prima incisione, nel 1972, più di 5000 graffiti sono stati scoperti in numerosi siti attorno ad Alta. Il sito principale, situato a Jiepmaluokta a circa quattro chilometri da Alta, ospita circa 3000 incisioni ed è stato trasformato in un museo a cielo aperto. Questo luogo venne inserito tra i patrimoni dell’umanità dell’UNESCO il 3 dicembre 1985. È il solo sito archeologico norvegese ad aver avuto questo onore.
Le incisioni più antiche sono databili attorno al 4200 a.C., mentre le più recenti sono del 500 a.C. La grande varietà di immagini illustra una civiltà dedita alla caccia e raccolta in grado di controllare branchi di renne, abile nella costruzione di barche e nella pesca. Questi popoli praticavano riti sciamani che comprendevano il culto degli orsi e di altri animali. La conoscenza di questa civiltà si limita a quello che si apprende dall’analisi delle pitture rupestri.
Al momento della creazione delle incisioni la Norvegia settentrionale era abitata da una tribù dedita alla caccia e raccolta che si crede discenda dagli antichi Komsa, una civiltà dell’età della pietra che si espanse lungo la costa norvegese seguendo il recedere dei ghiacciai durante l’ultima glaciazione, intorno all’8000 a.C. Il periodo di circa 5000 anni durante i quali vennero fatte le incisioni vide numerosi cambi culturali, tra cui l’adozione degli utensili in metallo e le scoperte in settori quali la costruzione di barche e le tecniche di pesca. In ogni caso le immagini mostrano molte scene mondane e simboli religiosi. Le incisioni più recenti mostrano molti tratti in comune con quelle rinvenute nella Russia nord-occidentale, il che fa pensare a contatti tra le culture di tutto il nord Europa.
Le connessioni tra gli autori di queste opere, i Komsa ed i lapponi sono in qualche modo congetturali; nel caso dei Komsa è interessante notare che secondo le prove archeologiche l’economia dei Komsa era basata quasi esclusivamente sulla caccia ai pinnipedi, mai raffigurati nei graffiti di Alta.
Le connessioni con la cultura Sami (lapponi) sono più facilmente desumibili visto che questi ultimi hanno vissuto nella stessa zona e nello stesso periodo in cui vennero operate le ultime incisioni; inoltre numerosi soggetti dei disegni sono utensili usati anche dai Sami. In assenza di altre prove linguistiche o di DNA, tutte le ipotesi restano non dimostrabili.
Le incisioni vennero fatte utilizzando scalpelli in Quarzite costruiti utilizzando martelli di rocce più dure; alcuni scalpelli sono in mostra presso il Museo di Alta. L’abitudine di usare scalpelli in pietra sembra essere continuata anche dopo la costruzione dei primi utensili in metallo.
A causa degli effetti del rimbalzo post-glaciale l’intera Scandinavia iniziò a sollevarsi dopo la fine dell’ultima glaciazione. Anche se questo effetto è tuttora attivo (al ritmo di circa un centimetro l’anno), si crede che in passato fosse molto più marcato, addirittura tale da essere percepibile da un uomo durante la vita. Si pensa che alcune incisioni fossero sulla costa, e che siano state spostate in seguito fino a raggiungere quasi un centinaio di metri nell’entroterra.
Il popolo dei Sami vive nel Circolo polare artico, tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Fino a poco tempo fa era conosciuto con il nome di Lapponi. Ma loro stessi hanno rifiutato questo nome. “Lapponi” deriva da una parola svedese che significa “straccioni”. Ora si definiscono orgogliosamente (e giustamente) Sami e il loro paese si chiama Sápmi. Hanno anche un Parlamento in una cittadina norvegese ai confini con la Finlandia, Karasjok. Karasjok e Kautokeino sono le due città principali dei Sami, nella regione di Finnmark. Stamattima abbiamo visitato un museo ad Alta in cui è tracciata la loro storia. Non si sa bene da provengano i Sami. Qualcuno sostiene che sono indigeni. Altri, che provengono dal nord dell’Asia centrale e più precisamente dalla Siberia. Ho potuto vedere chiaramente tracce di sciamanesimo rituale, tracce di usi sociali, come le tende, che sono più semplici delle yurte asiatiche ma si basano sullo stesso principio; persino le canoe richiamano quelle asiatiche. Molto interessante.
I Sami – che nelle cartine geo-antropologiche in qualche caso vengono ancora definiti Lapponi- hanno centinaia di nomi per esprimere le varie sfumature della neve. Anche il norvegese è molto accurato nella descrizione del verde, delle piante e delle rocce. Alcuni nomi sono un misto di norvegese, sami e finlandese. Queste due ultime lingue non sono di origine indoeuropea. C’è un mescolamento fonematico ed è un peccato che nessun scrittore norvegese o finlandese ne abbia colto la ricchezza.
Se da Alta ci si spinge nell’entroterra, a un certo punto si arriva al Finnmarksvidda, vasto altopiano che si estende a sud-est, oltre il confine con la Finlandia. Questa regione è solcata d fiumi, specchi d’acqua e acquitrini, ma ci sono pochi alberi e rilievi montuosi a interrompere la continuità di un paesaggio che si perde a vista d’occhio fino all0orizzonte lontanissimo, sovrastato da un cielo infinito. L’aria cristallina conferisce al sole una luminosità candda.
Anche solo l’acqua è uno spettacolo oltre la linea del Circolo Polare Artico. Il mare si inoltra in profonde insenature, il paesaggio è costellato di laghi, i fiumi – di natura torrentizia- si slanciano in vorticosi percorsi a cascata che esprimono energia allo stato puro. A berla, l’acqua dà sensazioni risananti. Il gorgoglio accompagna le tracce umane che si perdono in una continua liquidità grigio-azzurra, il colore del cielo . E poi, improvvisamente piove…
Abbiamo fatto un bel salto dai 3 gradi di Capo Nord ai 26 di Oslo. La temperatura si è molto alzata in questo giorni. C’è un sacco di gente per strada, seminuda per il caldo, sudatissima. La birra scorre a fiumi.
Dalla finestra dell’albergo scorgo lo scorcio di un prato. Sono accampati da ore gruppi di giovani. So che i dintorni della stazione sono molto frequentati da tossicodipendenti. Non penso che sia questo il caso. Quei giovani non ne hanno l’aria. Ho però appena scoperto che qui vicino c’è un centro per tossicodipendenti, dove bucarsi in tutta sicurezza, gestito da un’associazione con i soldi del comune. Non è una cosa consueta, ma forse molto utile per chi è in quelle condizioni. Comunque i giovani che vedo dalla finestra non c’entrano nulla. Ho accostato le due cose solo per caso.
Uno degli argomenti più dibattuti nei romanzi dello scrittore Jo Nesbø, che qui va fortissimo, è quello degli immigrati di colore. Ce ne sono veramente tanti, a Oslo. Girando per strada, si nota che il paesaggio umano ha qualcosa di misto, di variegato, ma senza insolenza.
Dagli anni Ottanta in poi si è verificato un notevole flusso di immigrazione – attualmente gli immigrati in Norvegia sono circa 400.000. Oslo è oggi un centro multietnico che ospita immigrati provenienti prevalentemente da Pakistan, Somalia e Iraq e, dopo l’allargamento dell’Eu nel 2004, anche dai paesi dell’Europa orientale. Il fenomeno migratorio ha compensato negli ultimi anni il rallentamento della crescita della popolazione, contribuendo a mantenere tale dato in positivo (0,93% tra il 2005 e il 2010).
La condizione degli immigrati in Norvegia presenta caratteri di separatezza maggiori di quelle dei lapponi. Interi quartieri sono abitati da varie comunità di stranieri, che sono arrivati in Norvegia per lavorare nelle miniere o nelle fabbriche, per esempio i pakistani o i polacchi. Ci sono anche gruppi che vengono dal sud dell’India, come i Tamil. Nelle biblioteche delle città dove abitano ci sono scaffali di libri in Tamil. Ma questi stranieri vivono in condizioni di assoluto isolamento. A scuola invece i loro figli vengono incoraggiati a integrarsi nella società norvegese.
I norvegesi hanno un raporto molto particolare con la loro lingua, o meglio: con le loro due lingue. La considerano quasi come qualcosa di casalingo, familiare. Con gli stranieri passano direttamente all’inglese, anche nei paesini più sperduti. Si potrebbe vivere in Norvegia senza conoscere il norvegese. La lingua di per sé è un misto di tedesco e di inglese pronunciati male (almeno per chi conosce quelle due lingue). Esempio: insieme=samme, tedesco=zusammen; ponte=brygge, inglese=bridge, tedesco bruecke.
I rapporti fra scandinavi sono fraterni ma non così idillici come si potrebbe pensare. Si è ribaltato il rapporto di sudditanza dei norvegesi nei confronti degli altri due paesi. La Norvegia è stata a lungo prima sotto la Danimarca e poi sotto la Svezia. Si vedono pochissimi turisti svedesi o danesi. I turisti vengono dalla Germania, dalla Finlandia e dalla Russia. Si dice che quando un norvegese incontra uno svedese capisce benissimo quello che dice quest’ultimo, ma poi risponde in inglese.
Quando si gira per l’Europa è inevitabile chiedersi cos’abbiano in comune terre così diverse come la Normandia o l’Andalusia, la Baviera o l’Estremadura, la Scozia o la Sicilia. Forse non molto. Qui in Norvegia hanno respinto ben 2 referendum di adesione alla Comunità Europea. Non ne vogliono sentir parlare. L’Europa è lontana e produce solo noie e problemi. Hanno ragione coloro che sostengono che l’Europa penderà sempre più a est, verso la Polonia e altri paesi vicini; tutte regioni che gravitano sull’area tedesca. E’ un processo forse irreversible. Non c’è da essere molto ottimisti sul destino dell’Europa mediterranea… ma speriamo di sbagliare…
C’è da dire che tra tutti i popoli di origine germanica i norvegesi sembrano tra i più miti. Escono da una storia di povertà, dolore e miseria. Nelle isole Lofoten dicono: ogni scoglio, una tragedia, alludendo ai pescatori morti. Ma oggi stanno diventando ricchissimi; un operaio guadagna il corrispettivo di 2.500 euro al mese. Grazie alle ingenti risorse di idrocarburi presenti nel sottosuolo del proprio territorio e nei propri fondali marini, la Norvegia è uno dei paesi con il più alto pil pro capite al mondo, con un valore che supera i 55.000 dollari all’anno. Oslo produce circa 2,3 milioni di barili di petrolio al giorno, 2,15 milioni dei quali sono destinati all’esportazione, e più di 100 miliardi di metri cubi di gas l’anno, quasi totalmente esportati. E i prezzi sono altissimi. Ma questa gente conserva un carattere gentile. I norvegesi amano soprattutto una cosa: la natura; e si vede. Si sente. Sono felici quando vanno in barca o su per i boschi. E fanno sentire contento un po’ anche te.
‘IN POESIA- Filosofia delle poetiche e dei linguaggi’
‘IN POETRY- Philosophy of Poetics and Languages’
‘EN POéSIE- Philosophie des Poétiques et des Languages’
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