Antonio De Lisa- Cairo Quartet

Antonio De Lisa- Cairo Quartet

 

“Ya salam aleki ya Masr” – “Che tu sia benedetto, oh Egitto!”-
(slogan della rivoluzione giovanile egiziana su un muro dell’Università americana).

 

Il Cairo ha una storia di capitale del mondo, prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America, che tagliò definitivamente fuori il commercio mamelucco. Fino ad allora Il Cairo era stato il punto di convergenza tra Africa, Europa e Medio Oriente. Nei suoi porti e nei suoi mercati si affollavano spezie, elefanti e schiavi.

Oggi la capitale cairota ha un ruolo più modesto, ma importante: è uno dei paesi che contano di più in Medio Oriente. Jayyid jiddan, cominciamo. Ya Salam. Non è forse l’ultima moda andare al Cairo di questi tempi. Ma c’è un motivo per cui non l’ho fatto prima: la noia che avvertivo guardando le foto piramidali dei miei amici. Il Cairo sembrava una succursale di Ostia. Le navigazioni sul Nilo non mi dicevano nulla, troppo orientalistiche, troppo Dubai: tutte le comodità e il paesaggio esotico davanti. Ora, però, mi sembra arrivato il momento di andarci. Mi sono fatto sfuggire il momento della rivoluzione di Piazza Tahrir, ma anche adesso la situazione è sufficientemente turbolenta: la Libia sul confine occidentale è esplosa, c’è una guerra al confine con Gaza, lo stato d’assedio a sud al confine con il Sudan, e un terremoto (nei giorni scorsi). Molto poco di turistico, a quanto si può constatare anche a un’occhiata superficiale. Sufficientemente adrenalinica. E poi devo imparare l’arabo.

Il training sta per finire, ora sta per cominciare il viaggio vero e proprio. Tutto è pronto per l’immersione in una città di 12 milioni di abitanti e in pieno agosto. Gli esperti dicono che Il Cairo è una delle città più interessanti di tutto il Medio Oriente: essa unisce conservatorismo e avanguardia, tradizionismo e spregiudicatezza. I libri che mi sono stati più utili per capire l’atmosfera del Cairo sono stati i romanzi di Naguib Mahfouz. La letteratura per me ha sempre avuto un valore conoscitivo e non si è smentita nemmeno in questo caso. La letteratura egiziana è una delle più vivaci.

Frequenterò, a partire da domenica, una scuola di lingua araba, “Zahara al-Hakma” e dovrò cominciare dalle prime classi. Un po’ ho qualche perplessità a sedermi sui banchi di un corso introduttivo di arabo, avrei potuto fare anche quello più avanzato, ma ho scelto io stesso l’iniziale (devo fare un esame al ritorno, un esame che non scherza); la perplessità riguarda i miei compagni di corso, non il livello iniziale di arabo, che saranno inevitabilmente giovani, fors’anche dei ragazzotti (“Zahara al-Hakma” ha una convenzione con l’università di Manchester e con l’università americana del Cairo). Avrei gradito in questa circostanza un più pacato consesso di gente interessata al mondo arabo, ma non si può mai dire.

La posizione centrale dell’albergo mi permetterà ampie escursioni al Cairo; alcune le farò con la scuola stessa. Poi sto meditando (sperando di trovare qualche complice) una spedizione in profondità lungo il corso del Nilo da fare il venerdì: basterebbero tre-quatto ardimentosi, una macchina a noleggio con autista (senza contrassegni turistici), una meta da raccontarci la sera citando a valanga tutto quello che sappiamo sull’Egitto (a me ha sempre interessato l’Egitto esoterico e come fu recepito in Europa nel Quattrocento, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino). Comunque, vada come vada si tratterà di un’esperienza interessante. Prudenza e curiosità, calma e ardimento intellettuale.

Egypt Air- Ora che si avvicina l’ora della partenza (sabato) sfogli compulsivamente l’edizione inglese del maggior quotidiano del Cairo, “Al-Ahram”: non sai nemmeno tu cosa cerchi. Forse il luogo dell’ultimo fallito attentato (Heliopolis, sembra), quanti minuti ci vogliono per scappare da Piazza Tahrir in albergo (una decina di minuti), dove si terranno le manifestazioni dei “Fratelli musulmani” indette per i prossimi giorni. Il Medio Oriente attraversa uno dei momenti più caldi della sua storia, devi avere un buon motivo per andarci. Questo però rischia di far passare in secondo piano la dimensione storica del luogo che stai per visitare. Solo Flaubert e pochi altri hanno saputo trasmettere cosa si prova a visitare monumenti e città egizie. E’ il momento di prepararsi all’immersione.

Sabato 2 agosto

Il primo impatto ieri notte è stato passabilmente traumatico, ma risoltosi senza problemi. All’aeroporto (immenso, sorvegliatissimo) i turisti che erano sul mio aereo aspettavano con ansia di vedere sabbia dorata, cammelli, palmeti e piramidi e scomparivano nei transiti per le località più gettonate. Ho fatto il visto di ingresso allo sportello di una banca (15 dollari) e mi sono guardato intorno.  Doveva venire a prendermi una macchina dell’albergo in cui risiederò, prenotata da tempo. Ma di essa e del relativo autista neanche l’ombra. Ho mobilitato l’intero ufficio turistico per far annunciare via altoparlante che ero arrivato. Con l’aiuto di un gentilissimo (e sorridente di ironia) addetto ho chiamato perfino in albergo (con un numero arabo!), ma mi hanno risposto che l’auto aveva avuto un incidente. Ok. Mish mushkilat, Ho dovuto contrattare con un taxista (autorizzato, attenzione agli abusivi!) venticinque dollari per il tragitto. In compenso il taxista mi ha fatto ascoltare un’intera sura del Corano dal suo impianto stereo. L’Aeroporto Internazionale de Il Cairo dista una ventina di chilometri dal centro e per 45-50 minuti ho fatto la mia prima conoscenza della città. Ya Salam.

Domenica 3 agosto

Quando ti avvii per arrivare alla scuola di arabo “Zahara al-Hakma” ti aspetti di trovare segretarie indaffarate, studenti schiamazzanti, fruscii di docenti. Niente di tutto questo, discrezione assoluta, anzi all’inizio pensi che forse era meglio andare all’Università americana. Poi poco a poco realizzi che gli studenti di questo corso sono tre (di cui due intermediate), ci sono quattro docenti, uno per ora. Praticamente un corso personalizzato al prezzo di un corso collettivo. Con tre ore di sonno alle spalle non ti è facile cominciare a parlare arabo, confondi le lettere, ti si annebbia la dimensione del “caso costrutto”. Con un tè forte riprendi conoscenza e ci riprendi gusto. I docenti (che parlano benissimo anche l’inglese) sono simpaticissimi e le prime quattro ore passano. Da domani ogni due pomeriggi faremo una gita guidata al Cairo e dintorni (Giza!), con la possibilità di un’escursione su più lunga distanza. E’ vero, che non si riesce a dormire per i rumore del traffico (peggio di New York!) ma vedi, conosci, impari. Noshkorallah.

Una cosa è leggiucchiare l’arabo alla meno peggio, altra conoscerlo veramente bene. Se è vero che il linguaggio racchiude un mondo, quello degli arabi è di una ricchezza sconfinata. Lo si potrebbe definire un sistema semiografico iper-fonetico. La scrittura va da destra a sinistra e fin qui niente di speciale. Ci sono 28 lettere nell’alfabeto, ma quasi ognuna si scrive in quattro modi diversi a seconda che sia isolata, iniziale, mediana e finale nella parola. Inoltre, vengono notate solo le sillabe e le vocali lunghe. La parola Qu’ran, per esempio, viene scritta Qrn (anzi: nrq, da destra a sinistra). Poi c’è un ricco florilegio di segni diacritici fantasiosi e una certa quantità di segni supplementari, tutti svolazzanti. La gioia dei semiotici. Questo sistema interagisce con la fonetica in una maniera quasi musicale. Gli arabi giocano con le parole, di cui percepiscono le più piccole sfumature, articolando una metrica alternata tra vocali lunghe e brevi. Anche quando dicono: “Come stai?” ci mettono la musica.

Se Wittgenstein avesse conosciuto la lingua araba, sono sicuro che se ne sarebbe innamorato. Le parole esprimono cose concrete, atomi logici, ma insieme in esse risuonano sfumature vertiginose sull’asse paradigmatico. Detto in altri termini: una parola non vive mai in isolamento lessicale, tutte le parole si basano su una radice, per lo più trilittera, di tre consonanti, variano solo con la diversa vocalizzazione. Dalla radice ktb, derivano tutte le parole che hanno a che fare con l’idea di libro, da libro a scrittoio, a scrittore, e così via, in una catena (appunto: paradigmatica). Pensate alla risonanza che hanno le parole del Corano, una sinfonia, che le traduzioni in altre lingue non rende minimamente. In molti casi, non lo “capiamo” perché non riusciamo a “sentirlo”.

Cerco un posto dove mangiare. Lungo la strada vi sono numerosi caffè (“maqha“, in dialetto o “qahwa“, in arabo standard), in cui si serve normalmente la “shisha” (“vetro” o “bottiglia”, nome che viene dal turco) con una grande varietà di tabacchi al sapore di frutta. Abbondano ristoranti per tutti le tasche, oltre a botteghe e carrettini in cui si vende il cibo tradizionale egiziano: “kebab”, “shawarma”, “ful medammes” (fave lesse e condite con olio), “falafel” di ceci o fave (in Egitto chiamati “ṭaʿamiyya“), accompagnati dall’ʿ”esh baladi“, il pane casareccio a forma di focaccia, e conditi dal hummus (crema di ceci mescolata a crema di sesamo), accompagnati dai classici “torshī” (sottaceti).

Passare per piazza Tahrir per un cairota è come passare per il Colosseo per un romano: non ci fa minimamente caso. Ma per chi ha visto centinaia di foto e di video delle grandi manifestazioni della Rivoluzione egiziana nel gennaio del 2011 qualcosa significa. Come piazza monumentale non è un granché, anzi non è monumentale affatto. E’ un grande spiazzo circondato da grattacieli, con il Museo Egizio su un lato. Eppure, qui hanno perso la vita decine di giovani e centinaia di altri sono stati duramente malmenati. Questa piazza è il simbolo del loro ’68.

Nel primo pomeriggio per arrivare in piazza sono passato davanti a diversi ministeri, davanti ai quali c’erano i gipponi della polizia… gipponi, piuttosto carri bestiame, con i poliziotti che ci si appisolavano dentro. Non deve essere stata un’esperienza piacevole essere caricati in uno di quei carri bestiame con le sbarre ai finestrini… dolore, sangue, disperazione.

Che cosa è rimasto della Primavera araba in Egitto? E’ troppo presto per dirlo. Ora la situazione appare normalizzata, ci si lamenta solo per l’aumento dei prezzi, ma non bisogna dimenticare che i “Fratelli musulmani” non demordono e sono temibilissimi. Non ho visto molti giovani vestiti con la jallabeya, il lungo camicione arabo, e la barba lunga, simbolo dei salafiti. I ragazzi vestono all’occidentale e smanettano sullo smartphone. Le ragazze no, ma ugualmente smanettano sullo smartphone… nei ristoranti e nei fast food incontri ragazze con l’ijihab che come niente rispondono al cellulare con i loro iPhone.

Qui l’opposizione di sinistra si chiama “Tamarod” (rivolta) ma è frammentata in mille pezzi e rivoli e schegge e per ora osserva come se la caverà il leader del governo (guidato dai militari) Al-Sisi. La questione urgente sembra piuttosto quella di Gaza, ma non ci sono state manifestazioni (al contrario di Teheran), sono proibite. Vengono (o verranno) tutti al Cairo per la mediazione politica, i giornali sono pieni di queste notizie. In generale si ha l’impressione come di una fase di transizione.

Mi guardo intorno per cercare di capire quale è il modo migliore per muovermi in città. Le soluzioni sono diverse: in genere tutti i trasporti pubblici sono abbastanza efficienti ed economici. I mezzi pubblici più utilizzati sono gli autobus, che però nelle ore di punta sono affollati e perlopiù senza aria condizionata; guardandoli da fuori hanno un aspetto poco raccomandabile. L’alternativa agli autobus municipali sono i minibus privati: sono supereconomici  ma, anche se seguono un percorso prestabilito, le fermate che effettua non sono indicate in maniera sufficientemente chiara. La metropolitana sembrerebbe offrire un buon servizio ma nelle ore di punta è un inferno.  Il taxi invece è un mezzo poco usato dai cittadini, ma preferito dai turisti per la convenienza delle tariffe (confrontate con i quelle europee) e per la loro disponibilità: si trovano molto facilmente. Ancora più economici sono i taxi collettivi: trasportano fino a 7 passeggeri e sono disponibili anche per viaggi extraurbani. Per adesso mi limito a studiare la situazione e vado a piedi. L’albergo non è molto lontano da Piazza Tahrir.

Lunedì 4 agosto

Comincio un po’ a fare l’abitudine al traffico, mashallah, alla lunga diventa solo un rumore di sottofondo, più difficile l’abitudine al caldo di qui: la temperatura si mantiene sui 36-38 gradi, con una cappa di umidità che fa sudare anche stando fermi. Ma un po’ si sapeva.

Con la frequentazione, migliora anche il rapporto umano con i miei nuovi amici di “Zahara al-Hakma” , bisogna un po’ entrare nello spirito, ma poi la conversazione è sempre interessante e stimolante. Questi amici hanno il senso dell’ironia, un po’ come quelli di Teheran, parliamo di tutto e sempre con un piacevole spirito amichevole.

Stamane ho scoperto che uno dei miei docenti, Mudarris Thalatha (Maestro Tre), ha partecipato alla Rivoluzione del 25 gennaio 2011. Mi sono fatto raccontare la sua esperienza dell’occupazione di Piazza Tahrir. Ha ancora i segni su una gamba di un colpo ricevuto da un poliziotto. Ma nessun pentimento. “Eri lì anche tu?”, “Sure”. Gii ho raccontato delle “nostre” manifestazioni del 2011. Abbiamo buttato all’aria una grande occasione con la smania di bruciare cassonetti e spaccare vetrine. Qui non hanno spaccato nessuna vetrina, hanno solo mandato a casa il tiranno.

Più in generale c’è da considerare che, con un maggior coordinamento, in quell’anno si sarebbero potuto ottenere risultati a livello internazionale. Ma non sapevamo niente gli uni degli altri, solo notizie via Twitter e Facebook. E non bastano. Non sarebbero bastate, non basteranno. Ora tutte le manifestazioni sono vietate, per non dare respiro ai “Fratelli musulmani” che hanno conquistato la piazza dopo il 25 gennaio.

Mudarris Thalatha (Maestro Tre) mi ha mostrato i graffiti della rivoluzione. “Ecco, dormivo proprio sotto quell’insegna…”, “Dove, sui marciapiedi?”…”sì, sui marciapiedi”…

Per allontanare ogni sospetto di integralismo, le autorità cairote hanno ribattezzato il quartiere islamico del Cairo con la definizione di “Quartiere fatimida”, che ricorda uno dei periodi più splendidi della storia di questa città. Il cuore del quartiere fatimida è Khan el-Khalili, un pezzo di medioevo che sopravvive al tempo.

Il mercato è stato fatto oggetto di un attacco terroristico nell’aprile 2005. L’attacco-suicida del 7 aprile uccise 21 persone (undici egiziani, due turisti francesi, uno statunitense e sette altri turisti di non meglio precisata provenienza).
Il 22 febbraio 2009 un ulteriore attentato, condotto con un ordigno esplosivo di fabbricazione artigianale (un altro, rinvenuto inesploso, è stato fatto brillare dalle forze di sicurezza egiziane) è stato compiuto all’ingresso del Khan el-Khalili, nelle immediate adiacenze del “Funduq (Albergo) al-Husayn”, che s’affaccia sull’omonima piazza. L’esplosione ha provocato la morte di una giovane turista francese di 17 anni e il ferimento di 25 fra egiziani e turisti stranieri che, come sempre, affollavano le stradette del mercato e la piazza.

Il “Cafè Fishawi” è famosissimo al Cairo e si trova qui. Si narra che qui lo scrittore Naguib Mahfuz abbia scritto alcuni dei suoi racconti. Il romanzo  “Zuqaq al-Midaq” (Vicolo del Mortaio) è ambientato in una strada del Khan el-Khalili.

Ci raggiunge un altro amico e parliamo, alternando battute e discorsi impegnati. “Ya salam aleki ya Masr” – “Che tu sia benedetto, oh Egitto!”- (slogan della rivoluzione giovanile egiziana).

Martedì 5 agosto

Il miglior caffè espresso di tutta il Cairo lo fa “Cilantro”, a ridosso dell’Università americana. Il locale è su due piani, sopra si può anche fumare, l’ideale per scambiare due chiacchiere al fresco nella micidiale calura cairota.

Mudarris Ithnan (Maestro Due), uno dei miei docenti di arabo alla “Zahara al-Hakma”, oggi mi ha accompagnato al Museo Egizio (alle due, sotto il sole): prima dell’ardua prova ci siamo fermati da “Cilantro”Mudarris Ithnan (Maestro Due) non aveva mai bevuto un caffè espresso. Sto iniziando i miei amici cairoti ai miei stravizi.

Mi sono fatto fare una foto da Mudarris Ithnan (Maestro Due), che apparentemente non significa niente, per far vedere quello che c’è oltre le sbarre del Museo egizio: un dispiegamento di carri armati dell’esercito egiziano per impedire qualsiasi manifestazione. Su ognuno dei carri armati un soldato coll’indice sul grilletto del cannoncino. Un intero reparto, senza contare i mezzi pesanti della polizia e il filo spinato. Si vede un palazzo bruciato alle mie spalle. Era una palazzo governativo (dell'”old regime“, come lo ha definito Mudarris Ithnan (Maestro Due), cioè dell’epoca di Mubarak che per lui, che è giovane, è alto medioevo) e fu dato alle fiamme durante la Rivoluzione di gennaio del 2011. Il palazzone infatti è in piena Piazza Tahrir. Mudarris Ithnan (Maestro Due) non ha partecipato alla rivolta, era sotto l’esercito e non era raccomandabile farsi vedere con quei ragazzacci.

Il Museo Egizio- Eccolo, ci sono dentro. Ma avete presente quei musei sovietici di una volta? E’ simile. Non funziona quasi niente, solo i servizi di sorveglianza. Le didascalie accanto alle opere sembrano uscite dalla penna di un egittologo pazzo in stato di ebbrezza: li capisce solo lui. Il museo è uno scatolone su due piani, come un negoziaccio di tappeti falsificati. Manca l’aria condizionata, così che il visitatore appare più impegnato a fare esercizi di respirazione che non ad apprezzare le opere. Hanno tutti un’aria stravolta e si aggirano come fantasmi tra i pezzi di arte antica più importanti de mondo. Anche il tesoro di Tutankhamon appare polveroso e inerte come su una bancarella di anticaglie.

Stamattina i cairoti con cui ho parlato erano insolitamente contenti. A loro dire, ora che la temperatura si è attestata sui 38-39 gradi si sta decisamente meglio di una settimana fa, in cui la temperatura era di 42-43 gradi.  Mumtaz. Con tutta la buona volontà non riesco a godere dei loro benefici. A me sembra una cappa di piombo fuso. Poi, ogni tanto si alzano folate di vento dal benefico Nilo, ma contemporaneamente si è avvolti in un nuvola di sabbia che si alza dalle strade e che proviene da poco distante. In fondo, questa è un città in pieno deserto, se non c’è qui la polvere dove vuoi che sia? Ya Salam.

Io e Mudarris Ithnan (Maestro Due) siamo dovuti tornare a piedi da Piazza Tahrir all’indirizzo della “Zahara al-Hakma”, non siamo riusciti a farci ospitare da un taxi. Qui, non solo devi contrattare il prezzo, ma anche la distanza: se è troppo vicino (in base alla loro opinione) non ti prendono. Se ne sono fermati una decina, ma sdegnosamente hanno proseguito la loro imperturbabile corsa. Per loro l’ideale è prendere qualcuno che come minimo vada a Giza o a Heliopolis, lontano, lontano, così pensano di guadagnarci di più. Non hanno pietà e se non stai attento, ti investono pure. Sono come dei virus che hanno sviluppato delle difese dall’epidemia di traffico urbano, sopravvivono solo loro. Gli autobus è meglio evitarli, risalgono come minimo all’epoca di Nasser.

Il Cairo internazionale- Una compagna di corso mi sta svelando, mentre prendiamo il caffè (lei rigorosamente tè, “shai”), tra un’ora e l’altra di lezione alla “Zahara al-Hakma”, i risvolti della Cairo International style, da cui per il momento mi sento escluso come un immigrato dall’oasi del Fayum che fino ad ieri ha zappato la terra (un specie di fellah). Ebbene, questa giovane signora è tedesca ed è sposata con un americano che lavora all’ambasciata USA. Ora sta imparando l’arabo e vive al Cairo nella zona residenziale di Zamalek. Ne parla come se vivesse in una dimensione coloniale, come se l’Egitto fosse ancora sotto mandato coloniale inglese. Mette pochissimo tè nel bicchierino (una miscela granulosa dal colore conturbante), senza zucchero. Questi bicchieri nel cucinino della scuola evidentemente conservano ancora i microbi dei soldati britannici della seconda guerra mondiale; la signora li lava col detersivo due o tre volte prima di usarli. Ma fa bene, perbacco, io sono tre giorni che mangio kebab e comincio a risentirne. Discuteremo di misure di igiene.

C’è una ragazza al corso, di livello avanzato, che non esce mai dall’aula di lezione. Si chiama Mireya. E’ spagnola e vuole fare la traduttrice. Non si vede mai nella “cafeteria” della “Zahara al-Hakma”; mi hanno spiegato che riempie pagine e pagine di appunti in arabo, che poi si fa correggere la mattina. Io a malapena prendo un 5 su 10 agli esercizi di dettato e scrittura libera con tre o quattro frasette dall’aspetto miserevole. Mireya come minimo riempie 5 o 6 pagine fitte di caratteri semitici. Una stakanovista. Le si affollano tutti intorno, i docenti, per misurare la loro competenza sulla sua, ma si vede che ogni tanto escono frastornati dall’aula, in preda a crisi di disperazione professionale, madidi di sudore, affranti dalla fatica di vedersela davanti anche a ricreazione.

Cinque poliziotti sono stati uccisi quando “elementi armati” a bordo di un’auto, a loro volta uccisi dalle forze di sicurezza, hanno aperto il fuoco contro un posto di blocco su una turistica strada costiera a ovest di Alessandria. Secondo una prima ricostruzione, le forze dell’ ordine hanno poi intercettato l’auto uccidendo i quattro occupanti, che si sta cercando di identificare. L’incidente ha rilevo perché è avvenuto nel settore che confina con la Libia ormai fuori controllo.

Mercoledì 6 agosto

Non è facile descrivere le contraddizioni del Cairo. Fino ad ora mi sono accontentato di notazioni volanti, osservazioni colte al volo e non so se riuscirò ad andare oltre questo livello. Questa è una città incredibile: i negozi di generi alimentari sono ancora come me li ricordavo quando mia madre mi mandava a fare la spesa, quaranta anni fa, e sto parlando di vie del centro. Enormi scansie di legno su cui troneggiano centinaia di barattoli di tonno, il pesce sotto sale, le grandi buste di zucchero. Non ho visto un solo supermercato fino ad ora e quelli che ci sono, sono mini. Le panetterie, certo, sono splendide, ma nel senso della roba che contengono, non certo per il loro aspetto. La gente a mezzogiorno mangia per strada, in bugigattoli di kebab col pollo (si chiama shish kebab) e beve agli stessi due bicchieri sotto il contenitore dell’acqua: gli stessi due, e senza lavarli. Si beve. Gratis. I più esigenti consumano nei chioschi enormi bicchieri di succhi di frutta: ne ho assaggiato uno alla canna da zucchero (sugar juice), una bomba calorica ad alto potenziale. Tutto questo in pieno centro, nello smog e nella polvere. Ya Salam.

Il Cairo sembra un città ferma agli anni 60-70, agli splendori del nazionalismo arabo nasseriano. Da allora tutto (o quasi tutto) è decadenza. Di questa metropoli immensa nessuno riesce a contare con precisione il numero degli abitanti: chi dice 12 milioni, chi dice 15, chi 19. Ci sono migliaia di persone che vivono nei cimiteri a nord. Accanto a questi aspetti, però, ti accorgi che la gente è molto più avanti del regime che la rappresenta, specie i giovani. Una città di fermenti sotto traccia.

Quando osservi da vicino questo enorme agglomerato urbano, da dentro, ti accorgi dei motivi profondi della Rivoluzione egiziana. E’ stata una rivolta della miseria e della disoccupazione, prima di tutto, poi la svolta è avvenuta quando le parole d’ordine hanno assunto un carattere decisamente laico e progressista. Quando parli con i giovani si capisce che quello della disoccupazione giovanile è un enorme problema: gente in gambissima che è costretta ad arrangiarsi con dei lavoretti. Il regime di Mubarak aveva portato il livello della corruzione e degli intrighi (che da noi si chiamano “raccomandazioni”) a livelli insopportabili. Trovava lavoro solo chi “nasceva bene”, gli altri a spasso. Ora questa massa di gente dovrà trovare una sistemazione. I ragazzi a trenta, trentacinque anni vivono ancora con i genitori, che sono molto conservatori; vorrebbero mandarli in moschea, ma loro vanno (andavano) a fare le manifestazioni a Piazza Tahrir. E’ difficile per loro incontrare le ragazze, quelle più tradizionali mirano al matrimonio, ma come si fa senza soldi? Nel mondo arabo è il marito che porta la dote. Un disastro. Fortuna che hanno un carattere gioviale: è molto sentita l’amicizia cameratesca, sono gli amici che li salvano, darebbero la vita a vicenda per aiutarsi, in tutti i modi. Se qualcuno ha un monolocale tutto suo, prima o poi glielo invadono per respirare un po’ di libertà.

La gioventù più avanzata e più indigente del mondo arabo-islamico, insieme a quella di Teheran e dell’Iran: questo è il ritratto del Cairo, questa è l’immagine dell’Egitto vero, quello della gente. Lo stridore produce fiamme di indignazione. Vedere un giovane che guadagna 100-150 euro al mese facendo lavori che cominciano alle 8 di mattina e finiscono alle otto di sera è una pena. Se ci parli ti accorgi che sono ingegneri informatici, esperti di letteratura araba, dottori di ricerca con tre master in inglese, anche medici. Per i giovani con una laurea tecnica è più facile trovare lavoro, per gli altri è l’inferno. Ma anche coloro i quali hanno una laurea tecnica debbono averla presa in una università privata, altrimenti è quasi carta straccia. Le università private costano un occhio della testa, pochissimi se le possono permettere. Da certi punti di vista si comprende perché molti giovani, anche senza una fede irresistibile, vanno nelle madrase islamiche: da lì usciranno giurisperiti della shar’ia e un lavoro lo trovano.

Il sistema scolastico egiziano è un misto di tradizione islamica e innovazione occidentale. Mi sembra di aver capito che il livello elementare dura 6-7 anni, quello medio tre e quello superiore tre: in tutto dodici anni. L’istruzione superiore principale si suddivide in due: studi “classici” e studi “scientifici”. Nel “classico”, dopo il primo anno non si studiano più le materie scientifiche, prerogativa dell’altro corso di studi. Le materie “classiche” sono arabo, inglese, storia, geografia, un po’ di filosofia, religione. Quelle scientifiche chimica, matematica, fisica, biologia. Non ho compreso se si può accedere all’università che si desidera con tutte e due i diplomi, forse c’è una soglia di sbarramento dovuto al “degree“, ma non ho capito che cos’è questo “degree”“degree” di cosa?

Il sistema universitario cairota non presenta grandi differenze rispetto a quello occidentale. Tutte le facoltà durano quattro anni (non c’è il sistema 3+2), divisi in semestri, tranne ingegneria che dura cinque e medicina sette (cinque+due di specializzazione). I medici qui non guadagnano un granché, il vero motivo non sono riuscito ad arguirlo, tranne che nelle cliniche e negli ospedali privati, che sono gli unici a garantire un livello professionale (quasi) adeguato in base agli standard occidentali. Il costo della degenza però è altissimo. La vera differenza in Egitto è tra ricchi (ricchissimi) e poveri, non esiste quasi la classe media dal punto di vista economico. Ecco perché prosperano le strutture assistenziali degli islamisti e dei “Fratelli musulmani”. Il vero welfare è garantito non dallo stato, ma dalle strutture religiose. Stato qui vuol dire “privilegio”.

“Il vero arabo si studia nelle Madrase“… certo, immagino, ma le Madrase (scuole islamiche) sono scuole religiose, un po’ come quelle da noi annesse alle cattedrali nel Medio Evo. L’università islamica comprende la moschea, la scuola e un ospedale. Tutto. Si può vivere da musulmani ferventi senza mai uscire da quell’orizzonte mentale: l’orizzonte di senso islamico, come lo ha definito lo storico Gilles Kepel.

Il livello di cognizione dell’arabo in una madrasa sfiora il delirio, bisogna conoscere a memoria il Corano, conoscere tutte le parole e le regole grammaticali del libro sacro, aver letto tutti gli hadit (i detti del profeta), studiare il diritto islamico, esplorare a fondo la struttura architettonica delle moschee, immagazzinare tutte le fatwa emesse dai mufti e così via. Tutto è centrato sul libro sacro e tutto del libro sacro è centrato sull’arabo, che è una lingua dalle infinite sfumature. La gente per strada non parla l’Arabo Standard, parla il dialetto egiziano, che non rispetta affatto alcune regole basilari, come l’uso della declinazione e le regole di declinazione dei numeri; se impari l’egiziano, sarai bocciato in arabo. Ya Salam.

Giovedì 7 agosto

Di speranza si muore… su Israele, e con rammarico- Nonostante le mie simpatie per la causa palestinese, non mi sono mai azzardato a parlar male di Israele. Ho girato quel paese in lungo e in largo cinque anni fa e mi ha fatto una grande impressione, un’impressione molto positiva. Storia, relligione, filosofia, letteratura, tutto della cultura ebraica mi ha interessato a fondo e mi interessa. Da un altro punto di vista ricordo ancora quando volevo andare in un kibbutz a 17 anni (ma mio padre me lo impedì): mi affascinava quell’ardito esperimento – socialista!- di pionieri che creavano uno stile di vita nel deserto. E il viaggio in Israele è stato uno dei più belli che abbia mai fatto. Ma ora… e lo dico con un senso di rammarico e forse di addio, penso che il modo in cui quel paese si sta comportando a Gaza gli stia facendo perdere definitivamente la sua innocenza, ammesso che l’abbia mai avuta (a questo punto mi viene da pensare) e anche la sua faccia. E’ diventato un paese arrogantemente militarista e io non sto con coloro che della guerra fanno un’ideologia.

James Bond al Cairo- Oggi ho visitato il “Museo Gayer-Anderson”. Il museo fu fondato da un maggiore dell’esercito britannico, il medico militare John Gayer-Anderson, che restaurò e arredò due residenze tra il 1935 e il 1942, arricchendole di antichità, opere d’arte, mobilio, manufatti in vetro, cristalli, tappeti, sete e abiti arabi finemente ricamati. Le stanze sono decorate a tema in infinite declinazioni: c’è la stanza persiana, con le sue raffinate ceramiche, la stanza in stile di damasco, in laccati e oro, e poi una splendida fontana marmorea, travi lignee decorate e alcove rivestite di tappeti sontuosi. A proposito di alcove. Nella camera da letto dell’ufficiale britannico in un lato è sistemata la branda in cui dormiva il suo “schiavo nubiano”. Il maggiore aveva uno schiavo personale, che immaginiamo dalle fattezze gigantesche e ben proporzionate, che gli faceva la guardia anche di notte. Le stanze del museo hanno ospitato alcune scene del film dell’agente James Bond, “La spia che mi amava”; questa è la prima cosa che dice il custode-guida del museo che accende e spegne la luce nelle stanze quando si entra e si esce, come un buon padre di famiglia. E’ il set perfetto per un film sul favoloso oriente, come ce lo immaginiamo noi, splendente di lussuria orientale e spleen esotico. In effetti è una visita che merita. Cairo può essere vista da decine di punti di vista.

Prima di andare al museo, dopo le lezioni della mattinata alla “Zahara al-Hakma”, io e Mudarris Arbaa (Maestro Quattro), il mio accompagnatore-docente di oggi, ci siamo fermati in un ristorante vero, è il primo che assaggio al Cairo dopo due o tre giorni di disavventure alimentari. Ieri mi sono nutrito solo di grissini al sesamo e pane tostato. Ho scoperto che il Nescaffè si può fare anche con l’acqua minerale fredda, sembra quasi una bevanda da asporto. Ai primi sintomi di malessere digestivo ricorro a rimedi da giovane marmotta: con me ho un coltello per sbucciare la frutta (lavarla equivarrebbe a una dose di potenziale tifo), il “Nescaf gold” per il caffè da pronto intervento, minidosi di zucchero, tè in barattolo, pane tostato e fermenti lattici: l’equipaggiamento per sopravvivere due giorni nel deserto.

L’astinenza è finita oggi. Il ristorante si chiama “Abou Shakra”, in via Qaisr Al-Aini, una delle vie più trafficate del Cairo. L’interno era fresco e pulito e per 15 dollari abbiamo mangiato in due, agnello e spiedini di carne con contorno di insalata. L’olio non è male, sono i pomodori ad avere un sapore diverso. Questi cibi si coltivano nel Delta del Nilo, a nord, il granaio dell’Egitto e hanno un’apparenza salubre. E’ la robish che mangiano i cairoti che appare del tutto inaffidabile.

Stavo pensando una cosa. Siccome domani è venerdì e la scuola è chiusa, stavo meditando sulla possibilità di fare un bel giro in barca sul Nilo. La scuola di arabo è veramente efficace ma un giorno di relax completo potrebbe essere una buona idea. Farsi scorrere il paesaggio davanti come in un film. I cairoti sono molto socievoli (tranne i tassisti) e anche se spiccicano solo qualche parola di inglese ci si capisce. E’ bene, forse, solo evitare di intavolare una conversazione in arabo. Ho provato a chiedere a un ragazzo qualche giorno fa se quella era “Midan Et-Tahrir” (Piazza Tahrir in arabo) e mi ha risposto: “What?!”. Devo aver sbagliato qualcosa nella pronuncia o devo concludere che i cairoti non sanno l’arabo classico… no, scherzo, comunque è vero che l’egiziano è una lingua a parte: qui la “j” la pronunciano “gh” e ho il sospetto che mi riserveranno altre sorprese. Ya Salam.

Non riesco ancora a trovare la chiave giusta per avvicinarmi all’antico Egitto come vorrei io. Il Museo Egizio mi è scivolato davanti come un’ombra. L’unico che era riuscito a fornirmi una chiave d’accesso interessante è stato il mio docente di Archeologia del vicino oriente all’università, anche se non è uno specialista dell’egittologia. Ci parlava degli scavi nello Yemen, della vita di un archeologo nel deserto, del piacere di trovare un reperto, dei giorni di fatica per disseppellirlo. Non pretendo certo tanto, adesso, ma qualcuno o qualcosa che mi fornisca una “narrazione” dell’Egitto. Sono sensibile a questo tipo di conoscenza, minuziosa ed epica a un tempo. Vedere un colosso non mi dice niente, se ci fosse qualcuno, come la mia guida iraniana a Persepoli che mi descriveva le vesti dei sudditi che rendevano omaggio a Serse, se ci fosse qualcuno del genere… sabato andrò alle piramidi di Giza con un docente che d’inverno insegna in una madrasa. La prima cosa è trattenermi dal discutere della shar’ia, la seconda è essere paziente, la terza non aspettarmi nulla sulle improbabili spiegazioni astrologiche dell’allineamento delle piramidi. Argomento affascinante ma forse oltre la portata di un esperto di Islam. La commistione mi incuriosisce e intanto studierò quello che posso sulle epiche vicende di Cheope e della Sfinge…

Comincio ad avere le “dritte” su cosa leggono i ragazzi “impegnati” al Cairo, dove si riuniscono, che cosa bevono. Il giornale del giovane engagé cairota è “Al-Shoruuk”, vi scrive tutta l‘intellighenzia egiziana che conta, per lo più su posizioni di sinistra. Fino ad ora ho seguito l’edizione inglese di “Al-Ahram” ma mi hanno spiegato che è un quotidiano governativo. In questo periodo molti sono in vacanza e quindi si è un po’ dispersa la comunità di Piazza Tahrir. Le riunioni sono random e per lo più a casa di qualcuno, al suono di musica rigorosamente rock progressive e forse con qualche spinello. Ma i punti di ritrovo sono Il “Sufi Cafè” e la libreria “Diwan” nel quartiere di Zamalek. Su che cosa bevono le opinioni sono contrastanti e quindi di difficile argomentazione. Anche certi scrittori stanno entrando nel novero delle mie conoscenze, ma sono pubblicati solo in arabo e non sono all’altezza per il momento di capirci molto.

I giovani docenti della “Zahara al-Hakma” hanno compreso un po’ l’antifona (e qualche cosa sul mio modo di studiare e di capire) e accanto alle regole grammaticali ogni mattina decifriamo la prima pagina di un giornale. Almeno so quello che succede in tempo reale.

Obama autorizza attacchi aerei in Iraq. Il problema dell’Egitto è quello di rimpatriare due milioni di cittadini egiziani dal caos libico.

In serata mi perdo a fantasticare sull’oasi del Fayyum, dove mi piacerebbe andare. In quella località sono stati trovati i cosiddetti ritratti del Fayyum, una serie di circa 600 ritratti funebri, fortemente realistici, realizzati per lo più su tavole lignee, che ricoprivano i volti di alcune mummie egizie d’età romana. Il nome deriva dalla pseudo-oasi del Fayyum, il luogo da cui proviene la maggior parte delle opere. L’importanza di tali raffigurazioni deriva, oltre che dal loro spiccato realismo, anche dal fatto che, insieme agli affreschi di Ercolano e Pompei, a quelli della tomba del tuffatore a Paestum e ad alcune raffigurazioni tombali a Verghina nella Macedonia Centrale, sono tra gli esempi meglio conservati di pittura dell’antichità.  L’attrattiva maggiore dell’oasi, oggi, è costituita dalla vegetazione e dalla quiete  nel cuore della regione, il Lago Qarun. Il lago era collegato nell’antichità al Nilo da una serie di canali costruiti da Amenernhat III. Più tardi invece, la zona divenne uno dei siti preferiti dai faraoni per i loro momenti di svago. Gli egizi coltivavano frutta e verdura nell’area del Fayyum trasformandolo nel “giardino dell’Egitto”. Oggi il livello di sale del lago sta crescendo e le sue spiagge si stanno ricoprendo di cristalli di sale, ma grazie alla sua ricca flora è anche importante habitat per una moltitudine di uccelli stanziali e migratori. Gli antichi egizi li rappresentavano nelle decorazioni parietali delle tombe, come le famose Oche di Meidum esposti al Museo Egizio del Cairo.

Venerdì 8 agosto

Odio chiama odio, dolore chiama dolore- Vedo su un giornale americano una foto del funerale di un soldato israeliano ucciso. Rappresenta il dolore disperato di una madre sulla bara del figlio, il soldato israeliano Tsafrir Bar-Or, morto nella quarta guerra di Gaza. E’ una immagine, una immagine di dolore, davanti alla quale ciascuno di noi si inchina in silenzio. E’ pur sempre, però, un’immagine. Perché allora il grido disperato delle madri di Gaza sarebbero immagini di propaganda? Sono le stesse immagini, rappresentano la stessa cosa, l’infinita tristezza di un’umanità che non riesce più a riconoscersi. Odio chiama odio, dolore chiama dolore.

Per andare alla zona dell’imbarcadero sono passato dal quartiere dei grandi alberghi, sulla corniche del Nilo (il Lungo Nilo), e delle ambasciate. Agenti della Security con i cani antiterrorismo ovunque. Controllavano ogni singola persona che entrava in albergo, quando arrivava un macchina facevano fare al cane due giri completi intorno all’auto. I poveri poliziotti davanti alle ambasciate appendevano i giubbotti antiproiettili su una barriera (d’acciaio, anch’essa antiproiettile e antisfondamento) davanti al casotto di guardia, infatti dopo una certa ora entrava il sole. I giubbotti penzolavano inerti con i poliziotti che, inzuppati di sudore, si scambiavano battute bevendo litri di acqua. Qualcuno ascoltava la funzione religiosa alla radio. Nei negozietti aperti (pochi) le commesse erano inchiodate davanti al televisore a seguire qualche telenovela. Ya Salam.

Il Caronte sulla feluca: prima ha detto che il giro sul Nilo costava 80 lire egiziane (circa 7 dollari), per un’ora, poi ne ha volute 100, in virtù delle leggi non scritte del backshish (la mancia). Quando sono arrivato, verso le nove, stava dormendo sulla barca, si è svegliato di controvoglia, ma poi si è rilassato. Mi hanno spiegato che tutti i barcaioli del Nilo vengono da sud, dall’Alto Egitto, per lo più dalla zona di Assuan. Mi ha fatto fare un giro in tondo, io mi aspettavo di arrivare almeno ad Assuan. Oggi al Cairo si sta bene solo sul Nilo, il caldo è frastornante, senza pietà, un vortice di fuoco.

Si attendevano manifestazioni dei “Fratelli musulmani” dopo la preghiera del venerdì in moschea. Il centro del Cairo era presidiatissimo, poliziotti ogni 20 metri con le radiotrasmittenti. Un manifestante è stato ucciso negli scontri con la polizia, durante un corteo dei sostenitori del deposto presidente egiziano Mohamed Morsi, nel corso della quale sono stati effettuati quaranta arresti. Lo ha annunciato il ministero degli Interni egiziano. Il ministero ha riferito che i dimostranti pro-Morsi se la sono presa con civili contrari alla loro protesta, prima di lanciare bombe Molotov in direzione degli agenti, uno dei quali è rimasto ferito. Dalla destituzione di Morsi nel luglio 2013, i suoi sostenitori organizzano regolarmente manifestazioni, a dispetto della feroce repressione delle autorità. Queste ultime accusano in particolare la confraternita dei “Fratelli Musulmani” – dichiarata un’organizzazione terroristica – di compiere attacchi alle forze di sicurezza. La repressione ha provocato in un anno più di 1.400 vittime e ha portato all’arresto di oltre 15mila persone. Il fautore di questa politica, l’ex capo delle forze armate Abdel Fattah al Sisi, è stato eletto a maggio presidente della Repubblica con il 97 per cento dei voti.

Nella camera dell’albergo (?) dove sto fa troppo caldo nonostante l’aria condizionata e per di più non riuscivo a connettermi a Internet, così sono sceso nella hall, dove mantengono l’aria condizionata più a lungo e la connessione è buona. Domani cambio albergo, sperando di salire almeno in purgatorio. Questo è l’ultimo giorno qui, ma è stata una fatica. Nella hall trasmettono un concerto per pianoforte e orchestra che non riesco nemmeno a identificare, cosa che aumenta il mio malumore (momentaneo). In questa città ci vuole molta, molta pazienza. Ogni tanto se ne va la corrente, pensi di fare una cosa e ne devi fare un’altra. La pazienza è una delle virtù del buon musulmano, che però per me è una meta irraggiungibile.

L’invisibilità femminile- Nel quartiere di Garden City tutti parlano di questo famoso ristorante libanese: “Taboola”. Stasera l’ho provato. A un certo punto si sono sedute al tavolo accanto al mio quattro donne, una più anziana, le altre più giovani. Tutte e quattro coperte con un velo nero dalla testa ai piedi, compreso il volto. Mangiando il mio hummus con la carne ogni tanto sbirciavo per vedere se si toglievano almeno il velo facciale per bere e mangiare; tre sì, ma la quarta no. Osservando meglio, ma di sottecchi, ho notato che la donna col velo facciale si sollevava quell’indumento con la sinistra e beveva da sotto; così anche per il pasto. Esibiva uno smartphone di un certo livello, ma mangiava col volto coperto.

Non ho ancora visto, ma mi hanno detto che le donne non devono sedersi accanto all’autista in un taxi, che non possono entrare da sole in un cafè e che hanno uno scompartimento riservato in metropolitana. Non tutte le donne del Cairo portano questi mantelloni neri, sotto cui, col caldo che fa, certo la temperatura aumenta, ma c’è una certa tendenza a riportarlo. Le ragazze si limitano all’ijhab, il foulard che copre la testa e incornicia il volto. Le donne che pretendono di essere alla moda si tingono di capelli di un orribile facsimile di biondo; secondo me, non stanno bene con quel finto biondo. Ya Salam.

Sabato 9 agosto

Un’oasi verde in mezzo al deserto- Stamattina, andando in taxi a Giza mi è capitato di osservare la campagna a occidente del Cairo, appena fuori città e prima di immettermi nell’immondezzaio di Giza. Solo così si può capire che cos’è il Nilo per questo paese: campi fertili e ben coltivati, tanto verde, placido scorrere del tempo. E’ quest’escrezione urbana che è cresciuta in maniera sproporzionata, Il Cairo, che fa paura; l’Egitto di per sé offre un panorama apparentemente uniforme ma in realtà è discretamente variegato.

A Giza stamattina ci sono andato con Mudarris Khamsa (Maestro Cinque), il mio docente-accompagnatore di oggi. “Zakara al-Hakma” ha avuto una trovata geniale: a scelta si può decidere di integrare il corso con quelli che chiamano “cultural outing” in città. L’accompagnatore è sempre uno dei docenti, che poi vedi a lezione e discuti di quello che si è visto insieme: un’ottima scelta didattica secondo me. Entri nella vita del Cairo senza guide esose, pretenziose e qualche volta cafone.

Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) è appena tornato dalle ferie, che ha passato con sua moglie e i suoi genitori a Sharm el-Sheikh (Baia dello sceicco, in arabo) e di cui parla benissimo. Ha studiato Diritto islamico nell’Università islamica di Al-Azhar, ma non mi è sembrato un islamista. Diritto islamico è l’esame che ho appena sostenuto all’università ma non abbiamo parlato di questo. Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) si è dimostrato di una disponibilità unica: l’ho costretto – lui, così gentile, mite ed educato- ad incazzarsi con un tizio che ci ha fatto fare un giro in calesse tra le piramidi chiedendo prima 240 lire egiziane e poi sostenendo che questo prezzo era solo per uno. L’abbiamo spuntata (con qualche compromesso) e dopo una litigata sotto il sole.

Non pensavo di poter restare così deluso dalla visita alle piramidi di Giza, non per le piramidi in sé, ma per il terribile contesto in cui si trovano. Quando si esce dalla tangenziale del Cairo, la città appare per quello che in un certo senso è: una città africana, una città del terzo mondo. Mi dispiace essere così duro, ma io descrivo quello che vedo, senza infingimenti e quello che ho visto è uno spettacolo di degrado, miseria, sporcizia come raramente ne ho viste nei paesi arabi. All’uscita del Cairo i palazzoni sono enormi scatoloni vuoti di mattoni a vista. Sulla tangenziale sono ammassati ai lati della strada cumuli di detriti e di sporcizia. Quando si arriva a Giza è come arrivare a Nairobi. La sporcizia aumenta, ho visto ai lati della strada due cavalli morti, la puzza si diffonde nell’aria, la gente diventa aggressiva come le mosche e come le mosche si getta addosso al malcapitato turista cercando di imbrogliarlo in tutti i modi. Il tutto in un caldo da svenimento, sotto il sabbioso cielo di Giza. Uno spettacolo davvero desolante. Devo attendere che si attenui un po’ la delusione per parlarne più distesamente.

Sto realizzando che io e Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) siamo riusciti a non farci spennare molto dalle sanguisughe delle piramidi: il taxi e l’ingresso nell’area archeologica li pagava la scuola, io il calesse e l’entrata nella piramide di Chefren. Ce la siamo cavata con 30-40 dollari. Il calesse era necessario perché l’area da visitare è immensa e inoltre Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) mi ha rivelato che non andava a Giza dalle scuole elementari; mi faceva piacere festeggiare questo ritorno. Solo ora, appunto, sto assaporando, nel ricordo, le immagini della mattinata. In realtà, abbiamo sbagliato orario per andare a Giza, era troppo tardi, lì bisogna andarci la mattina presto. Ma avevo da cambiare albergo e non potevo prima di quell’ora.

La visione delle piramidi è più che altro una cosa mentale, se cerchi di svincolare il ricordo dalla turbinosa sporcizia del sito (non dentro, l’area circostante). Ed è veramente una visione. Cominciano ad apparire da lontano e ti rendi subito conto che non c’è niente di simile al mondo. Si stagliano nella foschia e nel cielo sabbioso come dei miraggi. Una volta dentro l’area, cammini nel vero deserto, giallo e sabbioso, del Sahara e se riesci nel caldo infuocato a cogliere l’incredibile simmetria del sito in realtà stai compiendo il primo passo verso l’Egitto. Da quel momento l’Egitto non costituirà più un argomento da studiare al fresco delle biblioteche d’Europa; diventerà parte essenziale di un’intera visione del mondo e della coscienza della profondità del tempo storico. Queste piramidi sono state costruite 2.000 anni prima di Cristo. Quattromila anni fa. Ya Salam.

Siccome non mi fido tanto a mangiare nei chioschetti di shish kebab (panini imbottiti di carne di pollo) e al ristorante ci vado solo ogni due o tre giorni (sembrano chissà che, ma si mangia sempre la stessa roba e sono tutti libanesi) mi sto dando al consumo intenso di frutta. Quando si entra da un fruttivendolo bisogna sorpassare la barriera dell’odore sgradevole della frutta marcia, specie il mango – l’odore di mango marcito pervade intere strade; la frutta è esposta tutta all’aria aperta e qui aria aperta significa “al sole”. Ma poi, la scelta (della frutta di giornata) è fantastica: le mele (di quattro o cinque tipi diversi) hanno un sapore delizioso, le banane sono buonissime, l’uva squisita (ma bisogna lavarla molto bene); poi c’è questo frutto che sta diventando il mio preferito: ha l’aspetto di una pera bianca, ma non è una pera, non saprei come definirne il gusto né il nome, ma mi piace tantissimo.

Domenica 10 agosto

Venerdì prossimo grande manifestazione dei “Fratelli musulmani”– Stamattina a scuola ho ascoltato una conversazione tra i docenti. Sembra che si stia preparando per venerdì prossimo una grande manifestazione dei “Fratelli musulmani” in tutto l’Egitto e specialmente al Cairo. Con tutta evidenza si preparano a uno scontro pesante col regime. Venerdì per gli stranieri è meglio non farsi trovare per strada, giornata di clausura, osserverò dalla finestra. La “dritta” che è arrivata a scuola è del tutto attendibile, proviene da uno dei “Fratelli”.

Un’artista per cameriera- A mio avviso la cameriera del mio nuovo albergo è un’artista mancata, o meglio, un’artista in pectore. Si chiama Mina. Appena arrivato mi ha fatto trovare sul letto un asciugamano ripiegato a forma di cigno, il water era inghirlandato da una striscia di carta igienica che finiva con una rosellina, una rosellina realizzata con un fazzolettino di carta era anche sullo specchio del bagno. Spero di imparare una frase gentile in arabo, di quelle cerimoniose come solo gli arabi (e i giapponesi) hanno la voglia e la capacità di usare, per poterle rivolgere un saluto adeguato. Potrei dirle: “shukran jiddan” (molte grazie) ma non rende l’idea.

L’arabo non è “arabo” – Ai più l’arabo sembra “arabo”, nell’accezione di incomprensibile. Entrare in quella lingua però riserva delle sorprese. Non ci sono maiuscole e si scrive solo con caratteri corsivi, quasi tutti legati tra di loro: la scrittura è come un’onda che si svolge sul rigo, elegante e artistica. E’ vero che è una lingua perlopiù consonantica, le vocali brevi sono appena accennate e colpi di lingua e suoni aspirati la rendono lontana dall’italiano (che è esageratamene vocalico, ammettiamolo! una lingua operistica e un tantino scanzonata); l’arabo è più severo. Ma chi penetra il mistero dei suoi fonemi si accorge che l’arabo ha un’incredibile predisposizione alla varianza e all’allitterazione: da una radice di tre suoni ricava tutto l’asse paradigmatico di un morfema. Ecco perché gli arabi sono così orgogliosi della loro lingua. E’ come un esercizio di poetica, loro giocano con la lingua, non la usano solo per comunicare. Ya Salam.

Erdogan da premier a presidente- Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali in Turchia con poco più del 51 per cento. Non so se questo rappresenta un segnale o no, il fatto che abbia poco più della maggioranza assoluta e non moltissimo di più. Spesso commettiamo un errore di prospettiva quando osserviamo le vicende del vicino e medio oriente. Nell’Anatolia arcaica e quasi fuori dalla storia non deve aver fatto molta impressione la rivolta dei giovani delle grandi città. Lì c’è una classe notabiliare ferma nei suoi interessi e privilegi, inamovibile e tutta schierata a favore di Erdogan. Cosa ci si poteva attendere di più?

Massaco dei yazidi in Iraq- La Lega Araba ha accusato i ribelli jihadisti dello Stato Islamico (IS) di commettere “crimini contro l’umanità” in Iraq perseguitando la comunità degli yazidi, che rischiano di morire a migliaia nelle montagne del Nord dove si sono rifugiati. Nabil al Arabi, segretario generale della Lega araba la cui sede è al Cairo, ha anche chiesto in un comunicato che i responsabili di questi “crimini contro l’umanità” siano portati di fronte alla giustizia. Secondo quanto ha riferito il ministro iracheno per i Diritti Umani, Mohammed Shia al-Sudani, almeno 500 yazidi, tra cui donne e bambini sono stati massacrati dai jihadisti dell’IS. Alcune vittime sono state sepolte vive, ha indicato il ministro, mentre 300 donne sono state sequestrate e schiavizzate. “Abbiamo prove evidenti, ottenute dagli yazidi in fuga da Sinjar, scampati alla morte, e anche immagini, che mostrano inequivocabilmente che bande dello Stato islamico hanno giustiziato almeno 500 yazidi dopo aver preso Sinjar”, ha detto il ministro.

Lunedì 11 agosto

Mina, la cameriera-artista dell’albergo (“On the Nile”) oggi mi ha fatto trovare un asciugamano sul letto ripiegato a farfalla, l’altro a ventaglio. Ha messo un vassoietto per raccogliere le scatole di tè e caffè, l’altro per i biscotti tostati; inoltre ha messo un po’ d’ordine tra libri, giornali e mappe sparse un po’ ovunque nella stanza. Praticamente una mamma. Ya Salam.

Generazione post-Erasmus, ignara e ambiziosa- Stamattina ho avuto una lunga conversazione con Agacia, una delle tre studentesse del corso avanzato di arabo. Ha circa 26-27 anni. E’ catalana, viene da Barcellona ed è qui da nove mesi per perfezionare la lingua. Sì, ma perché vuole perfezionare la lingua? Studia Scienze politiche a Londra, con indirizzo medio-orientale e vuole fare un Ph.D in America. Bene, allora le ho chiesto qualcosa sulla situazione politica egiziana, una specie di interrogazione; non sa nulla. Non legge un giornale, non conosce quello che sta avvenendo nel nord dell’Iraq. Ah, certo, Agacia conosce tutti i locali alla moda del Cairo, ha un sacco di amici, “vede gente”… La generazione Erasmus conserva ancora un qualcosa di ingenuo e post-liceale; la generazione post-Erasmus è solo assetata di titoli molto trendy. E’ una specie che è nata, forse, dalla crisi della scuola europea. Sa fare solo test all’americana. Agacia, c’è da dire, conosce molto bene l’arabo, ma lo parla con uno squillante accento catalano, non capisco quello che dice quando parla in arabo. Capisco solo il nome dei locali che frequenta, dei cibi che mangia, delle tisane che beve.

Iraq nel caos -l’Alleanza nazionale irachena, la coalizione parlamentare che raccoglie i principali partiti sciiti, ha scelto Haidar al Abadi come suo candidato alla carica di primo ministro, al posto di Nouri al Maliki, il premier in carica. Lo hanno reso noto fonti in seno all’Assemblea nazionale.

Egitto mediatore- Al Cairo i mediatori egiziani proseguono i colloqui con le delegazioni israeliane e palestinesi per riuscire a prolungare la tregua a Gaza e “raggiungere un cessate il fuoco ampio e permanente”. Le misure di sicurezza in città sono in una parte visibilissima, in un’altra sotterranea. Ci sono più agenti segreti che turisti.

In Medio Oriente bisogna osservare i gesti al di là delle parole- Il Presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha eseguito l’Umrah a Mecca dopo aver conseguito il suo scopo principale, che consisteva nell’incontro con il custode delle due moschee, Re Abdullah, nel Palazzo reale a Jeddah.ʿUmrah è il termine usato per indicare il pellegrinaggio “minore”, che tocca molti dei luoghi del pellegrinaggio “maggiore”, detto hajj, effettuato tuttavia al di fuori del mese di Dhu l-Hijja.

Il pellegrinaggio “minore” si può compiere tutto l’anno; se il presidente egiziano ha deciso di compierlo adesso un motivo c’è e si riesce a interpretarlo solo con la conoscenza dello schema azione-reazione che è connaturato al mondo islamico. Ogni volta che l’Occidente fa una mossa, ne segue una uguale e contraria (non necessariamente opposta) dei politici arabi. La novità principale di queste ore è l’intervento americano contro lo “Stato Islamico” nel nord dell’Iraq. A questo è seguita ed è ancora in corso tutta una serie di manovre nl Medio Oriente. La prima è il rafforzamento delle posizioni dell’Arabia Saudita contro l’ISIS (lo Stato Islamico autoproclamato da Al-Baghdadi). Evidentemente l’Egitto è d’accordo. Questo può voler significare solo una cosa: mano libera a Obama per far fuori i jihadisti del nord. Conseguentemente, la bilancia si sposta a favore del mondo arabo “moderato” per tamponare la politica aggressiva di Teheran.

Martedì 12 agosto

Falafel a colazione- Lentamente sto entrando in pieno nello spirito cairota, anche a tavola. Stamattina ho fatto colazione a base di “falafel”, polpette fritte e speziate a base di legumi, tra cui i più utilizzati sono le fave, i ceci e i fagioli tritati con sommacco, cipolla, aglio, cumino e coriandolo. In Egitto sono noti principalmente nella versione a base di fave col nome di “ta’amiyya”.  Sono convinto di essere ancora a metà dell’opera. Il passo decisivo è quello di fare colazione direttamente per strada e a base di “Ful”. C’è una postazione vicino al mio albergo. L’ingrediente principale sono le fave secche, cucinate a fuoco lento in grossi contenitori di rame. Il “Ful” è servito con olio di oliva, prezzemolo tagliato, cipolla, aglio e spremuta di limone; si mangia arrotolandolo nella pita, nel pane locale. Il “Ful” ha un tradizione venerabile, costituiva la prima colazione degli antichi egiziani. Ya Salam.

Giornata filosofica- Se pensate che Al-Azhar (Jamiʿat al-Azhar) al Cairo sia un’università qualsiasi vi sbagliate di grosso. Questa è la più importante università islamica dell’intero mondo musulmano. Il cuore degli studi islamici. Ho avuto la fortuna di essere accompagnato da un ex studente di Al-Azhar, da Mudarris Khamsa (Maestro Cinque), il mio docente-accompagnatore.

L’Università al-Azhar è uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita. Al-Azhar letteralmente significa “la Luminosa” e fu fondata dagli Imām/califfi fatimidi sciiti-ismailiti nel X secolo, immediatamente dopo la conquista dell’Egitto da parte di Jawhar al-Siqilli ed è considerata una tra le più antiche università ancora funzionanti del mondo. All’inizio essa fu un centro di studio e insegnamento del credo ismailita ma, dopo la riconquista al Sunnismo dell’Egitto da parte di Saladino, è diventata col passar del tempo la più prestigiosa sede di elaborazione del pensiero sunnita, seguita per autorevolezza dalla Qarawiyyīn di Fez (Marocco) e dalla Zaytuna di Tunisi.

La storia di Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) è molto interessante. Si è laureato ad Al-Azhar in diritto islamico e comparato. Ha appena sostenuto l’esame per diventare giudice (qadi) ed è in attesa del responso. E’ a sua volta figlio di un giudice amministrativo che lavora in un ufficio del governo al centro del Cairo, laureato anch’egli ad Al-Azhar. Per ora Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) lavora alla “Zakara al-Hakma” in attesa, appunto, del risultato degli esami. E’ un appassionato di filosofia e di storia delle religioni, ama viaggiare (è stato un certo periodo a Edimburgo con una borsa di studio), è curioso del mondo occidentale. Sono giorni e giorni che stiamo discutendo sulla legge islamica (shari’a) ma soprattutto sulle differenze tra la filosofia musulmana e quella occidentale. Ovviamente, stiamo graduando la discussione su diversi livelli; in effetti chi può dire in che cosa consista oggi la filosofia occidentale? Perciò il confronto lo manteniamo sul rapporto tra filosofia greca e filosofia arabo-islamica. Oggi però, nel caldo del taxi mentre andavano ad Al-Azhar ci siamo spinti fatalmente oltre. Avevamo già cominciato nel ristorante “Taboola”, ma con lievità. Quando siamo arrivati al rapporto spinoso tra religione e scienza, ci siamo un po’ arenati, per subito riprendere slancio quando gli ho parlato delle critiche di Galilei alla Bibbia; no, non critiche, osservazioni. Galilei pensava che ci fossero due verità. Per un musulmano questo è inconcepibile: la verità è una e si trova nel Corano. Ma Mudarris Khamsa (Maestro Cinque) appariva (ed è) sinceramente interessato a questo genere di considerazioni. Forse non arriverà a considerare la fede un fatto privato, ma avremo un nuovo e giovane interlocutore all’interno dell’Islam che guarderà con rispetto alla libertà di pensiero.

Mercoledì 13 agosto

L’Egitto islamista si prepara a commemorare i morti di Rabaa- Lo scorso anno nella piazza di  Rabaa è stato portato a termine un massacro pianificato: i dimostranti uccisi sono stati almeno 817, probabilmente mille. Si è trattato di uno degli episodi più sanguinosi della storia recente. E’ il j’accuse di “Human Rights Watch” al Cairo, in un rapporto sulla repressione delle manifestazioni dei pro-Morsi il 14 agosto 2013. “Non è stato uso eccessivo della forza, ma un ‘colpo di grazia’ deciso ai più alti livelli del governo”, accusa il direttore Roth. Si preparano le commemorazioni che si terranno venerdì. Cairo blindata.

Il risveglio spettacolare di Carla– C’è una terza ragazza spagnola, che fino ad ora era rimasta in ombra, Carla. Stamattina si è svegliata; l’occasione è stata l’arrivo di un nuovo elemento nella scuola, belloccio e tedesco (di Passau). La secchiona ci ha cinguettato tutta la mattina. Prevedo ulteriori sviluppi, lo arguisco dall’atteggiamento tutta smorfie e sorrisi e piegamenti da un lato nell’allegro chiacchiericcio. L’atmosfera ora sembra meno seriosa, più vicina a un corso di studio all’estero e meno professionale. Le fluttuazioni di questo tipo di scuola sono rapide e incalzanti.

Mireya riempie pagine di appunti.

Ho trascorso la mattinata ad osservare l’atteggiamento delle persone nell’imminenza di due giorni di fuoco: le commemorazioni per i martiri di Rabaaa, domani e dopodomani. Le manifestazioni dei “Fratelli musulmani” si prevedono imponenti. La cosa si può risolvere in un nulla d fatto, come può scoppiare il finimondo. Intanto, la scuola ha annullato per tutto il fine settimana le sortite fuori in città, riprenderanno la settimana prossima.

Il discorso dell’ex presidente Mubarak su una barella-  “Mohammed Hosni Mubarak non avrebbe mai ordinato l’uccisione di manifestanti o versato il sangue degli egiziani”. Parla di se stesso in terza persone il deposto presidente egiziano, che oggi per la prima volta dall’aprile del 2011 ha testimoniato in tribunale nel nuovo processo che lo vede imputato insieme al suo ex ministro degli Interni Habib El-Adly e altri sei collaboratori per l’uccisione di 850 manifestanti durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011 che ha portato alla sua deposizione. Mubarak, 86 anni, ha parlato disteso su una barella da dietro le sbarre per le sue precarie condizioni di salute e ha dichiarato di essersi dimesso volontariamente del 2011 per evitare l”’abisso”. Mubarak, che ha difeso i suoi 30 anni al potere in Egitto, ha detto che dalla sua deposizione ha subito ”offese, diffamazioni e accuse”. Il modo in cui ha guidato il suo Paese, ha detto, è stato con ”dedizione, onore e onestà” e che sarà la storia a giudicarlo. Il Tribunale penale del Cairo ha annunciato che la sentenza su Mubarak sarà emessa il 27 settembre. L’ex presidente era già stato condannato all’ergastolo nel giugno del 2012, ma la sentenza è stata annullata nel gennaio 2013 per vizi procedurali e nell’aprile del 2013 è iniziato un nuovo processo. Lo scorso agosto Mubarak è stato scarcerato e posto in stato di arresto presso l’ospedale Maadi al Cairo. ”Questo potrebbe essere il mio ultimo discorso – ha detto Mubarak alla Corte – dal momento che la mia vita è vicina alla fine. Grazie a Dio ho la coscienza a posto e sono soddisfatto di averla spesa a difesa dell’Egitto”. Definendosi innocente, l’ex raìs ha quindi affermato di aver trascorso ”62 anni a servizio dell’Egitto”. Mubarak ha quindi detto di avere fiducia nel sistema giudiziario egiziano. ”Ho trascorso la mia vita a combattere contro i nemici della patria. Non avrei mai ordinato di uccidere un singolo egiziano in nessuna circostanza. Non avrei mai dato ordini che avrebbero provocato anarchia o un vuoto politico”, ha detto alla Corte.

Egitto, domani ondata rivoluzionaria a un anno dalle stragi di al-Rabaa e di al-Nahda – Riporto una notizia di agenzia di Adn-Kronos- L’Alleanza nazionale in sostegno della Legittimità fondata dai Fratelli Musulmani ha convocato per domani una manifestazione di massa per dare il via a una ”ondata rivoluzionaria” internazionale in occasione del primo anniversario delle stragi condotte dalla polizia nelle piazze di al-Rabaa e al-Nahda al Cairo. Qui un anno fa centinaia di sostenitori del deposto presidente islamico Mohammed Morsi furono uccisi dagli agenti intervenuti per smantellare i due sit-in in corso da sei settimane. E l’appello è stato rivolto proprio a manifestare nelle “piazze della rivoluzione”: Tahrir, Rabaa al-Adawyia e al-Nahda per commemorare chi ha perso la vita qui. Inoltre, sotto il titolo ‘La storia di Rabaa’, la campagna si propone di sostenere a livello internazionale il riconoscimento dei diritti delle vittime e dei feriti. ”L’Alleanza nazionale dà valore alla leggendaria resistenza del popolo di fronte al sanguinoso colpo di Stato. L’Alleanza chiede a tutti di andare avanti con forza con la rivoluzione e di rifiutare tutti i tentativi di trasformare la nostra lotta nazionale in uno scenario algerino”, si legge sul comunicato diffuso dalla coalizione islamica di cui fanno parte 14 partiti. Riaffermando l’intenzione a manifestare in modo pacifico, nel comunicato si ribadisce l’intenzione di ”punire” e processare i ”leader golpisti” responsabili di aver commesso reati riconducibili al genocidio a danno degli egiziani. L’Alleanza ha quindi avvertito le ”forze golpiste” dal ”continuare a violare la linea rossa contro le ragazze”. Ieri Human Rights Watch ha accusato le forze egiziane dell’uccisione ”sistematica” di 1150 manifestanti la scorsa estate, di cui almeno 817 solo a Rabaa.

I Cairoti cercano di allentare la tensione, ma i “Fratelli musulmani” si preparano allo scontro- In vista del 14 agosto, anniversario delle stragi a Rabaa e Nahda, i Fratelli musulmani si dicono pronti a scendere di nuovo nelle strade. Abbandonando le sbandierate tesi pacifiste e invitando i propri seguaci a riprendere le piazze, «armati» per far fronte alla prevedibile reazione delle forze dell’ordine.

Tam tam via social network- Il piano dei Fratelli, reso noto con un comunicato via social network dai leader riparati all’estero, è quello di confluire al Cairo a partire dal 13 agosto e occupare nuovamente Rabaa e Nahda, dove un anno fa in centinaia vennero uccisi negli scontri con polizia ed esercito. I leader superstiti – la gran parte del gruppo dirigente è in carcere – invitano i membri di tutti i governatorati d’Egitto a coordinarsi per garantire un «afflusso di massa» nella capitale egiziana. Sul fronte opposto, le forze dell’ordine sono in stato di massima allerta, pronte a difendere in particolare alcuni commissariati strategici a Giza e Minya (a sud del Cairo), in quelle aree considerate ancora bastioni della Fratellanza. Occhi puntati anche sul Sinai, teatro da quasi un anno della guerra silenziosa contro formazioni jihadiste ancor più radicali, che solo negli ultimi giorni di operazioni militari conta «60 terroristi uccisi» e oltre 100 catturati. Le autorità hanno poi elevato l’allarme nei pressi del carcere di Tora, al Cairo, dove è recluso Mohamed Badie, il leader della Confraternita, e in quello di Borg al Arab, ad Alessandria, dove è invece imprigionato Morsi.

Ma non sono le possibili manifestazioni a preoccupare le forze dell’ordine: il timore è che con l’occasione dell’anniversario di Rabaa i jihadisti siano pronti a vendicare le sconfitte militari patite in Sinai a colpi di autobomba, anche nella capitale, violata pochi mesi fa dal primo attacco kamikaze nella storia recente del Paese. E c’è l’incognita al Qaida, con il successore egiziano di Osama bin Laden, Ayman al Zawahri, che già da tempo ha bollato il governo del presidente Sisi come «colluso con Israele». Un’accusa che surriscalda il clima, già rovente dopo le violenti critiche delle fazioni radicali palestinesi per quello che viene definito il «mancato sostegno» del Cairo nel conflitto a Gaza. Alcuni osservatori ammoniscono che la guerra a Israele potrebbe essere l’occasione per scatenare una nuova ondata di violenze estremiste, dall’Egitto alla Libia, capace d’infiammare di nuovo il nord Africa orfano della Primavera araba.

Ministero dell’Interno dichiara lo stato di massima allerta- Il Cairo e il resto del Paese si preparano a uno stato di massima allerta, con polizia e militari nelle strade “per fronteggiare ogni tentativo di provocazione”, in relazioni alle manifestazioni nella ricorrenza dell’eccidio di Rabaa, come ha annunciato oggi il ministero dell’Interno. Verrà elevato il sistema di sicurezza davanti a commissariati, carceri e probabilmente chiuse le piazze icone delle rivolte, Rabaa e Nahda ma anche Tahrir e altri luoghi di raccolta.

Giovedì14 agosto

Un tranquillo week-end di paura- E’ una strana giornata oggi al Cairo. Oggi sono cominciate le manifestazioni per l’anniversario dell’eccidio di Rabaa al-Adaweya e di piazza Nahda. Un anno fa l’esercito apriva il fuoco contro i manifestanti pro-Morsi e provocava 800 morti (cifra ufficiale; secondo molti si sarebbe trattato di mille o addirittura di duemila morti). L’enormità della repressione superò perfino PiazzaTienanmen. La novità di oggi è che non sono solo i “Fratelli musulmani” a reclamare giustizia, anche se questi ultimi soffiano sul fuoco della rivolta per una specie di rivincita politica.

Non so quello che si sta vedendo in Europa, in realtà Il Cairo è in stato d’assedio, con un impressionante spiegamento di forza pubblica. Di conseguenza gli scontri sono avvenuti lontano dal centro, sulla superstrada dell’aeroporto e su alcune strade di uscita dalla città. Ora il Cairo è parzialmente isolata per impedire l’arrivo di altri manifestanti da fuori; infatti, sarà domani il vero giorno di fuoco, dopo la preghiera del venerdì. Gli scontri più sanguinosi stanno avvenendo in altre città, in particolare a Damietta, Alessandria, Port Said e Fayoum. Fino ad ora si contano sei morti e centinaia di feriti e di arresti. Stamattina, dopo il richiamo alla preghiera del mezzogiorno, si respirava un’aria strana. I cairoti sembravano piuttosto mesti e non salutavano con molta cordialità. Il traffico, se possibile, era ancora più caotico, per via della chiusura di alcune strade.

Bloccate tutte le entrate e le uscite al Cairo- Ci sono i carri armati per le strade, ma qui è normale. Si sta svolgendo la più grande protesta contro il governo da un anno a questa parte. Le notizie non filtrano facilmente ma ci sono scontri ovunque al Cairo e anche a Giza e in altre cittadine del nord.

C’è una lieve discrepanza tra quello che sto vedendo nei vari canali televisivi, secondo i quali la situazione si è calmata in città e quello che vedo e sento in questo momento da una finestra sul Lungo Nilo, lungo il quale continuano a passare a sirene spiegate macchine dell polizia, ambulanze e vigili del fuoco.

Venerdì 15 agosto

Una città spettrale- Ho fatto un breve giro nelle vie del centro. Il Cairo appare come una città spettrale, non c’è nessuno in giro, solo militari, poliziotti, agenti della sicurezza e mendicanti. Piazza Tahrir è presidiata con uno schieramento a raggiera; tutte le vie di acceso sono bloccate con due blindati, uno di fronte e uno di spalle a chiudere il varco. Potrebbe essere ingannevole pensare di aver superato un blocco perché in posizione strategica sono posizionati i rinforzi dentro enormi camion. Ogni cinquanta metri una macchina della polizia, ben visibile, coordina le informazioni. Davanti ai ministeri ci sono rotoli di filo spinato

Tre morti a Giza in scontri tra dimostranti e polizia. Fonte Ministero degli Interni.

Fino a mezz’ora fa ancora scontri in Al-Hurreya Street nel quartiere di Al-Matarya.

L’opposizione è fortissima, ma il regime sembra ancora più forte. La prova di forza contro il presidente non sembra riuscita.

Una settimana decisiva per Al-Sisi. Ha saldato intorno alle forze armate il consenso di una parte della borghesia religiosa.

Le tre mosse di Al-Sisi per battere le opposizioni interne e guadagnare un ruolo strategico in Medio Oriente-
1- La prima mossa è stato l’avvio dei nuovi lavori nel Canale di Suez, che sembra potrà assorbire più di un milione di lavoratori e tecnici.
2. La seconda è stata il molto pubblicizzato viaggio in Arabia Sudita, spuntando le armi di chi lo accusava di tiepido impegno religioso.
3- La terza aver praticamente ingessato il paese in questi giorni in occasione dell’anniversario della strage da lui stesso ordinata a Rabaa. Da come si sono svolti gli avvenimenti sembra che l’ordine sia stato di prevenire piuttosto che quello di reprimere. Il paese in questi giorni è stato nelle mani dei militari come non mai.

Il problema numero uno dell’Egitto è l’economia. Suez, gli accordi con Putin, l’aiuto dell’Arabia Saudita. Se gli riesce la ripresa economica, Al-Sisi legittimerà un potere nato da un colpo di stato.

La questione centrale di tutto il Medio Oriente è stroncare l’avanzata delle forze islamiste e jihadiste dell’ISIS/ISIL nel nord dell’Iraq e della Siria. Non si esclude nemmeno un intervento armato di paesi arabi contro la Libia in mano agli insorti. Le cose sono complicate dalla crisi di Gaza. Una volta convinti Israele e Hamas a una tregua sarà più facile intervenire contro l’ISIS.

Sabato 16 agosto

Stamattina il centro del Cairo appariva ancora presidiato da polizia ed esercito, ma nella tarda mattinata sono scomparsi i blindati, ora il controllo è discreto e a distanza. Ho visitato il famoso quartiere di Zamalek e l’altrettanto famosa libreria “Diwan”, buona ma non ottima.

La tristezza dei rapporti tra i sessi- Nella libreria “Diwan” a Zamalek c’era una volenterosa commessa; si vedeva che voleva aiutarmi, ma non mi parlava per più di 20 secondi, indicava lo scaffale e via, poi la richiamavo, stessa scena, indicazione e via. Da quando i “Fratelli musulmani” sono diventati più forti i rapporti tra i sessi, specie con uno straniero, si sono fatti più aleatori e astrali. Praticamente non c’è rapporto, anche quando sarebbe utile, come in una libreria. Ya Salam.

Ho comprato una storia della filosofia occidentale in arabo: Kant una pagina e mezza, Hegel due, Nietzsche due e mezzo.

Adolescenti double-face– Tolto il velo un’adolescente del Cairo non si distinguerebbe molto da un’adolescente italiana o francese: stessi jeans, stesse scarpe, persino stessi occhiali (Ray ban). Ma hanno il velo.

Se le adolescenti non ci metteranno molto ad eguagliare le loro colleghe europee, sono le donne sulla trenta-quarantina ad apparire di un’altra epoca. Molte che siedono (sole e senza problemi) in un café si vede che fanno una qualche professione intellettuale, leggono libri, giornali, ma somigliano a una mia vecchia insegnante delle medie.

Upper class ed eleganza- Zamalek è un quartiere residenziale di ceto alto. A un certo punto si è fermata una Nissan “Sunny” con una giovane donna al volante con un’acconciatura alla Tina Turner, sul biondo platino e senza velo. Chiedeva un’informazione ma non ho potuto esserle d’aiuto. Le donne dell’upper class non sembra che abbiano molti problemi

Oggi ho mangiato da “Felfela”, l’altro ristorante di cui tutti parlano (in Shari Hoda Sharawy, vicino a piazza Tahrir). L’ho trovato molto buono e simpatico, molto più di “Taboola”, il quale ultimo ha i prezzi più alti della categoria. Secondo me è sconsigliabile mangiare in uno dei ristoranti dei grandi alberghi. Se si vuole apprezzare cucina e atmosfera cairota “Felfela” va benissimo. Dopo, caffè da “Cilantro”. Ho notato che le coppie di giovani fidanzati (ce n’era qualcuna da “Cilantro”) parlano a bassissima voce, mentre i gruppi di giovani si esibiscono in una retorica affascinante mangiando torte di cioccolato. Per un cairota ogni avvenimento, anche il più umile, diventa la scena di un racconto memorabile, dalle tinte epiche. Non capisco tutto, anzi, solo un poco, ma sono incantato dalla maestria narrativa.

Dall’albergo si vedono le imbarcazioni che solcano il Nilo offrendo cene per turisti; sembrano dei luna park galleggianti. Deve essere una cosa tristissima fare uno di questi giretti con la musica finto-egiziana. A vederli da lontano sono abbastanza scenografici, ma hanno l’aria della cattiva imitazione di un film di Fellini. Per di più non ci sono turisti, solo qualche famigliola saudita che non sembra aver molta intenzione di farsi spillare soldi da chicchessia. Qualche giorno fa ne è arrivata una nel mio albergo, forse hanno dormito in sei o sette nella stessa camera, terremotando locali di solito austeri e silenziosi.

I racconti arabi non iniziano e non finiscono. Tutte le frasi cominciano con “wa”, “e” (congiunzione). Quasiasi cosa è la continuazione di un’altra. La maggior parte dei racconti di Mahfouz inizia con “e”. I maggiori articoli dei giornali iniziano con “e”. Se qualcuno comincia a parlare, immancabilmente dice “e”. Anche la fine non è marcata, le frasi altisonanti sono al centro, poi la narrazione si smorza, come a rimandare a qualcos’altro. E’ probabile che la sintassi sia influenzata da una particolare concezione del tempo degli arabi. Per esempio non esiste il verbo “essere” (si usa solo al passato), di conseguenza non esiste anche la parola fondativa di tutta la filosofia (e di tutta la logica) occidentale. Questo nominalismo sintattico immerge ogni cosa in un eterno presente. Gli arabi non hanno l’ansia né del passato né del futuro (solo quando vanno di fretta nel traffico sembrano indemoniati) e non intendono definire la circostanza in cui una cosa “è” (e non può “non essere”).

Domenica 17 agosto

Il volto nascosto di Umm Kulthum- Oggi ho visitato il Museo che il Cairo ha dedicato a questo straordinario personaggio: Umm Kulthum, la voce dell’Egitto. Il giovedì sera l’Egitto si fermava per ascoltare le sue canzoni alla radio, canzoni che cantavano di amori tradizionali e buoni sentimenti, anche se tutti (forse) sapevano che la grande Kulthum era lesbica, andata sposa al suo medico personale senza mai consumare il matrimonio. Gli egiziani si deliziavano della sua portentosa capacità vocale, ma non vedevano che nella mano destra portava un velo in cui nascondeva una dose di hascish o di oppio. Che personaggio, Kulthum, figlia (contadina) di un’altra epoca, a suo agio con re Furuk come con Nasser, trasversale e nazionalista. Invitata al Cairo a una vita trasgressiva e bohèmienne, si ritraeva nscondendosi dietro l’apparenza dei buoni costumi della società tradizionale egiziana. Kulthum rappresentava l’oltranza della voce femminile, con un’estensione vocale enorme (su una base di contralto) e un’incredibile capacità improvvisativa: una sua canzone poteva durare anche un’ora. E’ un po’ lontana dal nostro gusto e dalla nostra sensibilità ma un vero muscista dovrebbe riconoscere in lei la più grande cantante del Novecento.

E’ cominciata la discesa- Tradizionalmente, quando supero la metà di un soggiorno comincio a fare i conti con quello che ho visto, con quello che ho imparato. La metà l’ho superata in questi giorni e ora comincia la discesa. Ora non sono più le novità ad attirare la mia attenzione, ma quel lento movimento di assestamento di idee, volti e immagini. Ora vedo con altri occhi. Ho imparato a salutare le varie persone che incontro la mattina quando vado alla “Zahara al-Hakma”, il giornalaio, il poliziotto, l’usciere di un palazzo. Il giornalaio, in particolare, è convinto di insegnarmi l’arabo anzi l’egiziano e mi fornisce varie espressioni in lingua, del tipo “nessun problema”, “mish mushkela”, che non è arabo, ma egiziano. Garden City è un quartiere discreto, mi sono trovato bene. E’ il Cairo nel suo complesso che fa impressione. Una città fuori controllo, un mostro urbanistico. Esistono diverse città una dentro l’altra. Quando hanno cominciato a costruire la Cairo moderna, intorno al 1860, sul modello europeo, deve essere stata una città molto bella. Ora non si può dire che sia bella; interessante, ma non bella. Una città in cui la decadenza e la povertà stringono il cuore. Trovo che gli egiziani siano intellgenti e arguti, amano la conversazione, stare con gli amici; molti amano il loro Islam. I giovani sono proiettati all’esterno, vogliono sapere tutto sull’Europa, ma sono profondamente urbani e cairoti. La cifra del Cairo è il traffico, ma c’è una quantità di luoghi di ritrovo. E’ una città in contnuo movimento. La capitale egiziana mantiene la più antica e importante università islamica del mondo musulmano e contemporaneamente pubblica una quantità di giornali scritti molto bene e con un punto di vista progressista. La vera letteratura del Cairo è il giornalismo: i cairoti sono polemisti nati. Le donne invece sono delle ombre, hanno partecipato alla rivoluzione e infittiscono le schiere degli islamisti, ma sembrano tornate indietro di decenni. La cifra del Cairo è la contraddizione. Ora che si sta spegnendo l’eco della Rivoluzione dovrà trovare altre strade per entrare nella modernità: gli egiziani lo vogliono ma non sanno come fare, quali modelli seguire o quali modelli abbandonare.

Lunedì 18 agosto

Vespaio nella “Zahara al-Hakma”– I miei docenti-amici, che sono miei amici anche in Facebook, hanno voluto sapere che cosa ho scritto ieri su Umm Kulthum, la grade cantante egiziana. Gliel’ho tradotto e sono rimasti sconvolti. Vespaio. Come, Umm Kulthum lesbica, oppiomane, trasgressiva? Ma che ne sai tu, di Umm Kulthum?!? Ho cercato nel vespaio generale, a cui si sono uniti tutti gli studenti della “Zahara al-Hakma”, di spiegare le mie ragioni. L’ho letto, in Europa è risaputo. Gli ho infranto un mito. Molti dei docenti chiederanno a genitori e nonni se sanno qualcosa dell’omosessualità di Umm Kulthum. Ormai, quando arrivo io c’è un trambusto generale, molto simpatico, amichevole, senza animosità. Non porto verità, porto dubbi a man salva. Leggo molto in questi giorni, vado in giro, “vedo gente”. Questa città (i suoi abitanti) mi è molto simpatica. Poi, quando sono stanco, vado nel mio posto preferito sulle rive del Nilo, all’imbrunire, e mi immergo in una meditazione che mi sta facendo bene. Poi nella “Zahara al-Hakma” la mattina, sparo tutte le mie cartucce e le discussioni sono infinite, un po’ in inglese e un po’ in arabo. Porto i giornali (una novità nella scuola) e li sfido a contraddirmi su alcune vicende cairote altamente controverse.

Anche con Algacia, Carla e Mireya ora c’è una maggiore confidenza.

Quando si spegne il rumore emerge la vera voce del Cairo- Dopo una giornata tra lezioni, discussioni, escursioni e caldo, è simpatico la sera ritrovarsi con alcuni (nuovi) amici in qualche cafeteria del centro a crogiolarsi nei pettegolezzi e nelle ultime novità. I miei amici sono molto curiosi: vogliono sapere cosa insegno, cosa fa mia moglie, cosa fanno i miei figli, quanto è grande la mia casa, se c’è traffico nella mia città. Della mia città – come si può facilmente intuire data la sua intima costituzione- non c’è molto da dire; ma c’è molto da dire sui giovani cui insegno, sulla vita italiana, sui libri che si pubbicano, sulla vita politica. Ogni tanto nel cafè registriamo qualche nuovo arrivo, un giornalista di “Al Shorouk” o di “Al Ahram” accompagnato da qualche giovane e affascinante collega. Allora tutti ci precipitiamo a commentare il nuovo arrivo con ardore indagatorio. I giornalisti del Cairo sono molto trendy e hanno molto potere. Le giornalste anche, le uniche donne che hanno qualche voce in città. Non è raro che capiti anche qualche regista teatrale o cinematografico. In questi giorni stanno tornando dalle ferie e si ricomincia a vedere la Cairo intellettuale che anima i ritrovi delle notti cairote, in cui finalmente si respira senza il caldo opprimente.

Questioni di tempi- Stamattina ho avuto una discussione nella “Zahara al-Hakma” con Mudarris Khamsa (Maestro Cinque)  sui tempi nella lingua araba e nelle lingue indoeuropee. Secondo lui, il fatto che in arabo non esista il verbo “essere” significa che l’arabo vive o nel passato o nel futuro. Secondo me, al contrario, vuol dire che vive solo nel presente.  C’è anche un’altra caratteristica singolare dell’arabo: il fatto che le persone del verbo “avere” sono considerate “nomi”, non “verbi”. Cioè, l’arabo non fa uso degli ausiliari, ed è veramente strano parlare senza ausilari. Inoltre i tempi arabi si dividono in due grandi categorie: il perfetto (il nostro passato) e l’imperfetto (il nostro presente). Questo può voler dire che l’arabo ha una particolare sensibilità per la qualità dell’azione, finita o non finita, piuttosto che per la sua modalità, cui sono così affezionate le lingue indoeuropee, ma forse sarebbe meglio dire: latine, dato che l’inglese per esempio non ha tutta quella complessità delle coniugazioni italiana, francese, spagnola. La forma passiva esiste, ma i linguisti dicono che solo nel ‘900 ha cominciato a prendere piede, soprattutto nei giornali; in precedenza, si usava di preferenza la forma attiva.

Questioni di persone- Se in un negozio sbagli “persona” e “genere” sono guai, ti guardano storto. Se a una donna ti rivolgi con “anta” (tu maschile) o a un uomo con “anti” (tu femminile) fai una pessima figura (in arabo si dà del “tu” a tutti). C’è un pronome per il maschile e un pronome per il femminile; i miei docenti dicono che il ruolo della donna è impotante solo nella lingua nei paesi arabi. Inoltre, esiste ancora il duale. In questa foresta di persone e di generi ci si perde; persino i numeri hanno una doppia declinazione e i suffissi dei verbi. Qui l’arabo presenta tutta la sua complessità, senza dimenticare i tre casi della declinazione e tutte le irregolarità dei plurali (plurale sano e plurale fratto) e degli aggettivi. Il ruolo della “persona” è centrale in questa lingua che, nella sua purezza coranica, ha un alto profilo stilistico.

Martedì 19 agosto

Dopo aver mangiato un piatto di “Fattah”, una pietanza di riso e carne, da “Felfela” io e Mudarris Thalatha (Maestro Tre) abbiamo preso un taxi a Piazza Tahrir. Ore due e trenta. Abbiamo fatto tardi perché ho condotto Mudarris Thalatha (Maestro Tre) nella libreria dell’Università americana, cercavo un libro di storia della filosofia islamica. Non l’ho trovato. Mudarris Thalatha (Maestro Tre) si è messo in contatto con suoi amici e sembra che ci sia un’edizione in una libreria di Dokki. Vedremo i risultati. Nel parco dell’Università americana non sembrava di stare al Cairo: verde, acqua, fresco. Non deve essere male studiare (o insegnare) in uno di questi posti. Dunque, dicevo, alle due e trenta, schiantati dal caldo. Il tassista ci ha fatto fare un giro lunghissimo per evitare il traffico del centro, siamo passati dalla parte nord del Cairo per aggirare il mostro e andare verso la Cittadella di Saladino, che tanti ricordi evoca a chi ha studiato la storia delle Crociate. Saladino (Salaḥ al-Din) fu il leggendario capo guerriero che cacciò i cristiani dalla Terra santa, che, per lui, evidentemente, era santa in un altro senso. Nel calore brutale del viaggio a un certo punto Mudarris Thalatha (Maestro Tre) e il tassista si sono messi a conversare in maniera fitta e continua e mi sono quasi addormentato mentre lingue di fuoco penetravano dal finestrino aperto. Quasi in deliquio, ogni tanto percepivo qualche parola conosciuta. A quel lvello di topore potrebbe succedere qualsiasi cosa senza accorgersene, ma Mudarris Thalatha (Maestro Tre) sembrava reggere bene e continuava a parlare fitto fitto col conducente scambiandosi una bottiglietta di acqua minerale. Solo con uno sforzo di volontà sono riuscito ad aprire un occhio su cui mi gocciolava il sudore e percepire da lontano la montagna di Moqattam. Eravamo arrivati. Ya Salam.

Dalla Cittadella si ha una prospettiva diversa del Cairo. Qui siamo alle origini fatimide, agli splendori di una reggenza illustre. Le moschee e i palazzi della cittadella presentano un aspetto austero e mastodontico. Sembra che le mura siano state costruite con le pietre delle piramidi di Giza, che da qui si vedono in lontananza. Questa è la parte che ha visto la nascita ufficiale della città, datata tradizionalmente il 969 (d.C.). Il primo accampamento dei conquistatori arabi, Fustat, è alle pendici della montagna. Più avanti c’è il quartiere islamico. Sulla sinistra Al Azhar. Dopo essermi ripreso un po’, mi sono venute in mente le parole della docente di Arte islamica che, in una discussione, sosteneva che l’Islam è nato dal nulla, da quel vuoto che era l’Arabia. Un popolo di soldati che non sapevano nulla, che non avevano nessuna tradizone quando sono arrivati a quelle che poi saranno le città del Cairo, di Damasco e di Baghdad. Solo il sito di Damasco preesisteva all’arrivo dei gerrieri musulmani, il resto l’hanno fondato loro. Da qui si percepisce meglio quello che voleva dire la docente: i musulmani creano dal nulla e nel nulla, sulla punta delle spade. Ma quello che creano è un prodotto originale fatto delle spoglie della civiltà bizantina e persiana. Assimilano. Trasformano. Costruiscono. Con il senso di una missione in cui religione, fede e conquista politica vanno insieme.

La città dei morti dove abitano i vivi – Al ritorno dalla Cittadella di Saladino abbiamo costeggiato il cimitero mamelucco. Ma questo non è un cimitero di morti; sì, ci sono i morti, ma ci abitano i vivi, migliaia di persone che dormono e mangiano nelle tombe, una popolazione miserabile e catacombale che vive e muore dove non ci sono confini tra morte e vita. Nemmeno in India ho visto uno spettacolo del genere. I sepolcri hanno il colore del fango, il brulichio verminoso dei vivi si è appropriato dell’unico spazio loro concesso dalla miseria e dal degrado. Dicono che è anche molto pericoloso aggirarsi per questi luoghi di rifiuto, borseggi, stupri e assassinii sono in agguato.

Al ritorno abbiamo incrociato un tassista loquace e seguace, dei Fratelli musulmani. Ha ingaggiato una fitta disputa politica con Mudarris Thalatha (Maestro Tre). Le discussioni in questa città sono plateali, sanno di teatro, presentano una gestualità e una cadenza da alta scuola di improvvisazione. Il problema è che non si capisce quasi niente, sono in egiziano stretto che, ogni tre parole, presenta il suono più usato: “mish”. Solo questo si comprende. Nell’effluvio dei suoni aspirati, che hanno le volute di una shisha, probabilmente si affrontano argomenti importanti ma in un’unica prospettiva: pro o contro Al-Sisi, il presidente. Tra tutti i popoli, solo i greci amano tanto parlare come gli egiziani. Si sente l’amore per la lingua, la passione faziosa, la volontà persuasoria e retorica di convincere l’avversario delle proprie ragioni. Mudarris Thalatha (Maestro Tre) mi dice che la stessa cosa avviene nella metropolitana e negli autobus sgangherati. E tutti liberamente esprimono il loro ardore patriottico, ma in direzioni opposte. La cadenza della disputa sfiora momenti di virtuosismo sublime, per poi acquietarsi nel saluto e nel commiato, amichevole, tranne quando ti trovi di fronte un poliziotto.

Mercoledì 20 agosto

La storia dei Padri del Deserto – Oggi sono uscito con Mudarris Arbaa (Maestro Quattro), verso il quartiere copto del Cairo. In questo quartiere bisogna assolutamente visitare il Museo, un vero gioiello d’arte e di storia cristiana in terra d’Egitto. Dalle teche venerabili arriva il messaggio del monachesimo eremitico dei Padri del Deserto, che trovò nell’alto Egitto il suo luogo di diffusione. Il primo eremita cristiano conosciuto fu Paolo di Tebe (Egitto, III secolo), anche chiamato “San Paolo primo eremita”. Il suo discepolo Antonio d’Egitto (IV secolo), spesso definito come “Antonio il Grande”, è forse il più famoso di tutti gli eremiti del periodo grazie alla biografia di Atanasio di Alessandria. Antonio si circondò di numerosi discepoli nel deserto dell’Alto Egitto. Da questi luoghi la pratica dell’eremitismo si diffuse in tutto l’Oriente, in particolar modo con sant’Ilarione in Palestina e con san Gregorio di Nazianzio e san Basilio in Cappadocia. Nel museo sono conservate le vestigia materiali dei Padri del Deserto, ma è senz’altro da leggere la letteratura dei Padri eremiti, palpitante di misticismo. La vera svolta del monachesimo cristiano è quando diventò cenobitico, dedito alla vita in comune. I Padri del Deserto risentono di una concezione salvifica di impronta orientale, assoluta e trascendente. Qui si può osservare la fase del Cristianesimo prima della svolta, prima cioè di diventare “societas”..

Nella città copta si trova anche una bellissima sinagoga, la Sinagoga di Ben Ezra. Nell’Ottocento fu rinvenuta la “Geniza”, il tesoro degli israeliti; questi, nell’XI secolo avevano nascosto in un pozzo tutti i documenti della comunità che non si potevano distruggere. C’era un motivo per questo: su questi documenti c’era il nome di Dio. Così, centinaia di anni dopo, si è potuta ricostruire quasi per intero la vita di una comunità ebraica medievale. Ora gli ebrei rimasti al Cairo sono pochissimi; si dice che nelle sinagoghe non si riesce nemmeno a raccogliere le dieci persone necessarie per la preghiera. Una volta invece la comunità israelitica era molto numerosa.

Quando divampa il fuoco dell’intolleranza- Non sono pochi i copti cairoti colpiti dalle periodiche fiammate dell’intolleranza religiosa. E i racconti sono impressionanti. Si narra di cortei che si snodano armati di fiaccole e di mazze verso i luoghi cristiani come una processione purificatoria. Sono piccoli gruppi di fanatici, ma pericolosi; spesso ostacolati da correligionari rispettosi della vita altrui, ma ciechi. E’ qui, in queste faglie sismiche, che si coglie uno dei volti della città. Ma è solo uno dei tanti volti di una metropoli in cui per secoli hanno convissuto genti e religioni diverse.

Due carrozze per le donne- Al ritorno io e Mudarris Arbaa (Maestro Quattro) abbiamo preso la metropolitana. Era la prima volta che la prendevo. Nello scorrere delle carrozze ho potuto vedere le famose due vetture dedicate alle donne (la quinta e la sesta). In quelle due vetture possono entrare solo le donne. E tutte erano col velo, nessuna eclusa. Non so se questo sia un segno di rispetto o il confino in un ghetto. Le donne erano presenti anche in altri scompartimenti, ma il vederle rinserrate in quel territorio proibito non mi ha fatto una bella impressione. Forse di notte è molto utile e meno pericoloso entrare in uno sompartimento riservato e controllato a vista dalla polizia, questo sì. Al Cairo sono frequenti le aggressioni sessuali e il governo ha dovuto emettere varie leggi per arginare il fenomeno. Quelle due carrozze, da questo punto di vista, rappresentano un luogo sicuro. Ma è l’impressione che è negativa.

Giovedì 21 agosto

Siria, un popolo alla macchia- Più passano i giorni, più aumenta la fila di gente in attesa davanti all’ambasciata siriana. I primi giorni che ero qui erano relativamente pochi colori i quali aspettavano un visto o un documento di soggiorno. Ora la strada è piena di gente. Famiglie con bambini, gruppi sparsi, individui isolati.

Nella “Zahara al-Hakma” Agacia stamattina si preparava a partire per Dahab, sulle coste del Sinai, una meta particolarmente apprezzata dai figli dei figli dei fiori. Si dorme in capanne sulla spiaggia ascoltando musica dei Pink Floyd dopo cene collettive a lume di fuochi sulla spiaggia. Tutto quello che fa Agacia è maledettamente trendy e io le pendo letteralmente dalle labbra, non c’è una sola cosa nella sua vita che non sia alla moda radical-chic. Mi ha dato un paio di consigli per il week-end al Cairo che io seguirò con adorante fedeltà. Stamattina ci si è messa anche la signora tedesca a darmi consigli, uno migliore dell’altro, mentre Carla si scambiava numeri di telefono col belloccio germanico, conclusione scontata fin dall’inizio. Il popolo della “Zahara al-Hakma” sta esplorando il Cairo fin nelle sue pieghe più nascoste, forse solo io arranco un po’, anche se ho percorso decine di chilometri nelle zone storiche. Tutti parlano di tutto, sanno tutto, vedono tutti, hanno assaggiato i dolci migliori, nei posti migliori.

Stasera a teatro- Mudarris Thalatha (Maestro Tre) mi ha procurato un posto in teatro per una specie di festival d’avanguardia. Non so cosa ne uscirà fuori. Lo spettacolo è in arabo. Mi incuriosisce vedere che tipo di messa in scena adottano, la gestualità degli attori, il modo di recitare. E’ vero che il mio grado di stanchezza sta raggiungendo punte vertiginose, ma è un’esperienza che mi attrae molto.

Sto riacquistando orari e abitudini studentesche, randomantiche e irregolari. Sono tornato un po’ prima in albergo a fine mattinata e mi sono addormentato su una poltrona nella hall dopo aver chiesto la chiave. Pensavo di sedermi per un attimo e mi sono svegliato un’ora e mezza dopo. I miei angeli custodi, Mina, la cameriera-artista e Ahmed, un solerte impiegato dell’albergo che sfoggia sempre T-shirt anticonformiste e verifica l’andamento del mio apprendimento dell’arabo, non mi hanno disturbato, hanno abbassato il volume della televisione, che trasmetteva notizie sportive e hanno custodito il sonno del giusto. Ya Salam.

Ho convinto i miei docenti della “Zahara al-Hakma” a fare l’analisi grammaticale e logica sui giornali arabi, anziché su quegli insulsi manuali di lingua per stranieri i cui protagonisti sono Fatima e Ahmed. La coppia si sta per fidanzare, ma Fatima vuole sapere quante case ha Ahmed, se sono grandi e se i mobili sono moderni. Ahmed il giorno del fidanzamento è felice, Fatima triste, nonostante la consolante prospettiva di abitare tutte le case di Ahmed col mobilio nuovo. Nessuno ha capito perché Fatima sia triste e tanto meno Ahmed. Ma che razza di dialoghi sono questi?!? Io avrei scritto un dialogo i cui Fatima si vuole togliere il velo e Ahmed è verde dalla rabbia; o anche avrei fatto confessare a Fatima un amore prematrimoniale in piazza Tahrir in una notte di luna piena.

E’ cominciata la mia expertise di arabo sui quotidiani. Sui quotidiani “Isis” non si chiama “Isis” ma “Daesh” ed è sempre soggetto, mai complemento oggetto. Daesh fa cose terribili, ma in perfetto stile holliwoodiano, mirabolanti e spettacolari e così ho imparato tutto un lessico nuovo e iperbolico: tagliare la testa, sgozzare, mostrare il sangue al nemico, stuprare; ma la cosa che mi ha colpito di più (con le relative foto) è stata la descrizione di una circoncisione di gruppo dei cristiani iracheni. Si vedono questi poveracci sdraiati su un pagliericcio con un panno intriso di sangue sulle zone intime. Avete presente quando qualcuno trascina una sedia nell’appartamento sopra il vostro? Qual è la sensazione? Ecco, quella sensazione si poteva avvertire leggendo quell’articolo, uno stridore di denti.

Sono stato a teatro con Mudarris Thalatha (Maestro Tre) e Mohammad. Si trattava di uno spettacolo nell’ambito di una rassegna sul teatro contemporaneo che nei giorni scorsi ha messo in scena un “Amleto”, un “Macbeth” e una “Casa di bambola” di Ibsen. Lo spettacolo di stasera si intiolava “Il profeta mascherato”, di un autore marocchino. Complessa la trama e la messa in scena. Si è trattato di un dramma storico ambientato in Persia, in cui i due protagonisti principali erano un Re e una figura ideale di profeta che alla fine ha la meglio. La messa in scena era piuttosto ambiziosa, con una serie di graticciate componibili che costituivano via via l’arredo scenico. Il Cairo ha una lunga tradizione di teatro moderno e d’avanguardia. Allo spettcolo c’era un sacco di gente, anche qualche attore della televisione egiziana.

Dopo lo spettacolo con Mudarris Thalatha (Maestro Tre) e Mohammad ci siamo fatti un giro nel vicino mercato di Attaba, nei pressi del centro del Cairo. Un altro spettacolo. Migliaia di bancarelle di ogni tipo e dimensione che vendono di tutto, letteralmente di tutto, anche libri di qualche anno fa di filosofia, storia, letteratura, teatro, religione, tanto per fare un esempio. Mai visto tanti libri a prezzi stracciati ammonticchiati in una sola strada. Ma ovviamente la gente non va lì per comprare libri di filosofia. I mercati del Cairo sono giganteschi, questo è uno dei più famosi, soprattutto per i prezzi bassi. I venditori non si limitano a sorseggiare tè sgranando il rosario delle preghiere: gridano, invocano, propongono, con un sottofondo di musica ad altissimo volume. Attaba è una sintesi altamente riuscita di Chinatown di Los Angeles e Forcella di Napoli, artisticamente illuminata come una fiera, con migliaia di persone che nella sera prima del giorno festivo, si gode l’aria meno calda per uscire con la famiglia. Mudarris Thalatha (Maestro Tre) e Mohammad hanno fatto il loro meglio per guidarmi nel dedalo labirintico di Attaba. Ya Salam.

Il tassista che mi ha riportato in albergo ha intovolato una discussione nello stile di Blade Runner, in un miscuglio di lingue che comprendevano l’arabo, l’egiziano, l’inglese e anche qualche parola di francese. Maesh. In particolare ha voluto sapere se mi piacciono i “maccaruni” e il perché gli italiani mangiano tale pietanza, che per un cairota è altamente esotica e un tantino sospetta. Non riusciva a capire cosa ci trovano gli italiani nei “maccaruni”. Un altro tassista, in un’altra occasione, ha voluto sapere perché gli occidentali bevono il vino. Poi il guidatore spericolato mi ha chiesto per quale squadra faccio il tifo e qui mi sono trovato in seria difficoltà, per vari e molto personali motivi. Sapeva tutto selle squadre italiane, recitando a memoria la formazione dell’Inter-Milano, come qui chiamano quella modesta squadretta italiana che suscita tanto entusiasmo all’estero quanto poco ne suscita in Italia. Finalmente, siamo emersi dall’alluvionale traffico notturno della metropoli cairota immettendoci sul Lungo Nilo e ho cominciato a respirare.

Venerdì 22 agosto

Sabah al-khayr. Ho preso l’abitudine il venerdì mattina di sorseggiare pigramente un bicchiere di tè bollente in un Cafè vicino l’albergo. La gente beve e fuma il narghilè. Qualcuno legge il giornale. D’abitudine il mescitore aggiunge direttamente lo zucchero nel tè; se non si chiede altrimenti, porta una bevanda dolcissima. L’alimentazione e la cucina egiziana hanno un rapporto amorevole con lo zucchero, che raggiunge il vertice nel modo di confezionare i dolci. E’ sempre un po’ necessario stare in guardia.

Oggi è venerdì, giorno festivo. C’è meno traffico del solito. Mi dicono che la middle class cairota si sposta in massa verso il mare di Alessandria durante il week-end. Solo gli stranieri prediligono Sharm al-sheikh. I cairoti sono attratti dal Mar Mediterraneo.

Anche Mireya ci è andata stamattina.

Non ci sono vere e proprie edicole al Cairo. Ci sono chioschettini con i giornali sparsi per terra. Bisogna sempre prendere la seconda copia del mazzo, la prima ha due dita di polvere. Sono tentato di comprare una rivista che si chiama “Hijab Fashion”, tutto sulla moda del velo femminile, poi cambio idea per non suscitare imbarazzanti commenti e prendo una rivista che si chiama “Adab” (Letteratura), che si rivela bella e interessante.

Una donna italiana di 23 anni è stata ricoverata a Istanbul con sintomi simili a quelli di Ebola. La donna era arrivata con un volo di linea dal Kenya e in viaggio si era sentita male. Lo riferisce il sito del quotidiano turco Zaman. Secondo il giornale, prima della partenza dal Kenya alla donna era stata diagnosticata la malaria. I medici l’avevano autorizzata lo stesso a viaggiare. Si e’ imbarcata a Kano su un volo della Turkish Airlines, portando con sé medicine anti-malariche.

Stasera ho fatto una prigra passeggiata sul Lungo Nilo (la Corniche), alla fine della quale ho raggiunto il mio angolino preferito, tra i giunchi e un praticello sui bordi del Nilo. Ogni tanto arriva qualche coppietta in cerca di intimità (una ben casta intimità, a dire il vero) o qualche cagnolino smunto in cerca di cibo, ma per lo più sono lasciato in pace. Il tramonto lambisce le acque prima della luci della sera. Quando c’è ancora luce, leggo; quando si fa sera, medito. Lo sciabordio dell’acqua sulla sponda è rinfrescante e tranquillizzante. Sui ponti che si susseguono in lontananza continua a scorrere il traffico, ma da qui è attutito. Tutto è pace e silenzio. In questi momenti penso a tutto e a niente. Non deve essere diversa, questa fse contemplativa, da quella di un vecchio cairota sulla seggiola sul balcone di casa. Riuscire a raggiungere questa tranquilla accettazione del proprio destino per lui forse è stata una necessità, per me una conquista. Non si può chiedere sempre di più, questa è la radice dell’ansia e della depressione; qualche volta forse bisogna imparare a chiedere di meno, o a non chiedere e basta. Fatalismo? Vecchia storia; no, disponibilità…

Sabato 23 agosto

Il volto nascosto di Eva- Persino fra le più emancipate delle ragazze egiziane vige l’abitudine di chiedere di presentarsi dal padre o dal fratello prima di poterle rivolgere la parola o invitarle in un Cafè. Questo non vale tanto per gli studenti universitari, il cui appoccio è più informale; ma se si intende spingere oltre la conoscenza ci si deve presentare dal padre. Tutte le donne hanno un tutore, spesso arcigno. Ovviamente, per gli stranieri, o meglio: per i non musulmani, è vietato e basta: haram (proibito). Queste cose le ha scritte molto bene la saggista Nawal es-Sadawi in un suo libro, “The Hidden Face of Eve” (Il volto nascosto di Eva), che ricorre spesso nelle bibliografie sulla società musulmana.

Cinque componenti di una famiglia, tra i quali due donne e altrettanti bambini, sono stati uccisi da un attacco aereo israeliano prima dell’alba che ha centrato un’abitazione nel centro di Gaza. Lo hanno riferito fonti sanitarie palestinesi. I servizi di emergenza avevano inizialmente comunicato la presenza di tre vittime e cinque feriti, ma successivamente hanno annunciato che due persone sono morte per le lesioni riportate nel raid ad al Zawayda, vicino al campo profughi di Nusseirat. L’attacco aereo ha centrato la casa di una famiglia, hanno riferito testimoni e medici. Le vittime, tutte appartenenti alla stessa famiglia, sono state il padre di 28 anni, la moglie di 26 e due bambini di 3 e 4. La quinta vittima è la zia 45enne del padre.

Sono stato nella più fornita libreria del Cairo, l'”Academic Bookshop”, nel quartiere di Dokki, abbastanza vicina all’università cairota. “Accademica” per il proprietario di questa libreria significa “scientifica”, in un senso molto ristretto. La libreria è molto grande ma i settori sono tutti dedicati alle scienze e in particolare alle scienze applicate: medicina, farmacia, ingegneria, architettura, computer science. E i libri sono quasi tutti in inglese. Il settore umanistico è quasi assente, in compenso abbondano le grammatiche e i dizionari: inglesi. Evidentemente all’università del Cairo non si studiano le materie umanistiche o queste sono molto ridotte o in minoranza. Questa corsa alla scienza in versione americana l’ho potuta constatare in tutta l’Asia. Stanno dividendo in due il loro orizzonte mentale: cultura musulmana (o buddista, o confuciana) e tecnologia americana. in Giappone e in Cina ha funzionato.

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, valuterà attacchi aerei in Siria, se saranno necessari a contrastare i militanti sunniti dello Stato islamico. In una conferenza stampa, riporta Bloomberg, il vice consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca Ben Rhodes ha detto: “Ogni strategia per affrontare l’organizzazione Isil ha a che fare con entrambi i lati del confine in Iraq e Siria. Mentre Obama non ha ancora approvato simili raid […], non ci faremo limitare dalle frontiere”. Le dichiarazioni di Rhodes seguono la decapitazione da parte degli insorti del giornalista americano James Foley. In un video dell’esecuzione, diffuso su Internet, i militanti hanno detto che il gesto è una risposta agli attacchi aerei che gli Usa stanno conducendo contro di loro in Iraq. Secondo le autorità statunitensi, l’uccisione sarebbe avvenuta in Siria. Rhodes ha anche definito la decapitazione del reporter un “attacco terroristico” contro il suo Paese.

Domenica 24 agosto

“The Square – Inside the Revolution (The Square)” è un film del 2013 diretto da Jehane Noujaim, che ritrae la Rivoluzione Egiziana del 2011 a partire dalle sue origini a Piazza Tahrir. Il film ha ricevuto una nomination agli Oscar come Miglior Documentario nel 2014. Dal 2011, anno della fine della dittatura trentennale di Mubarak, fino al golpe militare che ha rimosso dal suo incarico il presidente della “Fratellanza Mussulmana” nell’estate del 2013, The Square – Inside the Revolution segue un gruppo di attivisti egiziani che combattono tiranni e regimi rischiando la loro vita per costruire una nuova coscienza nella società. La rivoluzione egiziana è stato un ottovolante di avvenimenti. Nell’arco di tre anni sono stati eletti e poi destituiti tre diversi capi di stato. Se i telegiornali lasciano soltanto intravedere le battaglie più cruente, i volti dei protagonisti e le immagini di folle oceaniche in marcia, The Square – Inside the Revolution porta invece lo spettatore a stretto contatto con le storie personali che si nascondo dietro alla notizia.
L’obiettivo del film è di sperimentare l’evoluzione di una rivoluzione nel 21° secolo e capire ciò che questi attivisti stanno cercando di dire: i diritti civili e le libertà non saranno mai accantonati né barattati in cambio di nulla, si combatterà per essi fino alla morte. Com’è incominciata questa lotta? Come si è sostenuta? E soprattutto, avrà successo? Questo film mostra come in una società un vero cambiamento non parta mai da una moltitudine di persone, ma sia generato dall’impegno incessante e continuo di pochi individui fedeli a tali principi di cambiamento
L’anteprima mondiale di The Square – Inside the Revolution si è tenuta il 18 gennaio 2013 al Sundance Film Festival, dove ha vinto il premio del pubblico nella categoria Documentari. Vista la stringente attualità del tema della Rivoluzione Egiziana, la regista Jehane Noujaim ha aggiornato la fine del film nel corso dell’estate del 2013[2]. Il film ha poi vinto il People’s Choice Award per la sezione Documentari al Toronto International Film Festival del 2013[3].
Il film è stato il primo candidato agli Oscar a essere distribuito su Netflix. In Italia, è stato distribuito a partire dal 20 febbraio 2014.

Tra tutti i modi per dire addio- Tra tutti i modi per dire addio, io scelgo sempre il peggiore: sentimentale, nostalgico, con la testa girata all’indietro come l’angelo di Walter Benjamin. Dire addio a una città, o anche solo un arrivederci, è come dire addio a una donna con cui si è condiviso momenti importanti, a tratti intensi, sempre sul filo di un’attrazione tacita, ferma, sussurrante. E questo addio io mi appresto a pronunciare ancora una volta. Oggi sul tavolo del mio balconcino-veranda affacciato sul Nilo non c’erano grammatiche o pensosi saggi accademici. Non c’era niente, solo pensieri, ricordi, immagini. Di un mese intero. Di un mese intero al Cairo. Non me l’aspettavo diversa e non me l’aspettavo così. Nei lunghi vaneggiamenti attrattivi me l’aspettavo e basta. Un incontro da lungo tempo sognato. E nel momento dell’innamoramento devo dire addio, come sempre, come a troppe cose. Ya Salam.

Con Mudarris Thalatha (Maestro Tre) nella moschea di Ibn al-Aas – Oggi sono uscito con Mudarris Thalatha (Maestro Tre). Siamo andati nella moschea di Ibn al-Aas, che si trova nel luogo in cui è sorta Il Cairo, Fustat. La moschea è la prima costruita dall’Islam in Africa. E’ antica e semplice nella sua grandezza. E’ come visitare una chiesa francescana per un cristiano, si sente l’eco delle origini. Ci siamo seduti a gambe incrociate e abbiamo parlato un po’, così, senza neanche sapere come abbiamo cominciato. Mudarris Thalatha (Maestro Tre) è uno che era in piazza Tahrir, un giovane egiziano che ha partecipato a una rivoluzione, non certo un islamista. Ci si trova bene a parlare, non abbiamo né preclusioni, né pregiudizi, né censure. Abbiamo parlato della religione che ha ispirato quei luoghi, del libro che la contiene e la conclusione per me non poteva essere diversa. Rispetto l’Islam, così come rispetto il cristianesimo e l’ebraismo, molti dei miei viaggi sono ispirati allo studio di queste religioni, ma per me la religione divide, non unisce, anche se eravamo uniti in quel momento dall’immagine stessa di quella religione, dal luogo che la esprime. Io nella religione, nelle religioni, cerco lo spirito non la fede e non potrò mi capire chi ha fede nella fede. Ma quella discussione sarebbe piaciuta a Kierkegaard, piena di misteri irrisolti e di arcane, insondabili profondità.

Il fondo del nichilismo- A un certo punto, nel dialogo con Mudarris Thalatha (Maestro Tre), questi mi ha fatto una domanda che non mi aspettavo: perché parli sempre dell’Italia come di una patria perduta? Non ti piace l’Italia? Ho dovuto riflettere un po’ prima di trovare una risposta: non è che non mi piace l’Italia, non mi piace l’Europa, non mi piace l’Occidente. Detto così, sembra un po’ troppo tranchant, dovrei spiegare meglio: non mi piacciono più i valori dell’Occidente, anche se non posso farne a meno. E forse non mi sono spiegato per niente… Ho provato a lungo a capire se fosse possibile un’alternativa all’Occidente, che poi sarebbe un’alternativa al capitalismo occidentale; prima ho provato a capire la vita nei paesi comunisti durante la guerra fredda e dopo. E sentire la puzza di urina nei bar di Berlino Est è stata una qualche forma di risposta al fallimento del comunismo storico. Successivamente ho indagato le vie della Cina, ma vedere che lì non c’è più l’ombra del comunismo è stato più eloquente che leggere molti trattati. Ora l’Islam. Ma il mondo musulmano è così pieno di contraddizioni che nemmeno i musulmani ci capiscono più qualcosa. In fondo, se guardiamo bene, la risposta è più amara della domanda. Sembra non esserci un’alternativa, un’alternativa vera, che coinvolga la vita e non l’apparenza della vita della gente. Siamo costretti a vivere in un mondo che non ci piace sapendo che non ci sono alternative praticabili. E non è questo forse il fondo del nichilismo: vivere in una prigione sapendo che fuori c’è una prigione più grande? Non è questa la fine della storia?

Lunedì 25 agosto

Morti e feriti- Oggi al Cairo ci sono 40 grandi. La “Zahara al-Hakma” è semivuota, si contano morti e feriti. Morti forse ancora no, ma feriti sì; più che feriti: ammalti. Mireya mi ha raccontato la sua degenza di ieri all’ospedale Al-Assam. Si era sentita male la sera prima, con febbre altissima e mal di pancia. Il medico che l’ha visitata ha detto che aveva avuto un’infezione al colon e le ha fatto tre punture. L’ospedale è privato e Casild ha pagato 50 euro, ma è rimasta soddisfatta del trattamento, definendo la struttura un ottimo ospedale. in Egitto non mancano le cose ottime, ma le devi pagare a caro prezzo.

Yoga a Dahab- Anche Agacia ieri si era sentita male, ma in maniera non grave. Aveva passato il week-end in un resort di Dahab che si chiama “Coral Coast”, nella penisola del Sinai. Ha detto di aver fatto massaggi orientali e una breve seduta di yoga sulla spiaggia. Agacia vive al Cairo come se fosse in India o sulla costa californiana; ma il suo è un atteggiamento spontaneo, non una posa. Ha dichiarato di non sapere chi fossero i “figli dei fiori” e la musica psichedelica. Per lei è una cosa spontanea e naturale. Stamattina profumava di essenze. Ya Salam. Carla era sana come un pesce.

Abbiamo formato una piccola comitiva per andare al cinema, a vedere “Jews of Egypt: End of a Journey”, il sequel di un documentario accolto con grandi consensi dalla critica e diretto da Amir Ramses. E’ la storia, come dice il titolo, degli ultimi ebrei rimasti in Egitto. La comitiva è composta da me, da Mudarris Thalatha (Maestro Tre), da Mohammad e forse da Mireya, che ha manifestato grande entusiasmo all’idea, vediamo adesso se viene. Ho rotto le barriere tra docenti e discenti, tra arabi ed europei, uomini e donne. Siamo amici, andiamo al cinema. Ma all’inizio, quando lanciavo queste ardite provocazioni, ero preso per uno con le idee stravaganti o semplicemente per “italiano” e gli italiani, si sa, fanno un po’ casino. Il ghiaccio si sta rompendo alla fine del mio mese di permanenza; con qualche giorno in più li avrei condotti alla più completa mescidanza intellettuale e sociale.

La sala dell’Odeon dove hanno proiettato il film sugli ultimi ebrei egiziani è una specie di cinema d’essai. Molti giovani, ma non c’era una sola ragazza col velo, nemmeno una. C’è una parte della gioventù del Cairo che è fortemente intellettualizzata; è una minoranza, ma fa ben sperare.

Mireya alla fine è venuta, con un suo amico.

Gli studenti del Cairo, come quelli di molte università italiane, esibiscono capigliature esageratamente stravaganti e per i ragazzi varie forme di barba sono quasi d’obbligo, in certi casi somigliano a dei pasdaran iraniani… no, non proprio, ma sono avvolti dalla kefiah anche col caldo. Sono così, e a me quelli così piacciono. Qui ne ho incontrati diversi, nei cinema, nelle discussioni letterarie, a teatro. Ma che cos’hanno, di diverso? Sono tutti “contro”, contro il pensiero unico, contro un occidente sciovinista e rituale. Almeno così mi sembra, mi è sembrato. Parlano di cose serie, e qualche volta nemmeno le capiscono: i grandi destini, gli incontri e scontri di civiltà, l’afflato di un’umanità senza più bussole. C’è qualcosa, nelle loro intenzioni, che è sano.

I ragazzi dell’Orientale, che incontrerò al ritorno, per fare gli esami, nel Palazzo Corigliano a Napoli, avranno senz’altro qualcosa da raccontare, dei loro misterosi viaggi orientali. Questa volta sono attrezzato anch’io. In un certo senso siamo tutti comsapevoli che essere studiosi di lingue orientali comporta una certa dose di spirito avventuroso. Magari alcuni di loro lo fanno per entrare in una Ong o qualcosa del genere. Ilaria Alpi, la giornalista uccisa in Somalia, studiava arabo (non a Napoli, a Roma). E’ come una grande confraternita di clerices vagantes, aperti al mondo, intellettualmente curiosi, con lo zaino, sulla strada.

Per il caldo afoso, l’intera città è avvolta in una cappa di umidità. La foschia appanna la luce dei lampioni. Stasera di nuovo la città era presidiata da un imponente schieramento di polizia. All’uscita dal cinema abbiamo percorso strade bordate di gipponi della polizia, con gli agenti delle forze speciali, in tenuta antisommossa, che guardavano gli astanti dai loro occhi neri dietro i passamontagna (di cotone), imbracciando fucili a pompa e non i soliti fuciletti di ordinanza, con i lacrimogeni innestati. Le grandi ed eleganti vetture sfrecciavao verso i locali alla moda, mentre il popolo minuto faceva echeggiare le strade di mille frammenti di comunicazione. I grattacieli della corniche sul Nilo si stagliano nel cielo, ora, bucando la nuvola di foschia, mentre la gente è sdraiata per terra sui marciapiedi nei quartieri più periferici ascoltando languide melodie dalle radioline portatili. Il Cairo.

Martedì 26 agosto

Mercati- Stamattina sono stato al mercato Khan al-Khalili per fare gli ultimi acquisti, ma la mattinata è partita male. Per la prima volta ho dato l’indicazione al tassista completamente in arabo: “Masjid al-Hussein, Khan al-khalili, shukran!”; ma evidentemente ha mangiato la foglia e mi ha individuato come un “turista”, spillandomi 50 lire egiziane per la corsa (corrispondenti a cinque euro, una cifra discretamente alta per Il Cairo). Inoltre, mi ha lasciato anche abbastanza lontano dalla moschea. Quando dicevo l’indicazione in inglese, nessuno mi ha mai imbrogliato.

Il mercato Khan al-Khalili è il suk più grande del mondo musulmano dopo quello di Istanbul. Bisognerebbe andarci di sera, ma fino ad ora mi è mancata l’occasione o la voglia. Le volte in cui avevo la serata libera, mi sentivo talmente stanco da non poter muovere un passo. Così ci sono andato di mattina; ma non è la stessa cosa. I venditori tiravano fuori la merce da enormi sacchi, qualcuno spazzava davanti la bottega, qualcun altro lavava per terra. La giornata comincava pigramente, al suono di nacchere degli acquaioli, al suono del corano recitato dagli altoparlanti, al suono di qulche sbadigliante richiamo alla bontà della merce esposta. Insomma, si celebrava il rito dell’inizio della giornata. Anche così, quasi in intimità, mi è piaciuto fare due passi tra i vicoli. Si sentiva nell’aria ancora il profumo delle fragranze di cui si cospargono le signore in nero prima di uscire da casa. Non ho mai sentito un cattivo odore, sfiorando le donne (per mancanza di spazio). La natura e la cultura creano i propri antidoti anche nei climi più impossibili. Tra fraganze e aromi di spezie l’aria era piena di novità aromatiche.

Tornare a casa- Mi preparo al rientro. Non sarei tanto d’ccordo con chi dice che si vive meglio in provincia. Magari l’aria sarà buona (a parte il freddo implacabile) ma lì il tempo si ferma, come l’acqua stagnante di un acquitrinio malarico: vi fiorisce la malattia del pettegolezzo, dell’invidia, dell’ossessiva attenzione alla vita degli altri in mancanza della propria. Lo stagno emana febbre: puoi fare qualsiasi cosa, nessuno si congratulerà con te, ti malediranno il dinamismo e la curiosità. E a poco a poco la febbre ti germisce, sconvolgendoti anche i migliori rapporti umani.

Nel taxi sulla via del ritorno verso l’albergo (con un taxi driver mite e comprensivo) sono stato assalito da fantasmi antichi col volto nuovo e da fantasmi nuovi col volto antico. E’ sempre la stessa storia. Ho come la sensazione che le parole si siano consumate. Questa per me è stata un’esperienza interiore, come devo fare per far capire agli altri che l’esibizionismo dell’alterità è peggio dell’acquiescenza? Si sono consumate le idee; quelle che restano sono sbandierate in piazza con l’aria di fare una cosa rivoluzionaria, ma sono più inquinate delle acque del Nilo. Per il malumore ho dimenticato i regali in taxi. Se li godrà il taxi driver mite e comprensivo. Lui ha una casa dove tornare.

Mercoledì 27 agosto

Sta per concludersi l’estate e sta per cominciare un nuovo anno di lavoro. Non credo che troverò delle novità: sarà presto Natale e i fiori fioriranno tutto l’anno… Diceva così la canzone? Forse non me la ricordo bene. Sarebbe bello trovare al ritorno di un viaggio impegnativo qualche cosa che non faccia rimpiangere il viaggio, ma stando le cose in un certo modo, potrebbe essere una pia illusione. Quindi, preparo le valigie. Com’è l’Italia? C’è ancora Renzi? Qualcuno mi dice che non solo c’è ancora Renzi, ma che tutti gli italiani stanno diventando renziani. Già era brutta di suo… va bene, ma non è questo il punto e non voglio amareggiarmi le ultime ore. Stamattina parlavo con la signora tedesca che frequenta la mia scuola. E’ sposata a un funzionario dell’ambasciata americana, è reduce da cinque anni in Tunisia e dopo l’Egitto forse si trasferirà in Pakistan. Ecco, così la vita ha un altro colore, senza radici, senza una lingua (parla cinque o sei lingue diverse, compreso il dialetto egiziano), in zone ad alto rischio. Ogni giorno il mondo le gira davanti in un modo diverso; mangia come mangiano gli egiziani (ora anch’io, qualche volta facciamo colazione insieme col Ful su una bancarella di strada),si adatta, si adegua, anche se ha un Ph.D. in Economia negli USA. Il bello dell’economia – dice- è che ti fa capire cosa c’è dietro le apparenze della vita sociale e delle grandi scelte politiche. Col marito studiano l’andamento dei mercati mediorientali. Mica male.

Palestina- La vera, grande notizia di queste ore è che hanno firmato la pace durevole nella striscia di Gaza. Cosa di enorme importanza, dopo più di duemila e duecento morti palestinesi e 68 israeliani.

Il Deserto Bianco- Nella “Zahara al-Hakma” stamattina Agacia parlava del Deserto Bianco, immensa fetta di Sahara egiziano che si estende tra le oasi di Bahariya e Farafra, fino a lambire Siwa a nord e il territorio libico a ovest, collegando le brulle lande del Deserto Occidentale con il Grande Mare di Sabbia. Le sue dune sono interrotte da placche bianchissime formatesi dopo il ritiro di laghi e di paludi che, fino a 5mila anni fa, bagnavano questa regione. Il Deserto Bianco conserva la memoria di racconti favolosi: eserciti scomparsi tra le tempeste, cimiteri di cetacei immersi nelle sabbie, oasi fortificate, città intitolate al dio coccodrillo.Tra sculture di gesso e antiche pietre color giada. Tutte le donne della scuola hanno dichiarato, estasiate, che vorranno andare nel Deserto Bianco. Così ho deciso: la prossima volta che vengo, se ci incontriamo terrò lezioni di filosofia islamica tra le dune del deserto. Parlerò, con gli astanti in cerchio e con le gambe incrociate, della filosofia mistica di Al-Ghazali. Il grande pensatore medievale ha scritto una volta: “il vero musulmano è un Sufi” e cerca la conoscenza viaggiando. Anche nel Medio evo cristano c’era qualcuno che cercava la conoscenza viaggiando, i clerices vagantes. Così, celebreremo l’epopea del Wanderer sette secoli prima di Nietzsche, nel silenzio assoluto del deserto, sotto la cupola stellata, alla pallida luce del fuoco su cui faremo bollire il nostro tè. Ya Salam.

Non ho mai dormito così bene come sotto una tenda nel deserto. Uno dei nostri accompagnatori, la volta in cui ci sono stato, metteva ogni tanto un cd con la recitazione del Corano. All’inizio pensavo: che palle, mi rovina il silenzio! Poi fui preso: una breve linea di cantillazione, pausa prolungata, un’altra linea. Musica. Musica pura. Quando incontrerò le inevitabili difficoltà di capire meglio la lingua e il mondo arabo penserò a quella litania. A quel silenzio.

Nel deserto può capitarti di guidare per ore senza incontrare nessuno. Poi, in una piccola oasi, intravedi la mano di qualcuno che ti offre da bere l’acqua più buona del mondo. Per i musulmani lo straniero è un inviato di dio. Allora pensi a una frase che impresse un’ulteriore piega alla tua vita. Fu pronunciata una sera di dialoghi vivi, umani, da un missionario cattolico in Asia: l’Oriente come inconscio dell’Occidente. Dovrò subito dimenticare questa frase. Fa male.

Descrizioni di una donna- Ieri pomeriggio, prendendo il tè con Mudarris Thalatha (Maestro Tre), a un certo punto abbiamo visto passare una bella ragazza. Con Mudarris Thalatha (Maestro Tre) abbiamo stabilito che per indicare una bella ragazza diciamo: “Made in Egypt”, così nessuno capisce, senza fare alcun cenno. Capiamo solo noi. Poi il disorso è scivolato sui modi delle rispettive culture di descrivere una bella ragazza o una bella donna. L’ho pregato di cominciare, perché quello che avrei raccontato io forse non gli sarebbe piaciuto. Allora ha cominciato, elencando una serie di espressioni che usano tutti, anche i giovani: Hai il profilo bello come quello di una gazzella; i tuoi occhi brillano come stelle; il tuo colore è più bello di un dolce alla crema; le tue mani sono bianche come la luna; il tuo viso è bianco come la luna; risplendi come una fiamma nel deserto, “Ya salam alek ya gazal” (benedetta tu sia, oh gazzella…). Queste sono le espressioni che usate? Temo che in fatto di descrizioni poetiche e sentimentali non potrò reggere il confronto. Noi diciamo, per esempio, gnocca, gnoccona, gran figa, bona e mi vergogno di andare avanti. Cioè, noi di una donna descriviamo  l’aspetto meramente sessuale, senza poesia. A nessuno verrebbe in mente di dire: Il tuo viso è pallido come la luna; splendi come il sole. Ma forse perdiamo qualcosa.

In televisione la cantante libanese Nancy Ajiram canta “Ya salam, ya salam ad eh helw el gharam” ( Quanto è fantastico, fantastico l”amore).

Giovedì 28 agosto

Ritratto No.1-
Ora che li sto per lasciare, mi piace fare il ritratto di ciascuno di loro. Sto parlando dei miei docenti della “Zahara al-Hakma”. Non li chiamerò con i loro nomi, per non metterli in imbarazzo. Userò degli appellativi. Il primo è Mudarris Wahed (Maestro Uno). Mudarris Wahed è il coordinatore della scuola, è giovane ma abbastanza autorevole. E’ lui che mi ha accolto il primo giorno e mi ha fatto il primo esamino. Da allora in poi ci siamo incontrati solo nei corridoi e per organizzare i “cultural outing”. E’ molto premuroso, ma ha l’atteggiamento impersonale e sbrigativo tipico dei dirigenti. Se in quel posto funziona tutto alla perfezione lo si deve a lui; ma al contempo è l’unico con cui non ho scambiato una chiacchiera o un’impressione. I dirigenti mi mettono l’orticaria, così, a pelle.

Ritratto No. 2-
Il secondo personaggio è Mudarris Ithnan (Maestro Due). Di Mudarris Ithnan non ho molto da dire. Ci siamo conosciuti poco, solo i primi giorni, anche se siamo usciti insieme una volta. Anche lui è giovane, ma molto timido. Viene da Alessandria e non è molto ambientato al Cairo, lo si vede dalla sua incapacità di fermare un taxi (un’arte al Cairo). Mi è piaciuto il suo sorriso mite e comprensivo. Non ci siamo detti molte cose.

Ritratto No. 3-
Il terzo personaggio è Mudarris Thalatha (Maestro Tre), un giovane dalla vitalità esplosiva, dalla battuta pronta, dalle idee chiare (anche se talvolta un po’ avventate). Oltre alle buone lezioni in classe, siamo usciti insieme molte volte, anche al di fuori dei programmi ufficiali. Ha partecipato alla Rivoluzione di Piazza Tahrir e questa è una cosa che ci ha legato subito, fin dalle prime, ironiche e irriverenti battute sul mondo intero. E’ sposato e ha un figlio di un anno, abita al nord del Cairo in una casa in affitto con la madre e la sua famigliola, di cui è orgogliosissimo (sua moglie è una maestra elementre). Con Mudarris Thalata sappiamo da dove cominciamo ma non sappiamo mai dove finiremo. Abbiamo attraversato molte volte tutta la città, parlando a valanga, nella metro, nei bus, nei taxi, nelle moschee, nei cafè. Mi ha accompagnato per librerie e teatri, cinema e luoghi di ritrovi un tantino sovversivi. Ora sta studiando per prepararsi al dottorato all’università. Non so se ha l’animus dello studioso, ma si aspetta molto dal futuro. Lo identifico col futuro di tutto l’Egitto. Qui i giovani sono semplici, austeri e comunitari. Come piacciono a me. Ma anche molto arrabbiati. Non mi sembra che abbiano le idee chiarissime su che cosa intendano per democrazia: sono “contro” il governo attuale, ma anche contro Morsi, la bandiera dei “Fratelli musulmani”. Vogliono “qualcosa”, con tutta la forza della loro prorompente gioventù. Forse questo “qualcosa” è qualcosa di diverso dall’Egitto attuale, ma sono senza un’ideologia precisa e senza leader, quello che è mancato alla Rivoluzione.

Ritratto No. 4-
Il quarto personaggio è Mudarris Arbaa (Maestro Quattro). Mudarris Arbaa viene da un paesino del Delta del Nilo e ha la pelle più scura degli altri; i suoi caratteri sono decisamente contadini. E’ laureato in lingua araba e civiltà islamica ed è bravo come docente, anche se un po’ noioso. Mudarris Arbaa lo prendo un po’ in giro, descrivendolo come un ricco proprietario terriero che viene a vendere la frutta in città, ma lui ha un carattere dolce e remisivo, non se la prende. Ogni tanto mi faccio descrivere la sua vita nel villaggio in cui vive. Si tratta di una famiglia patriarcale, che vive nello stesso edificio, ogni figlio con la sua famiglia pr piano. Siccome Mudarris Arbaa è l’ultimo arrivato, lo hanno alloggiato al quarto piano, l’ultimo. Tutta la famiglia mangia insieme tutte le sere (chi cucina? la madre e le nuore a turno), dopo aver recitato l preghiera. Il padre è un poliziotto del villaggio (un specie di vigile) in pensione. Mudarris Arbaa è in adorazione della figlioletta di un anno, che lascia alla nonna quando viene viene in città (tre ore l’andata e tre ore il ritorno e sono appena una trentina di chilometri) dopo essersi svegliato alle cinque. Col caldo la figlioletta ha sempre sete: “Papa, apu (acqua)” e sputa l’uovo fresco di giornata che una delle galline ha ppena depositato sul terrazzo (qui i piccoli animali da cortile li tengono sul terrazzo), perché non le piace. Mudarris Arbaa è una brava persona, che vorrebbe comprare un pezzo di terreno per farsi una casa tiutta sua e per la sua famiglia, che conta di allargare.

Ritratto No. 5-
Il quinto personaggio è Mudarris Khamsa (Maestro Cinque). Mudarris Khamsa è l’esatto contrario di Mudarris Arbaa. Anche la sua è una famiglia patriarcale, ma abita al Cairo, anche se un po’ in periferia, in un edificio di proprietà del padre. Il padre, appunto, è un magistrato amministrativo, che ricopre una carica importante in un ufficio amministrativo. Ha vinto il concorso dopo esseerssi laureato in diritto islamico (Shar’ia) nell’università islamica di Al-Azhar. Tutti i figli si sono laureati in diritto nella stessa università, compreso Mudarris Khamsa, che è il più austero di tutta la scuola. Ha appena sostenuto il concorso per iventare giudice e aspetta il risultato. Con gli altri studenti Mudarris Khamsa non mi sembra he abbia molta confidenza, ma noi due abbiamo legato. Siamo spesso usciti insieme e ogni mattina commentiamo i giornali, lui è po-Morsi, pro-Islam, ma con un atteggiamento critico (un po’ critico), da quando parliamo è diventato anche un po’ più critico; non che voglia convincerlo, ma tento di spiegargli (col suo consenso) gli arcani della politica internazionale. Troppo lungo spiegare in che senso, ma lo scambio è reciproco. Di Mudarris Khamsa mi ha colpito il racconto che del suo matrimonio hanno fatto i suoi colleghi, nel giorno in cui Mudarris Khamsa è diventato un’altra persona, folleggiando in una danza di pura felicità con la sua giovane e innamoratissima moglie. Una coppia perfetta, un amore nato nei cortili di un’università islamica (la moglie è laureata in letteratura tedesca). Ora, il venerdì, vanno a passare la mattinata in un parco cittadino, mano nella mano. Semplici, austeri, comunitari. Con qualcosa da dirsi. Felici.

ANTONIO DE LISA

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