Le maschere delle “Fabulae atellanae”

Le maschere delle “Fabulae atellanae”

Insieme ai “fescennini ed alla “satiraquali espressioni preletterarie arcaiche all’origine della cultura e del teatro latino, si annoverano le “Fabulae Atellanae, per quel comune substrato socio-culturale che Orazio chiamò “italum acetum ”. Sono maschere di alcuni personaggi della settecentesca Commedia dell’ Arte con riferimenti ad antichissime farse popolari elaborate, alcuni secoli prima di Cristo, fra le popolazioni osche della Campania; in modo particolare ad Atella , da cui presero il nome.

Questo primitivo tipo di spettacolo teatrale, giocoso e licenzioso, sorse presso gli Osci di Atella (da cui prese il nome), una città della Campania tra le attuali Orta di Atella, Sant’Arpino, Frattaminore, Succivo, Gricignano di Aversa e Cesa . Fu importata a Roma nel 391 a.C. come ci racconta lo storico Tito Livio.

L’origine delle fabulae atellane fu segnata dal momento in cui le popolazioni osche, che erano in stretto contatto con con la cultura greca delle genti dell’Italia meridionale, imitando un genere di farse popolari, ne accentuarono il tono mordace. La tematica principale delle farse atellane era costituita da scenette di genere, briose e realistiche, basate sul contrasto fra tipi fissi, quali il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale; nelle quali l’intreccio si scioglieva tra contorsioni, smorfie, acrobazie, inseguimenti, spettacolari cadute e nel contesto di un percorso fertile di situazioni ora piccanti, ora divertenti e paradossali: erano, insomma, gli aspetti farseschi l’elemento essenziale dello spettacolo.

Le maschere erano caratterizzate ciascuna oltre che da un proprio eloquio, da una propria psicologia, anche dal punto di vista somatico. Per lo più realizzate con cortecce d’albero, terre policrome e tela cerata: molto scomode da portare, le sue parti in rilievo penetravano ben presto nella carne provocando fastidiosi disagi agli attori. Per non dire che, strettamente applicate al volto come erano, e per di più prive di un minimo di flessibilità, non permettevano alle palpebre di muoversi liberamente per cui le ciglia sfregando contro i bordi delle fessure facevano lacrimare gli occhi in un pianto pressochè continuo. A causa dell’estrema deperibilità dei materiali con cui erano costruite non è purtroppo sopravvissuto nessun esemplare, pertanto gli unici riferimenti provengono da qualche riproduzione in bronzo e alcune pitture.

I personaggi delle maschere atellane:

Maccus, lo sciocco sbeffeggiato, dal greco μακκoàν “fare il cretino” ma  anche di origine italica “uomo dalle grosse mascelle”;  indossava sempre un copricapo bianco di origine siriana probabilmente a causa della sua calvizie. Era un personaggio balordo, ghiottone, sempre innamorato, e per questo sbeffeggiato e malmenato. Considerato da alcuni studiosi il progenitore della maschera di Pulcinella o di Arlecchino.

Buccus, da bucca, termine utilizzato per dire “uomo dalla bocca larga“, era  il grasso ciarlatano, ghiottone maleducato, il fanfarone che parlava a vanvera; Era un personaggio prepotente ed infido, continuamente in conflitto con i contadini che tiranneggiava. Era caratterizzato simaticamente da una enorme bocca che stira un ghigno smisurato, e da un profilo oltremodo pingue, ottenuto dagli attori con vistose imbottiture sul ventre e sul deretano allo scopo di accentuarne il carattere informe.

Maccus

Pappus, da pappos “antenato”, era  il vecchio babbeo, rimbambito e avaro;

Dossennus, dalla radice etrusca -ennus, il nome è riconducibile al latino dossum, dorsum, “gobba” ; è il gobbo saccente e astuto. E’ il saccente proprietario terriero ambizioso e vanitoso, un po’ mago e un po’ filosofo, astuto, imbroglione e sempre affamato.

Kikirrus, A queste maschere antropomorfe se ne aggiungeva un’altra: Kikirrus, una maschera teriomorfa (ovvero con l’aspetto di un animale) il cui stesso nome richiama il verso del gallo. Quest’ultima maschera ricorda da vicino il Pulcinella che è sopravvissuto nella tradizione comica napoletana.


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