La scoperta dell’inconscio –
La protostoria: da Mesmer a Charcot
La storia della scoperta dell’Inconscio, o, più precisamente, della concettualizzazione dell’esistenza e del rilievo funzionale di una struttura dello psichismo scarsamente accessibile all’autoriflessione consapevole, anticipa di molto la nascita della Psicoanalisi, che proprio intorno al costrutto di Inconscio articola la propria struttura teorica.
Se una riflessione sui “precursori concettuali” dell’Inconscio si sviluppa fin dall’antichità, è però con l’età moderna e l’emergere delle prime teorie della mente che si pone la possibilità di concettualizzare l’esistenza di un’istanza inconscia. Nel Settecento, proprio mentre l’Empirismo ed il Razionalismo sembravano raffinarsi nel nascente Illuminismo, forse per reazione si ponevano le basi dei primi “irrazionalismi” tipici della storia culturale e delle idee del primo ottocento: dai Romanticismi agli Intuizionismi. In questo contesto, iniziano a concretizzarsi però degli irrazionalismi molto differenti rispetto a quelli dei secoli precedenti. Mentre in passato l’assetto irrazionalistico si rivestiva di tematismi religiosi, l’attenzione ed il riconoscimento della possibilità di studiare in maniera organica e strutturata anche gli aspetti “non logici” dello psichismo inizia ad emergere in corrispondenza dello scontro tra Gassner e Franz Anton Mesmer alla fine del Settecento.
Gassner (1727-1779), sacerdote e guaritore carismatico, si procurò grande fama con guarigioni ed esorcismi spettacolari, fortemente intrisi di religiosità popolare. Il suo conflitto con Mesmer (1734-1815), medico di ispirazione illuministica e propugnatore della teoria del “magnetismo animale”, delineò in parte la transizione paradigmatica tra modelli preilluministici e illuministici. All’opera di Mesmer, ed alle sue teorizzazioni sul magnetismo animale ed il suo relativo “metodo di cura”, si possono far risalire due concetti fondamentali per il successivo sviluppo della psicoanalisi: la centralità del rapporto personale tra “magnetizzatore” e paziente, e l’uso delle crisi (sorta di abreazioni catartiche) come strumento di cura. Quest’ultimo punto, mediato anche da Gassner, rimase a lungo tra i principi della cura psichica nel corso dell’Ottocento, fino alla “teoria dell’Abreazione” di Joseph Breuer e Sigmund Freud.
Franz Anton Mesmer (Moos, 23 maggio 1734 – Meersburg, 5 marzo 1815) , laureato in medicina e filosofia a Vienna, svolse la sua attività in Austria, Germania e Francia, a cavallo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Nacque nei pressi del lago di Costanza, in Germania, studiò all’università gesuita di Dillingen e medicina all’Università di Vienna dal 1759. Nel 1766 si laureò in medicina con una tesi dal titolo Dissertatio phisico-medica de planetarum influxu nella quale discusse l’influenza esercitata dalla Luna e dai pianeti sugli esseri umani e sulle malattie. Nel 1768 si trasferì a Vienna dove ebbe occasione di conoscere Mozart (ricordiamo che il mesmerismo è citato nell’opera Così fan tutte (1790) quando Despina, travestita da medico, tocca con una calamita, definita “pietra mesmerica”, la testa di due finti infermi), e nel 1778 si spostò a Parigi dove espose le sue teorie ed ebbe come pazienti personaggi di tutte le classi sociali, a partire dalla regina Maria Antonietta. Egli rimase in Francia circa un decennio, durante il quale, oltre a cercare di mettere in pratica le sue teorie, ne elaborò un trattato dal titolo Mémoire sur la découverte du magnétisme animal (Memoria sulla scoperta del magnetismo animale), che vide la luce nel 1779 proprio in Francia[1] e fu scritto in francese (come fu di numerose altre opere di Mesmer).
Rientrato a Vienna, nel novembre del 1793 fu arrestato ed incarcerato per breve tempo con l’accusa di “giacobinismo”; uscito di prigione dovette tornare in Svizzera, e si stabilì a Stein am Rhein, sul Reno, poco dopo che questo esce dal lago di Costanza.
Dal 1807 Mesmer visse a Frauenfeld, nel nord-est della Svizzera (poco a sud dell’estremità occidentale del lago di Costanza), ove tenne studio in Zürcherstrasse 153.[2]
Morì nel 1815, a Meersburg, quasi dimenticato.
Mesmer si interessava di scienze naturali, ma anche di alchimia e di esoterismo, e alla luce dell’Illuminismo cercò di dare un indirizzo razionale alle pratiche esorcistiche e mistiche.
Tentò dapprima di trovare cure per le malattie utilizzando il magnetismo minerale, applicando ferro calamitato sui pazienti. Si convinse in seguito dell’esistenza di una forza, o “fluido”, che si sprigionava direttamente dall’organismo umano capace di agire sugli altri organismi.
Propose quindi una terapia, detta mesmerismo, basata su quattro principi fondamentali:
- un sottile fluido fisico, chiamato “magnetismo animale”, riempie l’universo e forma un mezzo di connessione tra l’uomo, la terra e i corpi celesti e tra uomo e uomo;
- la malattia ha origine dalla carenza di tale fluido all’interno del corpo umano;
- con l’aiuto di opportune tecniche, il fluido può essere incanalato, convogliato in altre persone;
- in questo modo si possono provocare “crisi” nel paziente e curare malattie.
Elaborò in questo modo un metodo di cura, in un primo tempo costituito dalla semplice applicazione di magneti sulle parti del corpo da curare e successivamente sviluppato con molte varianti, tra cui l’imposizione di mani irraggianti “energie benefiche”, bagni collettivi in grandi tinozze contenenti “acque magnetizzate” e induzione di stati di coscienza alterati, che egli chiamava “sonnambulismo artificiale”, e che possono essere considerati precursori dell’ipnosi.
Per fare luce sulle sue controverse pratiche, nel 1784 il re Luigi XVI nominò una commissione di indagine composta da grandi scienziati tra i quali Antoine Lavoisier e Benjamin Franklin (che all’epoca era in visita in Europa), che dopo alcuni mesi di indagini e di esperimenti condotti con l’assenso di un allievo di Mesmer, giunse alla conclusione che gli apparenti benefici della terapia fossero dovuti esclusivamente a quello che oggi chiamiamo effetto placebo.
Il rapporto della commissione anticipa la maggior parte dei metodi e delle tecniche usati ancora oggi nelle indagini sui presunti fenomeni paranormali e sulle medicine alternative.
Le sue teorie (mesmerismo) diedero vita a un importante movimento tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, ma furono sempre smentite dalla comunità scientifica, in quanto ritenute prive di ogni fondamento scientifico e del tutto inefficaci sul piano terapeutico.
Stefan Zweig scrisse una sua biografia nella raccolta Die Heilung durch den Geist.
Mesmer era appassionato dal suono della cosiddetta glassarmonica, uno strumento musicale costituito da coppe in vetro di diverse dimensioni. Egli giunse persino ad usare questo strumento quale mezzo per un trattamento post-terapeutico, volto a rilassare il paziente. Dopo una serata trascorsa presso la sua casa, di essa parlò Leopold Mozart, padre del più famoso Wolfgang Amadeus in una lettera scritta alla moglie Anna Maria nel 1773.
Ciò fu un ulteriore argomento di critica alle sue teorie, per le quali veniva accusato di ciarlataneria ed i suoi detrattori sostenevano che la musica vibrata prodotta da questo strumento aveva la sola funzione di innervosire e logorare il paziente e che il piombo contenuto nel vetro dello strumento, continuamente sfiorato dalla dita del suonatore, ne provocava la malattia. Entusiasta di questo strumento, che aveva sentito suonare da Mesmer, era il generale americano La Fayette, che convinse lo scienziato Beniamino Franklin a costruirne una.
Una testimonianza dell’interesse che il mesmerismo suscitò all’epoca per lungo tempo è rappresentata dal racconto di Edgar Allan Poe The Facts in the Case of M. Valdemar (titolo italiano: La verità sul caso del signor Valdemar), uscito nel dicembre del 1845 sul The American Review. Avendo percepito che il racconto era stato ritenuto autentico dalla stragrande maggioranza dei lettori, l’autore si ritenne in obbligo di affermare pubblicamente che i fatti narrati erano pura invenzione.
Nel periodo in questione iniziavano a diffondersi le prime forme della cosiddetta “terapia morale” (prevalentemente di tipo ergoterapico e di “incoraggiamento morale”), soprattutto sull’onda del lavoro di Philippe Pinel, che nel 1793, nominato responsabile della Salpêtrière, “tolse le catene” ai “minorati mentali” ricoverati in quello che era allora una sorta di ospedale-prigione, simile ai molti altri asylums che nel Settecento erano stati costituiti nelle principali città europee e americane per la custodia (ovvero la segregazione) dei pazienti psichiatrici. La diffusione delle terapie morali di Pinel, che prevedevano il rifiuto del ricorso alla violenza per il controllo dei pazienti, l’avvio di programmi di riabilitazione ergoterapica e forme di socializzazione, iniziò a diffondere l’idea che della malattia mentale (anche grave) ci si potesse prendere cura con modalità molto diverse rispetto al passato e, spesso, con finalità curative e non solo di controllo sociale.
In vari paesi europei (in Francia, in Inghilterra sotto l’influsso dei filantropi Quaccheri, in Italia sotto l’impulso della lezione di Vincenzo Chiarugi, etc.) iniziano così a diffondersi le prime “istituzioni pubbliche” e le prime “case di cura private” che si prendono cura del disagio psichico. Mentre nelle istituzioni manicomiali l’approccio Pineliano si afferma con difficoltà, e l’istanza del “controllo” rimane prevalente, varie forme di terapia morale si diffondono invece nelle “case di cura private”, quali quella fondata nel 1821 da Esprit Blanche a Passy (Parigi). Si tratta di vere e proprie forme embrionali di psicoterapia, intesa sia come “cura integrata del disagio psichico”, sia come forma di “logoterapia” (terapia tramite la parola).
Le “Scuole” francesi: Bernheim, Charcot, Janet
Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo le vicissitudini seguenti le scissioni nel campo dei Mesmeristi (con lo sviluppo della posizione eterodossa di Puysègur, allievo di Mesmer che fondò una propria scuola), gli studi sul “magnetismo” e l’Ipnosi (il termine usato da Braid) ripresero in ambito francese, presso la Scuola di Nancy e la Scuola di Parigi.
A Nancy, il medico Hippolyte Bernheim (1840-1919), estimatore di Lièbault, iniziò ad interessarsi del sonno ipnotico nel 1882, dopo aver constatato i risultati che Lièbault stesso riusciva ad ottenere in un’ampia serie di casistiche cliniche. In parallelo al lavoro che nello stesso periodo stava conducendo Jean-Martin Charcot alla Salpètriere di Parigi, Bernheim diffuse la conoscenza e l’uso delle metodiche ipnotistiche in ambito medico. Nel 1884 Bernheim pubblicò il testo fondamentale della scuola di Nancy (De la suggestion hypnotique dans l’état de veille), che causò l’inizio della querelle con Jean-Martin Charcot ed i suoi allievi. Bernheim, infatti, definiva l’ipnosi come una sorta di “sonno” (o stato alterato di coscienza) prodotto dalla suggestione, che poteva anche avere implicazioni terapeutiche, ed a base più psicologica che neurologica. Charcot, al contrario, sosteneva che l’ipnosi fosse una condizione patologica molto differente dal sonno, che si poteva verificare solo in pazienti predisposti all’isteria, basata su processi neurologici e che non aveva particolari usi terapeutici.
Bernheim, progressivamente iniziò ad utilizzare sempre meno la metodica ipnotica, osservando come gli effetti che si ottenevano con l’ipnosi potevano essere ottenuti anche con una forma di suggestione diretta durante lo stato vigile. Quello di suggestione vigile divenne il costrutto fondamentale della teoresi Bernheimiana, e nelle fasi avanzate della sua carriera affermò esplicitamente: “Les phénomènes de suggestion ne sont pas fonction d’un état magnétique (voir Mesmer), ni d’un état Hypnotique (voir Braid), ni d’un sommeil provoqué (voir Liébault)“.
Il procedimento di suggestione vigile iniziò quindi ad essere chiamato da Bernheim psicoterapia.
Questa linea di ricerca era destinata, in anni successivi, a saldarsi in parte con quella al contempo in via di articolazione da parte di Charcot alla Salpètriere. Charcot fu infatti il primo neurologo a riflettere sugli aspetti emotivi ed i significati psicologici di fenomeni di interesse tipicamente neurologico (quali le paralisi motorie), ipotizzando quindi che le sindromi isteriche ed i loro sintomi somatici fossero comprensibili ed inquadrabili in base alla comprensione delle esperienze affettive del paziente.
Nel 1862 Charcot fu nominato medico presso l’ospedale della Salpretrière, dove gli venne affidato il reparto delle convulsionarie. Interessandosi in particolar modo all’isteria decise di separare nel suo reparto le epilettiche dalle isteriche. I suoi studi evidenziarono come le crisi si annunciassero con la fase dell’aura, “un vapore esalato da una matrice surriscaldata, risalente nell’epigastro fino al collo dove provocava un globo isterico e da qui arrivando alla testa dove originava dei ronzii nelle orecchie e a delle vertigini”. Fu il primo ad utilizzare il termine “neurologia” per qualificare ciò che fino a quel momento ci si era accontentati di definire come “malattia nervosa”. Il suo campo di ricerca si estendeva dalle emiplegie ai rammollimenti del cervello, dalle encefaliti alle idrocefaliti, dal Parkinson alla sclerosi a placche. Nel 1882 venne creata per lui la cattedra di neurologia. Da quando si era interessato alla ricerca, si era dedicato a questa nuova materia di cui sarebbe diventato il padre, conosciuto in tutto il mondo. Fu il primo a realizzare interventi di neurochirurgia.
Il suo contributo allo studio della fisiologia e della patologia del sistema nervoso è fondamentale. A lui dobbiamo la descrizione della sclerosi a placche e della sclerosi laterale amiotrofica (malattia di Charcot). Sotto la sua influenza, la malattia mentale cominciò ad essere analizzata sistematicamente e l’isteria, allo studio della quale si consacrò a partire dal 1870 venne distinta dalle altre affezioni dello spirito. Le sue opere hanno portato ad escludere il dubbio sulla simulazione da parte dei malati nella manifestazione delle crisi o dei sintomi isterici ed è stato il primo a utilizzare l’ipnosi come cura. Era convinto che la causa fondamentale dell’isteria era una degenerazione, di origine ereditaria, del sistema nervoso; un’interpretazione che Sigmund Freud, che era stato suo allievo dall’ottobre 1885 al febbraio 1886, smentì.
Quando Chacot cominciò ad interessarsi all’ipnosi, nel 1878 era arrivato alla fine della sua carriera. L’ipnosi era già stata esplorata prima da Mesmer, Braid e soprattutto da Bernheim (con cui iniziò una lunga diatriba: il conflitto tra la Scuola di Parigi e la Scuola di Nancy). Charcot si occupò della fisiologia dell’ipnotizzato, dei suoi movimenti, dei suoi riflessi ma tralasciò i fenomeni psicologici. Charcot, che faceva esperimenti soprattutto sugli isterici, considerava il loro stato ipnotico avanzato come un vera nevrosi costituita essenzialmente da tre stati diversi:
1. Lo stato di letargia: che si ottiene per fascinazione o per compressione dei globi oculari attraverso le palpebre abbassate.
2. Lo stato catalettico: nel quale le membra restano immobilizzate nella postura che gli si impone.
3. Lo stato sonnambulico: che può essere ottenuto attraverso la fissazione dello sguardo e attraverso altre pratiche.
Queste tre fasi costituiscono quello che Charcot chiamò la “grande ipnosi”, o la “grande nevrosi ipnotica”.
Accanto alla grande ipnosi, esistono delle piccole ipnosi i cui fenomeni sono meno evidenti, analogamente a quanto avviene nella grande isteria e in quelle minori. Sfortunatamente, se i lavori di Charcot sull’isteria e sulle nevrosi furono frequentemente oggetto di critiche sbagliate, le sue ricerche sull’ipnosi, la metalloscopia, la metalloterapia, pubblicati da lui stesso o dai suoi collaboratori, hanno sollevato delle obiezioni spesso giustificate.
Per esempio, Bernheim ha dimostrato formalmente che l’ipnosi praticata presso la Salpêtrière con le sue tre fasi e questi caratteristici fenomeni di letargia, di catalessi, di sonnambulismo e i fenomeni di transfert non esistono e si producono soltanto quando il soggetto sa che devono prodursi. Sono provocati, quindi, solo dalla suggestione e dall’imitazione.
Charcot stesso, un po’ tardivamente d’altronde, finì per rendersi conto, poco prima della sua morte, che la strada sul quale si era avventurato era molto incerta, così prese la decisione di riprendere integralmente la questione dell’isteria e dell’ipnosi.
Sfortunatamente, soffrendo di un grave insufficienza coronarica, morì poco dopo nel 1893 a causa di un infarto del miocardio.
Le sue opere sono state tradotte in varie lingue e riguardano il reumatismo cronico, la gotta, le emorragie cerebrali, l’atassia.
È ritenuto il fondatore di un nuovo ramo della medicina, la neurologia, ed il suo lavoro alla Salpètriere di Parigi ebbe un’influenza profondissima sugli sviluppi della neuropsichiatria della seconda metà dell’Ottocento.
“Padre” della neurologia francese dell’epoca, la sua fama di docente attirò a Parigi numerosi medici da tutta Europa. Si recarono a Parigi per seguire le sue lezioni, tra gli altri, Eugen Bleuler, Sigmund Freud e Pierre Janet. Le lezioni della Salpètriere divenivano spesso una sorta di “spettacolo”, in cui l’indubbia competenza clinica di Charcot si saldava con il suo carisma un po’ narcisistico e teatrale: le celebri Isteriche di Charcot erano le sue pazienti che, nelle affollatissime lezioni, “si producevano sotto la sua guida” in accessi del grande male epilettico o archi isterici che divennero quasi “leggendari”, e che lo resero famoso in tutti i circoli medici europei.
A prescindere da questi aspetti più “spettacolari”, la sua opera di neurologo clinico fu di altissimo livello scientifico. Considerava l’isteria e l’epilessia come due grandi nevrosi che condividono il sintomo della convulsione, e da qui iniziò il suo lavoro nosologico. Charcot attribuisce la causa dell’isterismo in primo luogo a un fattore ereditario, e secondariamente ad effetti di suggestione, traumi nervosi, intossicazioni, incidenti, pratiche religiose, malattie infettive, diabete, ecc.
Secondo Charcot esistono anche persone che non sono suscettibili ad essere ipnotizzate, e ritiene perciò la suggestionabilità una sorta di “debilità mentale” a base neurologica, connessa con la sintomatologia nevrotica di tipo isterico. Fra i suoi allievi il più celebre fu il neurologo ed endocrinologo Pierre Marie (1853-1940).
Il lavoro di Charcot venne portato avanti e maggiormente articolato dal suo brillante allievo Pierre Janet, che concettualizzò una compiuta teoria del trauma e del suo effetto dissociativo sui processi del funzionamento neuropsichico normale (articolato su più “livelli” strutturali e funzionali). Janet fu forse il primo autore a concettualizzare organicamente l’ipotesi per cui la sintomatologia psicopatologica, derivante da un evento traumatico, potesse essere considerata un’espressione simbolica delle memorie traumatiche stesse, che venivano “dissociate” a livello subconscio.
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