Scienza e mito in Dracula
di Antonio De Lisa
Stilemi e contrappunti
“Dracula” di Abraham Stoker detto Bram (Clontarf, 1847 – Londra, 1912) viene pubblicato nel 1897 e racconta una storia iniziata sette anni prima nel 1890. La storia di un vampiro. L’ispirazione allo scrittore irlandese era stata fornita dall’incontro avvenuto nel 1890 con il professore ungherese Arminius Vambéry, il quale gli aveva raccontato la leggenda del principe rumeno Vlad Ţepeş Dracul, meglio conosciuto come Dracula. Stoker nelle sue ricerche si era imbattuto anche in altre fonti: “Un articolo di Emily de Laszowska Gerard – che aveva sposato un ufficiale austro-ungarico di stanza in Transilvania-, pubblicato nel 1885 sulla rivista ‘The Nineteenth Century’, influenzò direttamente Bram Stoker per il suo Dracula” [Introvigine 1997: p.111].
Dracula, la nascita di un mito letterario moderno
Dracula di Bram Stoker veicola un fiume in piena di credenze che già nel Settecento erano ritenute tali, ma lo fa nell’ambito di una nuova sensibilità. Il tema era stato affrontato già da Goethe nel 1797 nella sua ballata La sposa di Corinto (Die Braut von Korinth). Successivamente, nel 1819, su un periodico inglese (il New Monthly Magazine) venne pubblicato un racconto intitolato The Vampire, recante la firma di George Gordon Byron. In realtà il vero autore era John William Polidori, medico personale e intimo amico di Lord Byron, e l’idea del racconto aveva preso forma già nel 1816: nell’estate di quell’anno infatti Lord Byron ospitava a Villa Diodati (la sua villa sul Lago di Ginevra) Percy Bysshe Shelley, la sua futura moglie Mary Wollstonecraft Godwin e lo stesso John Polidori. La compagnia, costretta in casa dalla pioggia, si dilettava nel leggere storie tedesche di fantasmi, quando insieme decisero di scrivere ciascuno un racconto dell’orrore. Il maltempo non si protrasse a lungo, e gli unici a tener veramente fede al loro impegno furono Mary e Polidori: la prima col suo Frankenstein; il secondo dando vita al Vampire Lord Ruthven. Fu così che la figura di Lord Ruthven ispirò largamente il Dracula di Stoker, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fisico.
La sensibilità “gotica” e la letteratura del Sette e dell’Ottocento
La sensibilità “gotica” serpeggia già in pieno classicismo. Si può vedere un esempio di Pope, che
con il suo componimento, Eloisa to Abelard (1717) ci mette sull’avviso di un imminente cambiamento di gusto:
“Enorme dietro a me si leva un’immensa Mole,
solitaria su quest’arida brughiera, un luogo delle Tombe,
deserto, desolato, dove la Rovina triste grandeggia,
meditando su teschi senz’occhi con lo sguardo fisso,
la Colonna col Muschio, il busto che cade,
l’Arco devastato dal Tempo, la Pietra monumentale,
corrosa, cancellata, pronta a dissolversi in Polvere,
dimentiche del loro compito di lusingare la fama.
Tutto qui è pauroso Silenzio, non turbato
Se non da ciò che sibila il Vento e che il Gufo solitario
Grida stridulo alla triste Luna,
che col suo raggio occiduo illumina l’isola laggiù,
dove il triste Spirito con piede d’ombra compie
il suo giro consueto, o indugia su questa Tomba.”
Un’opera anticipatrice del romanzo gotico è “Ferdinand Count Fathom” (1753) di Smollett, un romanzo satirico piuttosto convenzionale incentrato sulle abominevoli imprese di un truffatore e con importanti elementi gotici: atmosfere cupe e persecuzioni. L’eroe di questo romanzo ospite in una casa solitaria nella foresta, trova il cadavere di un uomo appena ucciso nella stanza dove è stato mandato a dormire, e la cui porta è stata chiusa a chiave, imprigionandolo.
Ma è con “Il castello di Otranto” (1764), di Horace Walpole che inizia ufficialmente il filone dei romanzi gotici.
Il sublime e lo sfondo filosofico del romanzo gotico
Con qualche cautela dovremo ricorrere al concetto di sublime per delineare lo sfondo filosofico del romanzo gotico. Il sublime è una categoria estetica che risale all’antichità classica – elaborata nel trattato del Sublime dello Pseudo-Longino, che filtra nella modernità attraverso una serie di traduzioni sei-settecentesche. Sublime viene dal latino sublimis, composto di sub-, “sotto”, e limus, “obliquo”; quindi propriamente: “che sale obliquamente”, ovvero di sub-, “sotto”, e limen-, “soglia”, propriamente “che giunge fin sotto la soglia più alta”.
Il trattato del Sublime – L’estetica del Sublime fu elaborata per la prima volta dallo Pseudo Longino, il cui trattato del Sublime (I secolo d.C.) studia il fenomeno in relazione agli effetti che l’opera esercita sull’animo umano, anziché occuparsi della sua intrinseca natura. Già in questo trattato si manifesta dunque l’aspetto peculiare di un’estetica che supera la concezione tecnicista del Bello e la sua aspirazione a definire canoni oggettivi. Grazie alla traduzione inglese di John Hall e alla traduzione francese di Nicolas Boileau (Parigi 1636-1711) il trattato era ben conosciuto nel Seicento, ma è il Settecento il secolo in cui il concetto di Sublime venne posto tra le questioni fondamentali dell’estetica.
Edmund Burke – Tale ricerca sarà sviluppata in modo organico nel XVIII secolo, in chiave preromantica, da Edmund Burke, che nel 1757 pubblica il trattato “Enquiry upon the origin of our ideas of the sublime and beautiful” (Indagine sull’origine delle nostre idee di sublime e di bello), sostenendo per la prima volta il primato del Sublime sul Bello.
L’Enquiry sviluppa la nozione di Sublime da un duplice punto di vista: anzitutto attraverso quella che potremmo chiamare una fenomenologia del Sublime: la catalogazione, ricca di sfumature e suggestioni degli oggetti che suscitano il sentimento del Sublime (parte II); in secondo luogo tramite una teoria esplicativa delle modalità psicofisiche che generano tale emozione (parte IV). Con questo secondo lato della propria indagine, Burke è pienamente inserito nel programma illuministico di elaborazione di una scienza della natura umana (secondo la nota espressione di Hume).
Su entrambi i versanti dell’indagine il concetto di Sublime è correlato e contrapposto a quello di Bello.
Nell’idea di Burke è Sublime “Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore”, il sublime può anche essere definito come “l’orrendo che affascina”. La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come mari burrascosi, cime innevate o eruzioni vulcaniche, diventa dunque la fonte del Sublime perché “produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”, un’emozione però negativa, non prodotta dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall’oggetto.
Il Sublime secondo Kant- Qualche decennio più tardi, nel 1790, Immanuel Kant, muovendo da una contrapposizione tra estetica del bello ed estetica del sublime, torna su quest’ultimo concetto nella Critica del Giudizio, ampliandolo e distinguendo tra sublime dinamico (espressione della potenza annientatrice della natura, di fronte alla quale l’uomo prende coscienza del limite) e sublime matematico (che nasce dalla contemplazione della natura immobile e fuori dal tempo). Di fronte alla magnificenza della natura l’uomo prova dapprima un senso di smarrimento e di frustrazione, ma riconosce poi grazie all’esperienza del sublime la propria superiorità: in quanto unico essere del creato capace di un agire morale, egli è collocato al di sopra della natura stessa e della sua grandiosità. Al primo tipo appartengono fenomeni spaventosi quali gli uragani o le grandi cascate, al secondo tipo gli spazi a perdita d’occhio del deserto, dell’oceano e del cielo. La contemplazione di tale spettacolo – nell’idea kantiana – induce la mente a prendere coscienza del proprio limite razionale e a riconoscere la possibilità di una dimensione sovrasensibile, da esperire sul piano puramente emotivo.
È in questo senso che il concetto di Sublime ebbe un impatto decisivo sull’estetica romantica, che tuttavia tese per lo più a privilegiarne l’aspetto dinamico, spesso in chiave drammatica. Anche Schiller e i romantici si ispirano al concetto kantiano, il primo individuando anche una funzione educativa del sublime, i secondi attribuendo il significato della massima coscienza cosmica.
Il Sublime secondo Schopenhauer- Allo scopo di chiarire il sentimento del Sublime, Schopenhauer, nel primo volume de Il mondo come volontà e rappresentazione elenca esempi di passaggio dal Bello al più elevato Sublime.
Per il filosofo, il sentimento del Bello è semplicemente il piacere provato guardando un oggetto piacevole. Il sentimento del Sublime, invece, è il piacere che si prova osservando la potenza o la vastità di un oggetto che potrebbe distruggere chi lo osserva.
Nell’arte- Tra i molti artisti che, a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, hanno interpretato più o meno consapevolmente l’estetica del sublime, merita una menzione particolare il pittore inglese William Turner, i cui uragani, le cui bufere di neve e le cui battaglie marine rappresentano l’incarnazione pittorica di questa idea. Suo complementare è Caspar David Friedrich, con tele in cui l’uomo è raffigurato come un minuscolo neo di fronte alla grandezza della natura, mentre la sua controparte è John Constable, con una differente interpretazione del sublime applicata al quotidiano.
Dal sublime gotico al romanzo poliziesco
Il passaggio dal sublime al romanzo poliziesco o di mistero non è né lineare né scontato, ma risulta con una certa evidenza dallo sviluppo letterario del genere. Uno degli esempi è offerto da Wilkie Collins (1824-89). Collins era una collaboratore delle riviste di Dickens, Household Words e All the Year Round. “Del romanziere d’appendice il Collins ebbe il metodo e la qualità. Concepiva il romanzo come un dramma, o piuttosto un melodramma, concentrando tutto l’interesse nell’intreccio sensazionale destinato a tenere in sospeso il lettore con complicazioni d’un genere misterioso, spesso terrifico. The Woman in White (1861), il romanzo che lo rese famoso, tratta un motivo favorito dai romanzieri d’appendice: una giovinetta oppressa da un uomo tirannico. Dal Dickens, a cui comunicò certi suoi metodi di costruzione, apprese un più accurato studio dei caratteri e l’arte di non allontanare dalla realtà cotidiana la sua narrazione, evitando così che il sensazionale desse nell’inverosimile” [Praz 1979, p.140]. Collins è indicativo anche per il suo metodo documentario (di solito si serve di supposti diari, promemoria, lettere dei suoi personaggi per lumeggiare una situazione, e usa un metodo indiretto di presentazione dei caratteri, attraverso impressioni di terzi). Altro maestro della narrativa sensazionale e misteriosa fu l’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu (1814-73). “Negli ultimi anni del secolo l’interesse per il gotico come genere narrativo – che verrà condiviso da vari scrittori, tra cui Henry James con The Turn of the Screw (Il giro di vite, 1898)- ha un esponente di spicco” proprio in Stoker, che, in Dracula “presenta l’esplosione del sovrannaturale e del magico nel mondo moderno, apparentemente pacifico e laborioso, rappresentato dalla Londra fin-de-siécle. La minaccia viene dalle profondità della Storia europea, fatta di violenze e massacri ancestrali. Per sconfiggere il pericolo e salvaguardare quella preziosa proprietà borghese che è la donna (vittima preferita ma non esclusiva del conte Dracula), non basterà l’unione di un manipolo di giovani coraggiosi, ma occorrerà l’intervento di un alter ego del Vampiro – lo ‘straniero’ Van Helsing, a metà stregone, a metà scienziato- una figura emblematica di quella commistione tra ragione e magia, che tenta non solo la letteratura, ma soprattutto la cultura fin-de-siècle, la cui filosofia è ormai infettata, come per il morso di Dracula, da pratiche spiritualistiche e da rigurgiti misticheggianti” [Bertinetti 2000, II, p.124-5].
La forma epistolare e la molteplicità dei punti di vista
Dracula presenta le caratteristiche di un romanzo epistolare. Le vicende sono narrate attraverso diari, lettere, corrispondenze giornalistiche (“Stralcio da ‘The Dailygraph’ dell’8 agosto”), diari di bordo (“Giornale di bordo del ‘Demeter’. Da Varna a Whitby”), Lettere d’affari (“Lettera della ditta Carter, Paterson & C., Londra, ai sigg. Samuel F. Billington & Figlio, Whitby”). La forma diaristica era più propria della narrativa settecentesca che di quella ottocentesca. Anche qui dobbiamo annoverare dei precedenti, come La Pietra di Luna del già ricordato Wilkie Collins, raccontato, come Dracula, da un’alternarsi di narratori che vanno, vengono e ritornano a più riprese. Come Frankenstein di Mary Shelley, il libro di Stoker si compone di passi tratti dai diari e dalle lettere dei protagonisti; in forma diaristica era anche Storia di Arthur Gordon Pym, di Edgar Allan Poe.
Il contesto vittoriano
Il libro di Bram Stoker esce in piena “epoca vittoriana”. Per “epoca vittoriana” (o età vittoriana) si intende storiograficamente il periodo della storia inglese compreso nel lungo regno della Regina Vittoria, cioè dal 1837 al 1901.
“L’epoca vittoriana appare attraversata da alcune figure memorabili, da Charles Darwin allo ‘straniero’ Karl Marx, da Florence Nightingale a Beatrice Webb, dai primi ministri Disraeli e Gladstone a intellettuali sovversivi come William Morris e Oscar Wilde, ma è anche occupata da quelle moltitudini anonime e indistinte che venivano chimate hands, le masse proletarie impiegate negli opifici, relegate nei quartieri squallidi (slums) delle grandi città industriali delle Midlands” [Bertinetti 2000, II, p.68]. Il fascino che le novità esercitarono sull’età Vittoriana sfociò in un profondo interesse per i rapporti tra modernità e continuità culturale. L’architettura del Rinnovamento Gotico divenne durante questo periodo sempre più importante, fino alla cosiddetta Battaglia degli Stili tra gli ideali del Gotico e del Classico. L’architettura di Charles Barry per il nuovo Palazzo di Westminster, gravemente danneggiato dall’incendio del 1834, costruito nello stile medievale della Westminster Hall, cioè della parte dell’edificio sopravvissuta all’incendio. Esso costituì un resoconto di continuità culturale, in opposizione alle violente dieresi della Francia Rivoluzionaria, un confronto comune del periodo, come espresso da Thomas Carlyle nella sua The French Revolution: A History e da Charles Dickens in Racconto di due città. Il Gotico era anche sostenuto dal critico John Ruskin, che affermava come esso incarnasse valori comuni e sociali complessivi, opposti a quelli espressi dal Classicismo, considerato l’incarnazione della standardizzazione meccanica.
La metà del secolo diciannovesimo vide la Grande Esposizione del 1851, la prima Esposizione Mondiale, e mise in mostra le più grandi innovazioni del secolo. Al suo centro il Crystal Palace, un’enorme struttura modulare in ferro e vetro – il primo di questo tipo. Esso fu condannato da Ruskin come il vero modello della disumanizzazione meccanica di un progetto, ma successivamente presentato come il prototipo dell’architettura Moderna. La comparsa della fotografia, anch’essa dimostrata per la prima volta alla Grande Esposizione, diede la stura a importanti cambiamenti nell’arte vittoriana. John Everett Millais fu influenzato dalla fotografia (soprattutto nel suo ritratto di Ruskin) così come altri artisti Preraffaelliti. Successivamente fu associata alle tecniche Impressioniste e Realistiche Sociali che avrebbero dominato gli ultimi anni del periodo nelle opere di artisti come Walter Sickert e Frank Holl.
Ipnosi, “channelling” e spiritismo
Vale la pena notare il grande interesse dell’epoca vittoriana, soprattutto in ambito popolare, per forme di intrattenimento come gli ‘spettacoli’ durante i quali eventi paranormali, come l’ipnosi, la comunicazione con i morti, (tramite l’intermediazione di una medium o “channelling”), evocazione di spiriti e simili. Gli storici della cultura hanno sottolineato che queste attività furono più popolari durante questo periodo che in qualunque altro della recente storia occidentale.
La messa in scena del Nosferatu
Nei primi quattro capitoli del romanzo avviene il contatto tra il deuteragonista, rappresentato dal giovane avvocato inglese Jonathan Harker e il protagonista Dracula. Il giovane avvocato inglese viene inviato in Transilvania dal suo superiore presso il conte Dracula, per occuparsi del contratto di una casa che quest’ultimo vorrebbe acquistare a Londra. Harker arriva alla vigilia di San Giorgio in una fitta nebbia, tra ululati di lupi e misteriose luci azzurre: “Non sapete che oggi, al tocco della mezzanotte, si scateneranno tutte le forze del male che esistono al mondo? Sapete dove state andando e verso cosa?”. Harker sente pronunciare nella carrozza strane parole dai suoi compagni di viaggio: “Senza dire nulla, ho estratto dalla borsa il mio dizionario poliglotta e l’ho consultato. Devo dire che la cosa non mi ha rallegrato, perché fra loro ho trovato Ordog-Satana, pokol-inferno, stregoica-strega o stregone, vrolok e vlkoslak, che significa la stessa cosa, l’una in slovacco e l’altra in serbo, e cioè lupo mannaro o vampiro”.
Arrivato al castello Harker fa la conoscenza del conte Dracula, che stranamente somiglia al cocchiere che ve lo aveva condotto, una figura dall’aspetto sinistro: pallido come il chiarore lunare, vestito completamente di nero, con una bocca dai contorni crudeli e denti stranamente aguzzi.
La strana genealogia di Dracula
Stoker, dopo approfondite ricerche storiche ed etnologiche ha ricalcato la figura di Dracula sulla figura storica di Vlad III Dracula, noto anche come Vlad Ţepeş (1431-1476), creando un personaggio capace di rappresentare tutti gli stereotipi negativi dello “straniero”. Vlad III di Valacchia ha governato la regione immediatamente a sud della Transilvania, la Valacchia appunto, terra di confine tra le terre della Corona di Santo Stefano e l´Impero ottomano. Vlad III di Valacchia era figlio di Vlad II e sappiamo che fu investito dell’Ordine del Dragone da Sigismondo di Lussemburgo, re d´Ungheria e imperatore, di cui derivò l’appellativo del figlio Draculea: figlio del Dragone (il termine ‘drac’ sta a significare anche ‘demonio’, pertanto Draculea può, a buona ragione, essere tradotto anche come ‘figlio del demonio’).
“Transilvania” è una espressione latina, che significa “oltre la foresta” (“trans” = oltre e “silva” = foresta). Anche il nome ungherese della Transilvania, Erdély, significa esattamente “oltre la foresta”. I due nomi sono quindi la semplice traduzione uno dell’altro. La Transilvania (rumeno: Ardeal o Transilvania, ungherese: Erdély, tedesco: Siebenbürgen), è una regione storica che forma la parte occidentale e centrale della Romania. E’ uno scenario perfetto per Dracula, un crogiuolo inestricabile di nazioni, popoli, religioni e credenze provenienti da tutti gli angoli del continente europeo e asiatico, posta all´estremo confine della “civiltà occidentale” (è li che si collocano le più orientali tra le città in stile mitteleuropeo, con i tipici edifici romanici, gotici (vedi per esempio il Castello Hunyad o la città di Segesvár) e barocchi), con i suoi alti monti della catena dei Carpazi, abitata già da nobili nazioni guerriere come i Daci, i Goti, gli Unni, gli Ungari. Sul substrato storico e ambientale transilvano si innestano quindi bene gli elementi folclorici usati da Stoker, che sono molti perché il mito del vampiro è vecchio quanto il mondo e le leggende sui succhiasangue e sui morti viventi sono antiche e terribili, alimentate dalla superstizione e spesso dall’ignoranza.
Ma c’è qualcosa che non quadra nella genealogia del Conte, da lui stesso delineata. In essa mette Attila, re degli Unni, i vichinghi “giunti dall´Islanda” (che permettono quindi a Dracula di invocare più volte in suo aiuto le divinitá nordiche di Tor e Odino), i Székely, fiera nazione ungherese a cui era dato l´incarico di difendere i confini orientali del Regno d’Ungheria, e – naturalmente – Vlad Ţepeş tanto denigrato dalla pubblicistica transilvana ungherese-sassone. Stoker quindi stravolge l´origine etnica del Dracula valacco, storicamente esistito come Vlad Ţepeş, e ne fa un esponente di quel “Nordicum” barbarico, “vagina gentium” dominato da popolazioni, celtiche, turche, unne, ugro-finniche, iraniche, germaniche e slave, che tanto aveva impaurito nei secoli i popoli dell´Europa mediterranea. Viene fa chiedersi perché Stoker inserisca nella genealogia di Dracula i “vichinghi giunti dall’Islanda”. Ma è una domanda a cui non possiamo dare una risposta certa.
Le spose di Dracula
Il giovane Harker non tarda ad accorgersi che il castello è privo di servitù anche se al suo interno sono percepibili tenebrose presenze. Nel sonno, infatti, è avvicinato da tre giovani donne che provocano in lui uno sentimento misto di desiderio e paura:
“Tutte e tre avevano denti bianchissimi, splendenti come perle contro il rosso delle labbra voluttuose. Vi era qualcosa, in loro, che mi metteva a disagio, suscitando in me un misto di bramosia e terrore. Avvertivo un desiderio scellerato e ardente di essere baciato da quelle labbra purpuree …”
Sono le tre mogli del conte: due brune e una bionda e dagli occhi azzurri, che tentano di aggredire Jonathan Harker mentre si sta riposando in una stanza del castello, dopo essersi incautamente allontanato dai suoi alloggi. È la vampira bionda a farsi avanti per prima, ma prima di riuscire nel suo intento, essa viene fermata dal conte, che la scaglia con inaudita violenza contro un muro. Agli aspri rimproveri del conte, che ordina alle mogli di non toccare l’avvocato, la donna bionda gli rinfaccia di non aver mai amato né lei né le sue compagne, ma Dracula la contraddice, dicendo che lui le ama, e loro ne hanno avuto la prova in passato, e aggiungendo con più gentilezza che una volta che avrà concluso i suoi affari con Harker, loro potranno ucciderlo e nutrirsi del suo sangue. Alla richiesta delle mogli di avere qualcosa con cui nutrirsi per quella notte, il conte, sotto lo sguardo inorridito di Harker, consegna loro un bambino catturato al villaggio. Al termine del racconto le tre vampire verranno uccise e decapitate dal dottor Van Helsing.
Quanto al conte il suo comportamento è sinistro al pari del suo aspetto: non mangia e di giorno non è mai presente; l’ululato dei lupi e la vista del sangue provocano in lui una strana eccitazione per contro la vista della croce, appesa al collo di Harker, lo sgomenta.
Il castello diroccato pieno di stanze chiuse a chiave e dalle cui alte finestre non penetra la luce del sole diventerà per Harker una prigione; il giovane scoprirà che il conte Dracula è un vampiro, un non morto che si nutre di sangue umano, la cui missione è quella di trasferirsi a Londra per poter continuare la sua “esistenza” alla ricerca di nuove vittime.
Dopo essere stato scoperto il conte Dracula imprigiona Harker nel suo maniero e parte per l‘Inghilterra dove approderà a Whitby.
La simbologia del numero tre
Tre sono le spose di Dracula. Tre sono i pretendenti di Lucy Westerna: il dott. John Seward, direttore del manicomio, il texano Quincey P. Morris e Lord Arthur Holmwood, col quale Lucy si fidanzerà.
Lo spostamento dell’azione
Dal Capitolo quinto in poi l’azione si sposta in Inghilterra dove Mina Murray, la fidanzata di Harker, in attesa del suo ritorno, si è trasferita per un breve soggiorno a Whitby con l’amica Lucy Westenra. Da uno scambio di lettere tra le due giovani donne iniziamo a conoscere gli altri protagonisti, tutti corteggiatori di Lucy: John Seward, direttore di un manicomio, il texano Quincey P. Morris e Lord Arthur Holmwood, col quale Lucy si fidanzerà. Un inciso: perché l’azione si svolge a Whitby? Cosa c’è a Whitby? Whitby è un paese della contea del North Yorkshire, in Inghilterra. È situato a 46 miglia (76 km) da York, alla foce del fiume Esk e si estende lungo la stretta valle scavata dal fiume stesso. Stoker ha attinto al folklore di Whitby. Nel libro la nave su cui arriva Dracula, la Demeter, si infrange sulle rocce in seguito ad una tempesta. Si dice che il naufragio che ha ispirato Stoker sia stato quello della Dimitry, una nave russa che trasportava gabinetti e sanitari, la quale affondando disperse il carico, che giunse sulla spiaggia di Whitby il mattino successivo. Inoltre sembra che Stoker abbia trovato il nome Dracula proprio nella biblioteca di Whitby. Si tratta di “An Account of the Principalities of Wallachia and Moldavia” di William Wilkinson.
Tornando al libro, notiamo l’inizio di una serie di strane circostanze. Sul diario di Mina, infatti, vengono registrati, oltre ad una serie di comportamenti anomali da parte dell’amica, il primo dei quali è il sonnambulismo, anche il rocambolesco arrivo a Whitby, in un giorno di tempesta, di una nave il cui capitano è stato ritrovato morto e legato al timone. Al diario, per meglio descrivere l’accaduto, è allegato il servizio di un anonimo giornalista che descrive l’arrivo nel porto della nave fantasma, da cui esce un cane inferocito, e quindi un estratto dal diario di bordo, che sembra riecheggiare il romanzo di William Hodgson I pirati fantasma, in cui si narra di un terribile demone che infesta la nave naufragata. Dal suo arrivo in poi, contemporaneamente, Renfield, paziente del dottor Seward, inizia a peggiorare, delirando di un fantomatico Signore, mentre Lucy è evidentemente la vittima di un vampiro (porta gli evidenti segni sul collo): tutti indizi dell’arrivo del Conte Dracula in Inghilterra.
Intanto la salute di Lucy subisce un tracollo. Seward, allora, non vede soluzione migliore se non quella di chiamare, da Amsterdam, il suo insegnante, l’esimio professore Abraham Van Helsing. All’inizio provano a fermare il deperimento con una serie di trasfusioni di sangue – tutti i protagonisti maschili si prestano alla delicata operazione – ma l’attacco finale di Dracula porta alla morte della ragazza e della madre, che in quella notte finale si trovava nella stanza della figlia e che era già gravemente malata.
Il libro di Stoker parla di trasfusioni di sangue, ma noi sappiamo che non avrebbe potuto funzionare in alcun modo stante le cognizioni scientifiche dell’epoca, nel senso che non si conosceva l’esistenza dei gruppi sanguigni.
Lucy è ormai diventata un vampiro a sua volta e, infatti, inizia subito a “cacciare” bambini che giocano nei dintorni del cimitero dove il suo corpo è stato sepolto. La notizia sarebbe passata quasi anonima se non fosse che le vittime sono bambini, ma le poche informazioni che giungono dalla stampa fanno interessare i due studiosi (Seward e Van Helsing), che esaminano le ferite dell’ultimo bambino: questa prova basta a Van Helsing per convincersi che è ora di agire. Prima, però, deve convincere dell’esistenza di un tale orrore sia il suo allievo che Quincey Morris e, cosa più importante, il buon Arthur, ormai Lord Godalming dopo la morte del padre. Fatto ciò, in una terribile notte, rinchiudono nella sua tomba il corpo di Lucy, per poi tornare il giorno dopo e distruggere definitivamente la non morta mediante un paletto di legno piantato sul cuore.
Contemporaneamente Harker riesce a fuggire dal castello del conte ma si ammala e viene ricoverato in un ospedale a Budapest; quando Mina viene a saperlo parte per raggiungerlo e riportarlo con se in Inghilterra dove i due decideranno di sposarsi.
L’entrata in scena del dottor Van Helsing
Dopo avere appreso la storia di Mina e Harker dai diari di Lucy, Van Helsing contatta la coppia con cui entrerà in collaborazione. Già, ma chi è Van Helsing? Seward lo presenta come “Professor Van Helsing, di Amsterdam, che è fra i maggiori esperti mondiali di malattie oscure”. “E’ un filosofo e un metafisico, nonché uno degli scienziati più all’avanguardia del nostro tempo; e in più lo ritengo dotato di una mente assolutamente aperta”. Crede nell’esistenza del soprannaturale, e in fenomeni quali il mesmerismo, i campi elettromagnetici ed i corpi astrali. La prima sfida è quella di convincere i propri compagni d’avventura ad accettare la presenza del soprannaturale: non sarà facile e soltanto l’incontro faccia a faccia con Lucy Westenra, morta giorni prima ed ora trasformata in vampira, potrà convincere il suo razionale allievo dottor Seward.
Nel romanzo i due personaggi di Van Helsing e Seward sono assolutamente complementari e rappresentano due modi diversi di intendere il mondo che fronteggiano. Seward: la fisiologia, lo studio scientifico del cervello, il positivismo; Van Helsing: l’occulto, il mesmerismo, i campi elettromagnetici e i corpi astrali.
Il gruppo, composto da Harker, Van Helsing e i suoi colleghi, decide di eliminare il mostro cominciando a distruggerne i nascondigli, alcune casse contenenti la terra della Transilvania nelle quali il conte si rifugia durante il giorno. Dracula dopo aver ucciso un collega di Van Helsing e dopo aver contagiato Mina, riesce a fuggire portando con se l’unica cassa che è riuscito a salvare per riparare in Transilvania. Continuamente braccato dall’Inghilterra alla Turchia, per nave e per terra, il conte non può rientrare nel suo castello perché Van Helsing ha purificato la sua tomba con delle ostie consacrate e ha ucciso le donne vampiro con un paletto di frassino nel cuore.
Lo scontro finale avviene sulle montagne dove sorge il maniero e dove Dracula riposa durante il giorno nella sua cassa. Harker con l’aiuto del suo amico Quincey, di Van Helsing e di Mina blocca il carro su cui gli zingari stanno trasportando la cassa di Dracula per ricondurla al castello, prima che tramonti il sole. Il conte dopo essere stato pugnalato alla gola e al cuore si polverizza quasi in un soffio alla vista del sole. Poco prima Harker nota sulle labbra del conte un’espressione serena e finalmente di pace; contemporaneamente Mina guarisce e la sua vita è salva.
Il dibattito sul vampirismo
Mentre in Occidente fiorivano Umanesimo e Rinascimento, nei Balcani e nei territori dell’Impero Bizantino oramai al tramonto si diffondeva il timore dei morti che uscivano dai sepolcri per perseguitare i viventi; più tardi, nel momento in cui a Versailles si celebravano i fasti del Re Sole, i suoi inviati in Greci riferivano di roghi accesi nelle isole dell’Egeo per sbarazzarsi di cadaveri che gettavano nel terrore interi villaggi. Il libro, che poggia su una ricca base documentaria, illustra lo sviluppo delle credenze vampiriche nel medioevo bizantino e slavo ricercandone i primordi nell’antichità e seguendone le tracce, che intersecano quelle dell’eresia e della storia della Chiesa, fino all’epoca moderna. L’analisi di queste voci antiche permette così di comporre un’avvincente “archeologia del vampiro”.
L’etimologia del termine “vampiro” e i primi trattati: un capitolo dell’Illuminismo?
La prima apparizione del termine “vampiro”, in tedesco, “sembrerebbe quella del 21 luglio 1725 nel giornale ‘Das Wienirische Diarium’, che parla di vanpir a proposito del caso Plogojowitz” [Introvigine 1997: p.118]. Il terreno è pronto per un dibattito ch si protrarrà a lungo. “Il dibattito filosofico e teologico sull’esistenza del vampiro è uno degli argomenti che ha maggiormente appassionato il Settecento (…) si può affermare che questa controversia nasca con la pubblicazione a Olmutz, nel 1704, del volume Magia Posthuma del giurista Karl Ferdinand de Schertz” [Introvigine 1997: p.118] . L’ipotesi di Schertz è che il fenomeno sia nella maggior parte dei casi originato da superstizioni contadine. Un parere che viene raccolto da numerosi studiosi, tra i quali Johan Heinrich Zedler: nella sua opera Universal Lexicon (1732-54) sostiene che alcuni cadaveri riescano a mantenersi in perfetto stato di conservazione grazie a particolari qualità chimiche del terreno. “ Quando possiamo trovare una spiegazione naturale di un incidente – sostiene Zedler- dobbiamo fermarci a queste spiegazioni senza fare ricorso agli spiriti o a qualità occulte”. Non mancano però i possibilisti, come Johann Christoph Stock che sostiene l’ipotesi dell’esistenza dei vampiri nella sua Dissertatio physica de cadaveribus sanguisugis (1732). Come riferisce Introvigine, lo storico Faivre distingue nel dibattito del 1732 e degli anni seguenti tre posizioni: il discorso razionalista, quello teologico e quello esoterico, ma ciascuno dei tre conosce in realtà numerose varianti.
Il vampiro teologico e la posizione scettica della Chiesa: il vampirismo non rientra nella demonologia
Diversi uomini di Chiesa s’interessano al fenomeno del vampirismo al pari degli scienziati. Non tutti i sacerdoti e pastori della Chiesa credono ai vampiri. Anzi, è particolarmente in ambiente ecclesiastico che si afferma, sia pur gradualmente, una linea scettica. L’arcivescovo di Trani Giuseppe Davanzati è autore di un’interessante Dissertazione sopra i vampiri (1738-43) che prende spunto proprio dagli episodi d’isterismo di massa accaduti in Moravia. Davanzati classifica i vampiri nell’albo delle creature immaginarie, e li attribuisce all’ignoranza di una popolazione arretrata e poco istruita: “Perché non si vedono vampiri in Roma, Parigi, Londra o in qualche altra città cospicua d’Europa? (…) Perché i popoli di Slesia, Boemia, Ungheria e Moravia, ove ordinariamente si narrano che succedano queste apparizioni, sono per essi stessi inclinati ad antiquo alle visioni per esser troppo creduli e soggetti all’inganno della fantasia.”
Proprio la Dissertazione di Davanzati è lo spunto per l’affermazione autorevole di Papa Benedetto XIV. Il 12 gennaio 1743 il papa scrive: “Tutt’oggi mancano prove sicure e vengono considerate, anzi, dalle persone più sensate come fallaci finzioni della fantasia.” Quanto al fatto che i cadaveri vengano ritrovati non decomposti, con i peli del corpo, le unghie e i denti che sembrano ricrescere, il pontefice rileva che la medicina del Settecento spiega ormai tutto questo con cause naturali. “Verso la metà del Settecento la posizione scettica, che vedeva nei vampiri un frutto dell’immaginazione umana, era ormai diventata ufficiale nel magistero della Chiesa cattolica” [Introvigine 1997: p. 126].
Le Dissertations sur les apparitions (1746) di Dom Augustin Calmet sono usate ancora oggi come un’efficace raccolta di testimonianze sulle apparizioni di vampiri in Europa. In realtà, se nella prima edizione dell’opera Calmet si mostra possibilista sull’esistenza dei vampiri e non la esclude a priori, nella seconda edizione arriva a negare questa eventualità. In questo brusco cambiamento di rotta si sente l’influenza di Voltaire, che aveva polemizzato duramente con Calmet dopo l’uscita della prima edizione. L’ambiente illuminista rendeva molto difficile ammettere anche solo per assurdo l’esistenza di morti viventi. L’Encyclopédie, alla voce Vampires, scriverà che “il p. Calmet ha fatto su questo soggetto un’opera di cui non lo si sarebbe creduto capace, ma che serve a provare quanto lo spirito umano è portato alla superstizione”.
Il rapporto tra anima e corpo nel dibattito sul vampirismo
Uno delle ultime discussioni magiche prese sul serio nelle università riguarda le quattro parti costitutive dell’essere umano. I sostenitori dell’interpretazione esoterica partono dalla divisione dell’essere umano in quattro parti: l’anima vegetativa, l’anima sensitiva, l’anima razionale e il corpo. Cruciale per il vampirismo è l’anima vegetativa – che rimane presso il corpo per un certo periodo-, mentre l’anima sensitiva sussiste ancora più a lungo e l’anima razionale è immortale. “In quanto parte dell’anima mundi, l’anima vegetativa può comportarsi come uno ‘spirito vitale errante’ che aspira a tornare all’anima del mondo. Nel suo viaggio verso questa destinazione ultima, rimane colma delle immagini di cui si è impregnato lo spirito della persona prima della sua morte” [Introvigine 1997: p.127].
Antropologia evoluzionista dell’età vittoriana
Dagli esiti scettici del razionalismo illuminista si poteva uscire solo in un modo: prendendo sul serio le credenze magico-esoteriche ma inserendole in un nuovo contesto, quello dell’antropologia e delle scienze umane. “La formulazione delle leggi della selezione naturale, resa esplicita da Darwin in The Origin of Species, dopo alcuni anni di esitazione, rivoluziona la concezione biblica e provvidenziale della storia umana e della natura, e ha conseguenze profonde su molte discipline scientifiche (la geologia, la zoologia, la botanica) e sui nuovi settori del sapere come l’antropologia” [Bertinetti 2000, II, p.75]. L’Inghilterra, negli anni della Regina Vittoria era considerata come la patria dell’antropologia moderna. Questa fu definita da Tylor, uno dei fondatori della disciplina, “la scienza del riformatore” per indicare il contributo che l’antropologia poteva dare all’umanità.
Nell’opera più celebre di Tylor, Cultura primitiva, viene data una definizione di cultura secondo la quale essa è l’insieme delle credenze e usanze di una persona in una società. Da questa affermazione si può notare che la cultura è ovunque, è un insieme complesso, è acquisita ed è varia in quanto esistono numerose culture.
La cultura anche se è un insieme complesso può essere scomposta. Gli antropologi evoluzionisti partono da questo presupposto, dicevano che estraendo un dato elemento da varie culture si poteva capire l’evoluzione di quell’elemento. Anche Tylor pensava che esistessero popoli inferiori e popoli superiori. Secondo lui, infatti, i selvaggi rappresentavano i primitivi.
Gli antropologi evoluzionisti sono sempre stai attenti alle religioni, ed anche Tylor dedicò spazio a questo argomento. Proprio Tylor iniziò a parlare di animismo, ovvero la credenza nell’anima e negli esseri spirituali in genere. Questo, secondo Tylor, nacque dai sogni e successivamente l’uomo diede un anima a tutti gli essere e oggetti, fino ad arrivare al concetto di spirito. Con questo termini quindi, si indicava tutto ciò che si contrapponeva alla razionalità e al sapere scientifico. Secondo Tylor, infine, l’animismo si è andato evolvendo grazie all’accumularsi delle conoscenze, fino a riguardare solo il cristiano civilizzato.
Tylor introduce anche il concetto di sopravvivenze, ovvero il perpetuarsi di credenze o usanze antiche anche in culture nuove. Questo si spiegava poiché era esistito in precedenza, e proprio per questo continuava ad esistere. Le sopravvivenze sono dunque fossili sociali.
Gli evoluzionisti, furono gli antropologi che più si avvicinarono ed usarono il metodo comparativo. Questo, consisteva nel confrontare diverse culture sotto tutti i punti di vista.
Dopo aver analizzato questi aspetti, Tylor, volle dare a tutto un sapere scientifico, utilizzando il metodo delle variazioni concomitanti o delle correlazioni statistiche, con i quali volle calcolare le frequenze statistiche di certe usanze nelle discendenze marilineari e patrilineari, come ad esempio la frequenza delle couvade.
Un altro famoso antropologo, Smith, si concentrò sulla religione e formulò una teoria secondo la quale, il dato primario di ogni esperienza religiosa, non era uno sforzo dell’intelletto primitivo a comprendere la realtà, bensì i simboli e riti religiosi. Secondo Smith la religione era connessa alla vita politica e sociale; infatti il praticare riti pubblici era un segno del rapporto degli individui con la società. Smith, per avallare la sua teoria, studiò a fondo il significato del sacrificio, che secondo lui consisteva, non tanto nel ingraziarsi una divinità, quanto una comunione tra la società e la divinità che rappresentava l’unità della stessa società. La religione quindi rafforzava il senso di appartenenza ad un unico gruppo, quindi non risultava essere utile per la salvezza dell’anima, quanto per il benessere della società.
Probabilmente l’ultimo antropologo dell’età vittoriana fu Frazer, che si occupò di accostare il pensiero magico a quello religioso e a quello scientifico. Nel suo famoso libro, “Il ramo d’oro”, la sua ipotesi era quella che gli uomini inizialmente si accostarono alla magia nel tentativo di controllare la natura; successivamente tentarono di accattivarsi il favore della natura, con la religione; quando poi l’uomo capì che gli dei non potevano risolvere i loro problemi, iniziarono a conoscere in modo scientifico la natura e a risolvere praticamente i loro problemi.
La scienza del dottor John Seward
Fissato il quadro degli avvenimenti, possiamo ora farci un’idea più precisa delle ide scientifiche che sottendono la trama del libro. Un utile punto di vista è offerto dalla descrizione di un caso clinico da parte del dottor Seward. Si tratta del “caso Renfield”, dal nome di un suo paziente ricoverato in manicomio, che Seward definisce “maniaco zoofago (mangiatore di esseri viventi)”.
“Gli uomini si sono sempre fatti beffe della vivisezione, eppure guardiamone i risultati oggi! Perché non far progredire la scienza nel suo aspetto più arduo e cruciale, la conoscenza del cervello? Se solo potessi carpire il segreto di una simile mente, se possedessi la chiave per penetrare le fantasie anche di un unico squilibrato, potrei far toccare al ramo della scienza di cui mi occupo vette mai raggiunte, a paragone delle quali perfino la fisiologia di Burdon-Sanderson o la conoscenza cerebrale di Ferrier sarebbero quisquilie.”
Seward cita la Fisiologia di Burdon-Sanderson. Di che cosa si tratta? Sir John Scott Burdon-Sanderson era un fisiologo e patologo britannico (Jesmond, Newcastle on Tyne, 1828 – Oxford 1905). Professore, nell’University College di Londra, di istologia e fisiologia pratica, poi di fisiologia umana. Indi all’univ. di Oxford, dove fondò l’Istituto di fisiologia. Ritiratosi dall’insegnamento (1895), fu nominato prof. regio di medicina. Famoso per le indagini in fisiologia e in patologia (studio dell’influenza dei movimenti respiratorî sulla circolazione, ricerche di elettrofisiologia, ecc.), e per la riforma degli studî medici in Inghilterra.
Veniamo ora alle teorie sul cervello di Ferrier. David Ferrier (Aberdeen, 1843 – 1924) è stato un neurologo scozzese. È noto per i suoi studi pionieristici in psicologia e neurologia.
Tra le pubblicazioni di Ferrier, due opere sono piuttosto rilevanti: Le funzioni del cervello (The Functions Of The Brain) pubblicato nel 1876, e considerato uno dei classici delle neuroscienze, in cui l’autore descrive i risultati dei suoi esperimenti; e La localizzazione della malattia cerebrale (The Localization of Brain Disease) del 1888, dove vengono esposte le applicazioni cliniche della localizzazione corticale, integrate con le teorie di Jackson. Insieme al suo mentore e a James Crichton-Browne, il direttore dell’ospedale in cui cominciò i suoi esperimenti, Ferrier fonda il Brain Journal, rivista scientifica dedicata all’interazione tra neurologia clinica e sperimentale, il cui primo numero vide la luce nel 1878 e pubblicata ancora oggi.
Come viene evidenziato in un importante studio a cura di Carmela Morabito, “Modelli della mente, modelli del cervello. Aspetti della psicologia fisiologica anglosassone dell’Ottocento”, Franco Angeli, i presupposti teorici del modello neurofisiologico di Ferrier sono più che evidenti: dall’associazionismo senso-motorio di Bain, all’evoluzionismo di Spencer, alle idee di Laycock e di Jackson sulla struttura e sul funzionamento del sistema nervoso. E la sintesi teorica che egli elaborò, il modello di funzionamento del cervello che egli propose nelle ultime decadi dell’800, in qualche modo forma ancora oggi – nelle sue linee generali – l’immagine del cervello e delle sue relazioni col comportamento animale e umano cui fa riferimento gran parte della neurofisiologia e della psicofisiologia contemporanee.
La “frenologia scientifica” di Ferrier e il suo lavoro sulle localizzazioni cerebrali ebbero enormi ripercussioni non solo all’interno del mondo scientifico, ma nel più vasto ambito sociale e culturale.
Come si può vedere, Stoker si dimostra non ignaro delle teorie scientifiche contemporanee, soprattutto in ambito neuro-fisiologico e risente del clima positivistico della cultura inglese del tempo.
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Bibliografia
[Bertinetti 2000, I]
Paolo Bertinetti (a cura di), Storia della letteratura inglese, 1 vol., Dalle origini al Settecento, Torino 2000.
[Bertinetti 2000, II]
Paolo Bertinetti (a cura di), Storia della letteratura inglese 2 vol., Dal Romanticismo all’età contemporanea, Torino 2000.
[Braccini 2011]
Tommaso Braccini, Prima di Dracula. Archeologia del vampiro, Il Mulino, Bologna 2011.
[Introvigine 1997]
Massimo Introvigine, La stirpe di Dracula. Indagine sul vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1997.
[Morabito
Carmela Morabito, “Modelli della mente, modelli del cervello. Aspetti della psicologia fisiologica anglosassone dell’Ottocento”, Franco Angeli.
[Praz 1979]
Mario Praz, Storia della letteratura inglese, Firenze 1979.
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