Antonio De Lisa – Recensione: Edoardo Sanguineti, “Cultura e realtà”

IN POESIA: RECENSIONI

Edoardo Sanguineti

Cultura e realtà

a cura di Erminio Risso,

Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 2010.

di Antonio De Lisa

Nella collana “Campi del sapere” di Feltrinelli è uscito il volume Cultura e realtà di Edoardo Sanguineti, a cura di Erminio Risso. La data della prefazione di Risso è 29 maggio 2010. La morte di Sanguineti è avvenuta il 18 maggio. L’editore ha voluto mandarlo in stampa come omaggio allo scrittore di cui ha in catalogo l’opera poetica. Il volume è poi uscito a novembre.

Risso ha lavorato lungamente con Sanguineti per preparare il testo, a partire dall’agosto 2007 e ha chiuso l’indice la sera del 6 maggio 2010 a Bologna, dopo l’incontro “Edoardo Sanguineti: il mio Novecento”, svoltosi nella Biblioteca comunale dell’Archiginnasio.

Questa, in breve, è la storia materiale di questo prezioso volume, che si presenta come testamentario dell’opera saggistica del poeta genovese. Non è l’unico di questo genere nella sua carriera, occorre ricordare almeno Ideologia e linguaggio, che “in tutte le sue edizioni si propone, per così dire, come uno sguardo attento alle diverse avanguardie e agli sperimentalismi, pronto ad indicare, in modo più o meno occulto, alcuni percorsi di metodo” (dalla Prefazione) e Il chierico organico, “foscolianamente una storia della letteratura italiana per saggi” (sempre dalla Prefazione).

Se questi due hanno le caratteristiche menzionate, quali sono le caratteristiche di questo Cultura e realtà? Varie e molteplici, e ampie come la cultura dell’autore. Vi troviamo la trama e il tragitto di un attraversamento di tutta la cultura italiana nel corso dei secoli, ma anche preziosi e illuminanti squarci della poetica propria di Sanguineti.

Il saggio che apre la raccolta si intitola: “Come si diventa materialisti storici?”, l’ultimo, che la chiude, “Per una teoria della citazione”. L’arcata tematica è fin troppo evidente. Realtà, nel primo caso; linguaggio,nell’ultimo. Il primo chiarisce l’ideologia dell’autore, l’ultimo la sua essenza di operatore di lingua e di linguaggi. Ma anche nel primo caso dovremo stare ben attenti a non accontentarci di una lettura di superficie e piuttosto scrutare nel materialismo di Sanguineti i percorsi più segreti e inquieti, specie quando parla dei rovelli di Lukacs e di Benjamin o dell’opera di Brecht. Per Sanguineti la definizione di “materialismo storico” equivale a quella di “comunismo”, ma è un comunismo senza dogmi, quello di cui vuole darci testimonianza, gramsciano e critico.

Prima di parlare dell’ultimo saggio, veramente illuminante e che chiarisce molte cose, dovremo discutere della materia ricchissima di cui è intessuta la raccolta, che riguarda letteratura, critica, medicina, teatro, musica, arti. Cioè, in definitiva, gli interessi e le passioni dell’autore. Entriamo quindi nel suo laboratorio di uomo di cultura e di lettore di professione. I primi saggi sono dedicati ai classici: Seneca tragico, Petronio e subito dopo si entra nel vivo del discorso: la letteratura italiana, presa dalle origini (“Elementi poetici della scuola siciliana”). Magistrale in questo ambito il saggio intitolato “Il sonetto 19”, che risale al 2004, subito seguito da “L’opera di Francesco Petrarca”. In questi due saggi Sanguineti abbozza una lettura di Petrarca del tutto personale e originale ed è un peccato che l’autore non abbia trovato il modo di svilupparla in un vero e proprio libro. “Ho già confessato una volta, netto netto, il mio antico sogno di un discorso analitico su un ‘Petrarca medievale’ (alla maniera di un Branca che esplora Boccaccio, proprio). Perché Petrarca non inaugura un futuro… Petrarca è una conclusione. Oseremo dirlo: è, programmaticamente, un sublime epigono terminale” (p.77). E ancora: “Non siamo per nulla in presenza dell’aprirsi di un fantomatico umanesimo lirico o volgare, o come altrimenti voglia designarsi” (ivi). Ma se leggiamo un po’ a fondo nel saggio sanguinetiano scorgiamo la traccia di un discorso che va al di là di problemi di periodizzazione letteraria. Sanguineti si sta confrontando con il “lirico” nella sua essenza, con la dimensione “lirica” in tutta la sua portata. Prende, alla fine, polemicamente, le parti a favore del Petrarca prosatore (in latino): “Ma questa opzione, in favore del prosatore, è una pura proposta provvisoria, che qui si registra come mera ipotesi di lavoro. E’ un modo, in fondo, per tentare di farla finita, al possibile, per sempre, con la lirica e il lirismo”. Qualcuno potrebbe aggiungere che è esattamente quello che ha fatto il Sanguineti poeta. Ma è un discorso da svolgere con cautela e non prima di aver preso in considerazione il saggio finale sulla citazione.

Seguono saggi dedicati ad Annibal Caro, Francesco Redi, Pietro Metastasio, ma è con Leopardi che troviamo un altro luogo interessante da discutere (“Invito a Leopardi”), in specie quando Sanguineti entra nella questione del Leopardi “filosofo”. Seguendo, troviamo saggi su Carducci, Verga e ancora una volta un testo molto interessante (“Testimonianza di un lettore”) su Campana e un altro sui Canti pisani di Ezra Pound  e una testimonianza su Eliot e Pound. Si sente che è la poesia l’argomento centrale dell’opera di Sanguineti: un corpo a corpo durato tutta la vita. Sollecitante infinite ramificazioni.

Seguono vari interventi prima di entrare nella sezione III “Arti”, che sono testimonianza del vivo interesse dell’autore per questi argomenti. Anche la sezione IV, “Musica, Teatro e Spettacolo” è ampia, come ampia era la curiosità di Sanguineti per queste forme d’arte. Sanguineti è stato più volte librettista delle opere di teatro musicale del compositore Luciano Berio.

Come si diceva, la raccolta è chiusa dal saggio “Per una teoria della citazione”, del 2001. E’ dir poco definirlo illuminante. Non a caso l’autore ha voluto, d’accordo con il curatore, sistemarlo alla fine. Comincia così: “La mia tesi di partenza è questa: che tutto è citazione” e prosegue: “La mia è una pretesa quasi di ordine antropologico: quando dico che tutto è citazione voglio dire che noi viviamo citando”. Quindi l’autore si inoltra nell’esplicazione del concetto di “codice” ed è qui che sentiamo la mano del poeta d’avanguardia che ha assimilato il concetto più penetrante del formalismo, che non c’è niente di innocente nella comunicazione. Proprio qui, se mai ce ne fosse stato bisogno, troviamo il trait-d’union tra il saggista e il poeta. Il poeta smaschera con i suoi giochi linguistici le apparenze del linguaggio, facendone emergere le strutture di codice collettivo verso il quale esercitare la sua opera di demistificazione. Demistificazione di ideologie altrimenti celate.

Se proviamo a collegare l’ultimo saggio al primo troviamo la risposta al che cos’è la realtà di cui parla il “materialismo storico”: una stratificazione di codici ideologici basati sulla realtà materiale dei rapporti di produzione da scardinare con un’incessante opera di messa in superficie. Farci vedere l’inganno.

Il primo e l’ultimo saggio sorvolano come un ponte l’aspetto più propriamente poetico, laddove Sanguineti parla di Petrarca. Per Sanguineti la lirica, in questa prospettiva, sarebbe l’inganno che la poesia esercita su se stessa. Il caso Petrarca è emblematico. Pensa di scrivere, in realtà ri-scrive, ri-cicla, usa i codici celandoli.

Se mi sembrano molto persuasivi i discorsi che aprono e chiudono la raccolta, avrei qualche riserva ad accettare fino in fondo il discorso sulla morte della lirica. E’ l’errore classico di fine secolo, della letteratura come della filosofia, aver appunto asserito che non c’è altro che linguaggio e per lo più fortemente ideologizzato. Linguaggio di classi dominanti. In gran parte è vero; ma se parliamo di poesia, che forse implica dimensioni non riconducibili esclusivamente al linguaggio, si può concordare fino a un certo punto, a meno che non si voglia chiudere il discorso sul “poetico” una volta per tutte. Questione che invece apparirebbe alquanto aperta.

Antonio De Lisa

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