Alberto Toni
Alla lontana, alla prima luce del mondo
Jaca Book, (Collana I Poeti, a cura di Roberto Mussapi), Milano 2009.
di Antonio De Lisa
Il titolo del libro di Alberto Toni, “Alla lontana, alla prima luce del mondo” potrebbe far pensare a una poesia solenne, dai tratti scultorei ed epocali. Un po’è così, ma c’è anche molto altro. Prendiamo per esempio la prima sezione, titolata “Trovatori”. Incontriamo una “sessione di lavoro”, che è chiaramente riferita al computer, un “palmare” (due volte), un “getto improvviso dell’innaffiamento automatico”, un “auricolare” (per ascoltare musica rap), non senza una menzione delle “connessioni” e dell’”alta velocità”. Toni non teme di irrorare il tessuto lessicale delle sue poesie di parole desunte da linguaggi e gerghi della contemporaneità. Questo è tanto più vero proprio nella prima sezione, già citata, titolata “Trovatori”, dove ogni poesia richiama un trovatore provenzale, Jaufre Rudel, Giraut de Bornelh, Raimbaut d’Aurenga, Peire d’Alvernhe, Bernart de Ventadorn e così via. Idea molto efficace per sottolineare il tessuto amoroso dei testi senza trasalimenti romantici.
Già da questi primi accenni possiamo notare la sapiente orchestrazione del poeta romano, che gioca continuamente tra presente e memoria culturale, sia dal punto di vista storico, sia da quello stilistico. I testi poetici della raccolta hanno un impianto basato su versi mediamente lunghi, non senza “sprezzature” metrico-ritmiche: per esempio, in una serie di versi narrativi si incastonano settenari del tipo: “un accenno di mossa / sembra quasi una scossa / perduta in tanto amore” (Rap del primo tempo d’amore).
Un altro motivo tematico è quello dei viaggi e delle città: “Là sulla costa atlantica a New York”, Genova, dove “Le case in alto / sono a grappolo”, Budapest, Praga, la Calabria, i viaggi in mare. Ma il poeta è però deciso “a non tagliare radici, a non perdere / pezzo a pezzo quello smisurato verde”. Da questo si rivela il tessuto esperienziale-memoriale del percorso di Toni, che ha attraversato il mondo e le stagioni della storia, ma sempre con un’ancora di salvataggio: la moglie, la “casa che fu abitata”, la memoria del suo passato, la cultura personale; quest’ultima traspare dai riferimenti classici che si infittiscono al centro della raccolta: l’Olimpo, Giano, il Tempio di Giove Capitolino, il valoroso Achille, lo “sfortunato” Ettore.
Un ulteriore livello del testo è quello per così dire “metaletterario”. Si è già visto il riferimento ai trovatori. Più avanti troviamo quello a Shelley, al Pierre Bezuchov di Guerra e pace, a Elio Pagliarani e un’intera sezione, titolata “Nove variazioni”, è basata su una poesia di Amelia Rosselli: “i giovani, le loro rose” nel volume “Documento” edito da Garzanti nel 1976.
Nella parte finale l’intonazione assume un andamento stilisticamente più contenuto. Le singole poesie si circoscrivono nella misura dei quindici-sedici versi o anche meno, tranne la penultima “Quarto Stato”. E con la misura più compatta anche il tono si fa più sentenzioso, del tipo “Assumiamo su di noi il dolore / del mondo”, anche se poi in chiusa si dice che “il desiderio non è chiave di volta / non trama”. E’ il tema del desiderio: “il desiderio avvolge il male”, ma la parola “desiderio” assume un connotato plurivoco, dai molti significati e il desiderio si allarga e si espande: “Non dobbiamo pensare sempre ai morti. / Dobbiamo pensare ai vivi, farci strada/ nel dirupo del morso del cane, sopravvivere”, con un’immagine veramente bella (il dirupo del morso del cane). E’ vero che il poeta può “raccontare ormai soltanto / frammenti di storia”, ma è “in volo”, anche se “senza controllo”, “in volo libero, in caduta naturale sul secolo nuovo”.
La conclusione è in positivo, sia pur con una leggera pronuncia retorica che rompe la felice alternanza ritmica della raccolta: “Ci aspetta una lunga / marcia domani. La storia sui carri del progresso / e della tecnica, imparare in fretta la lezione”.
E’ una raccolta, questa di Toni, che ha una sua complessità; ma è anche resa fruibile e direi (senza paura) godibile per la scelta di un linguaggio “medio” e però sapientemente tramato al suo interno da richiami e memorie.
Antonio De Lisa
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