Antonio De Lisa – La metafora della musica nelle poetiche romantiche

La metafora della musica nelle poetiche romantiche

di Antonio De Lisa

In questo breve saggio ci proponiamo di disegnare un quadro generale della Filosofia della musica dell’Ottocento, dai Romantici a Nietzsche. Non è un’operazione facile, ma forse può essere utile nel fornire uno sfondo a partire dal quale si possono poi attivare ricerche particolari. Siamo consapevoli che si può correre un rischio, dell’eccessiva generalizzazione; ma questo rischio può essere evitato se si dà conto in maniera lineare e circostanziata delle singole posizioni teoriche degli autori e delle correnti prese in considerazione.

L’estetica romantica e la musica

Il momento cruciale del Romanticismo è quello che si pone fra il Settecento e l’Ottocento in Germania nei circoli costituiti dai fratelli Schlegel, Friedrich (1772-1829) e August Wilhelm (1767-1845) a Jena e poi a Berlino. La più efficace caratterizzazione del Romanticismo come categoria psicologica è stata data dal grande studioso L. Mittner: “Inteso come fatto psicologico, il romantico non è il sentimento che si afferma al di sopra della ragione, o un sentimento di particolare immediatezza, intensità e violenza, e non è neppure il cosiddetto sentimentale, cioè un sentimento malinconico-contemplativo; è piuttosto un fatto di sensibilità, il fatto puro e semplice, appunto, della sensibilità, quando essa si traduca in uno stato di eccessiva e addirittura permanente impressionabilità, irritabilità e reattività. Domina nella sensibilità romantica l’amore dell’irresolutezza e delle ambivalenze, l’inquietudine e l’irrequietezza che si compiac-ciono di sé e si esauriscono in sé”. Il termine più tipico per indicare questi stati d’animo è “Sehsucht”, che può essere reso in italiano con “struggimento”.

Il Romanticismo fu caratterizzato dal risalto che in alcuni sistemi filosofici si diede all’intuizione e alla fantasia in contrasto con quei sistemi basati unicamente sulla fredda ragione, intesa come unico organo della verità. In campo artistico la caratteristica principale della forma d’arte tipicamente romantica consiste nel prevalere del “contenuto” sulla forma e quindi in una rivalutazione espressiva dell’informale.

Grande importanza riveste in ambito romantico la musica. Tutti i romantici levano inni alla musica, descrivendo con esaltazione gli stati di grazia nei quali li getta l’audizione dei brani musicali: per primo Wackenroder, poi Tieck, Novalis, Jean Paul Richter. “A loro volta i filosofi, Schelling, Hegel, Solger assecondano la concezione dei poeti: ben lontani dal trascurare la musica nei loro sistemi di estetica, sono anch’essi tutti concordi nel considerarla una delle arti nelle quali maggiormente l’Assoluto si rivela nella forma sensibile e in cui l’elemento ideale e spirituale ha il predominio su quello materiale” (M.Donà, “Intr.” a “E.Th.A. Hoffmann, poeta e compositore”, p.XI).

Da parte sua Friedrich Schiller, nella sua opera “Dell’educazione estetica dell’uomo, in una serie di lettere”, composta nel 1793-94 e pubblicata nel 1795, “ancora in maniera non diffusa e tuttavia degna di nota esprime una sua posizione sulla musica. Lo scritto (…) postula due istinti fondamentali, l’istinto della forma e quello della materia, che danno voce rispettivamente alla ragione e al senso e che dilanierebbero l’uomo con il loro inconciliabile antagonismo se non intervenisse l’arte a disciplinarli” (G.Guanti, Estetica musicale, p.250). La scultura, per esempio, inclina verso l’istinto della forma, la musica verso quello della materia, che va pertanto mitigato e corretto da una più rigida e costrittiva formalizzazione.

La musica è destinata dai Romantici a farsi arte superiore, più efficace, dal punto di vista di una soggettività consapevole di sé, di qualsiasi altra espressione artistica. In perfetta consonanza con il precedente kantiano, Johann Friedrich Herbart (1776-1841) avrebbe riconosciuto “la perfetta autonomia della valutazione estetica, rispetto al secolare dominio dell’istanza conoscitiva (…) Il fatto è che la musica disegna ogni volta una sfera puramente relazionale che consegna il massimo rigore a una dimensione che altrimenti si ritroverebbe abbandonata alla vaghezza e all’approssimazione: quella del cuore” (M. Donà, “Filosofia della musica”, p.93).

Wilhelm Heinrich Wackenroder

L’autore che avvia una vera e propria estetica musicale in ambito romantico è Wilhelm Heinrich Wackenroder (1773-1798), con un’opera capitale: “Sfoghi del cuore di un Monaco innamorato dell’arte” (1796) in cui si trovano anche “La singolare vita musicale del compositore Joseph Berglinger” e le “Fantasie sull’arte per gli amici dell’arte (saggi musicali di Giuseppe Berglinger)”.

Gli “Sfoghi del cuore” contengono la prima formulazione compiuta dell’estetica musicale romantica; in questo contesto l’asemanticità della musica, cioè il fatto che la musica non significhi qualcosa di sufficientemente preciso, come le parole, “che nel classicismo razionalista rappresentava il capo d’accusa principale contro di essa, vi diventa motivo di privilegio nei confronti delle altre arti” (G. Guanti, Estetica mu-sicale, p.263). La musica è esaltata proprio perché un’opera musicale non ha un significato paragonabile a quello del linguaggio ordinario.

“L’arte – scrive Wackenroder – è una lingua di tutt’altra specie della natura; ma anch’ essa esercita una meravigliosa potenza sul cuore dell’uomo, ottenuta per vie similmente oscure e misteriose. L’arte parla attraverso figure umane e si serve di una scrittura di geroglifici, i cui segni noi conosciamo e comprendiamo secondo l’apparenza esterna. Ma essa fonde ciò che è spirituale e soprasensibile in forme sensibili e in una maniera così commovente e meravigliosa che di nuovo il nostro essere, e tutto ciò che è in noi, è messo in movimento e scosso fin nelle fondamenta (…) Le teorie dei sapienti commuovono solo il nostro cervello, solo una parte di noi stessi, ma le due meravigliose lingue, la cui forza io vi annuncio, toccano i nostri sensi e il nostro spirito; o piuttosto sembrano fondere insieme – poiché non so esprimermi altrimenti – tutte le parti del nostro (ma per noi incomprensibile) essere, in un nuovo unico organo, il quale afferra e comprende, attraverso queste due vie, i miracoli celesti”

La concezione romantica della vita e dell’arte aveva portato la musica ad assumere un posto elevatissimo fra le attività umane. L’inquieta anima romantica, che avvertiva acutamente e dolorosamente il contrasto fra il mondo terreno e l’Assoluto, “si rivolgeva all’arte come alla conciliatrice di questi opposti, come al campo spirituale in cui l’Assoluto si rivela in forma sensibile” (M. Donà, “Introduzione” a “E.Th.A. Hoffmann, poeta e compositore”, p.XI).

Questo è particolarmente evidente nel personaggio di Berglinger, delineato da Wackenroder.“Questo amaro contrasto tra il suo innato etereo entusiasmo e la partecipazione alla vita terrena di ogni mortale, la quale ogni giorno ci strappa con violenza dai nostri sogni, lo tormentò per tutta la vita” (“J. Berglinger, p.116). Berglinger lamenta che ai suoi tempi la musica è diventata “un divertimento dei sensi, un piacevole passatempo”. Gli scritti di Wackenroder non lasciano dubbi sul carattere romantico della sua concezione artistica: “egli interpreta le arti muovendo dalla dimensione religiosa” (H. Besseler, “L’ascolto…”, p.87).

L’identità di musica e poesia in Novalis

Se per Friedrich Schleiermacher (1768-1834) esiste un’affinità intima tra musica e religione, religione intesa come una “religione del sentimento”, per Novalis (1772-1801) esiste un’affinità intima tra musica e poesia, molto discussa nei suoi “Fragmente”. “Tutti i suoni che la natura produce sono rudi e senza spirito; soltanto all’anima musicale il mormorio della foresta, il sibilo del vento, il canto dell’usignolo, il chioccolio del ruscello sembrano spesso melodici e pieni di significato. Il musicista cava l’essenza dell’arte da se stesso: non lo può toccare neanche il più lieve sospetto che sia un imitatore” (Frammenti, n.1120). Per Novalis solo il musicista vede ogni cosa come essa davvero si dà, ossia spazialmente; e dunque può fare-mondo, o anche, porsi come interno contrapposto a un esterno. In questo modo manifesta il suo esserci. Essere in un mondo inteso come mera oggettualità; prendere le misure e figurarsi la scena dell’esistenza; perché “le forme appaiono mediante vibrazioni incoscienti”. Ma se il musicista non può essere in alcun modo imitatore, se egli “cava l’essenza dell’arte da se stesso”, allora nessuna legge esterna può condizionarne l’immaginazione. Perciò vera musica visibile sono, per lui, “gli arabeschi, gli ornamenti”.

E.T.A. Hoffmann e la diffusione europea dell’estetica musicale romantica

La concezione romantica della musica viene esposta nel modo più completo e articolato da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), cantore dell’infinito struggimento suscitato dalla musica. Musicista egli stesso, Hoffmann riscopre il puro canto come mezzo per esprimere la devozione, componendo nel 1808 cori a cappella a quattro voci. In un’epoca dominata dalla musica di Beethoven, i romantici scoprono nel canto a cappella un mondo antitetico al classicismo. “Si realizza così l’incontro con la musica antica, mai del tutto dimenticata, ma ora riscoperta come una irrinunciabile integrazione al presente. Il nome di Palestrina diventa presto un simbolo” (E. Besseler, “L’ascolto…”, p.88).

Ma nonostante queste considerazioni, E.T.A. Hoffmann è un fine interprete della musica strumentale di Beethoven. “Hoffmann, che nei suoi scritti insiste spesso sul potere della musica di farci evadere dalle pene e dalle miserie del mondo terreno, di strapparci dalla contingenza, quale ‘voce consolatrice’ che ci sottrae ‘alle bassezze umane’, nella recensione della Quinta Sinfonia di Beethoven (1810) esplicita l’equivalenza tra la musica – la sola arte che non rappresenta sentimenti determinati ma suscita nel cuore umano quella unendliche Sehnsucht, quell’infinito struggimento’ che schiude all’ascoltatore l’arcano Dschinnistan, il regno supremo dell’Assoluto – e il romanticismo. Ciò è vero in particolar modo per la musica strumentale, la sola che possa esser considerata un’arte autonoma, e perciò, a rigore, la ‘musica vera e propria’” (Guanti, “Estetica Musicale”, p.285).

Come si vede, nell’opera di E.T.A. Hoffmann agisce in tutta la sua portata l’ambivalenza tipicamente romantica tra predilezione per il canto, in quanto veicolo di significato, e musica strumentale pura, come linguaggio privilegiato dell’arte dei suoni. “ L’arte di Beethoven ci schiude il regno del prodigioso e dell’incommensurabile. Raggi ardenti squarciano la notte profonda di questo regno, e noi scorgiamo un agitarsi e un ondeggiare di ombre gigantesche, che ci stringono sempre più da vicino e ci annientano, pur senza distruggere il dolore della nostalgia infinita, nella quale ogni gaudio, levatosi d’un sùbito in note esultanti, sprofonda e scompare: e solo in questo dolore, che – consumando in sé, pur senza annientarli, amore, speranza, gioia – pare voglia schiantarci il petto con una sinfonia a piene voci di tutte le passioni, noi continuiamo a vivere, rapiti visionari!” (E.T.A. Hoffmann, “La musica strumentale di Beethoven”).

La musica nel Romanticismo inglese

Si può solo abbozzare in questa sede un discorso sul rapporto tra il Romanticismo inglese e la musica, che potrebbe riservare molte sorprese interessanti. Innanzitutto c’è da rilevare un tema che attraversa le opere degli autori in questione, quello dello stretto rapporto tra poesia e filosofia. Samuel Taylor Coleridge (1772 – 1834), in “Metafisica Poesia” scrive: ”Nessuno è mai stato ancora un grande poeta, senza essere al tempo stesso un filosofo profondo. Per la poesia è il fiore e la fragranza di ogni conoscenza umana” .

D’altro canto Shelley dedica alla musica una lirica dal profondo significato filosofico:

Percy Bysshe Shelley

Two fragments. To music

Silver sky of the fountain of tears,

Where the spirit drinks till the brain is wild;

Softest grave of a thousand fears,

Where their mother, Care, like a drowsy child,

Is laid asleep in flowers.

No, Music, thou art not the “food of Love”,

Unless Love feeds upon its own sweet self,

Till it becomes all Music murmurs of.

Questa è la traduzione:

Argentea chiave della fontana delle lacrime,/ dove lo spirito s’abbevera finché il cervello è folle;/ soffice tomba di mille timori,/ dove la loro madre, l’inquietudine, come una bimba assonnata,/ addormentata tra i fiori./ Musica, no, tu non sei il “cibo dell’Amore”,/ a meno che l’Amore non si nutra del suo dolce essere stesso/ finché diviene tutto ciò di cui la Musica bisbiglia.

Il soggetto vocativo si trova dopo cinque versi (“Musica”), definito subito in negativo (“tu non sei”) attraverso lo smontaggio di una frase fatta (“cibo dell’Amore”), tipica della cultura romantica. Ma ritorniamo indietro: che cosa è la Musica? Una chiave argentea della fontana delle lacrime e una soffice tomba. Luccicano, questi due aggettivi, argentea della chiave e soffice, detta della tomba. Si delinea un paesaggio di fantasia. Un piccolo cimitero di campagna ornato di fiori, la fontana delle lacrime si materializza appena fuori il cancello, una giovane signora che sembra una bimba assonnata tra i fiori. Su questa scena aleggia un turbine che per un momento ha smesso la sua folle corsa: lo spirito che s’abbevera alla fontana finché il cervello è folle. Perché folle? Qui Shelley dice qualcosa di preciso: perché ha smarrito la Ratio, è lontano dal Logos, dalla Razionalità. Lo spirito attinge alla fontana della Musica nella condizione – da supporre momentanea (“finché”)- di abitante di un luogo lontano dalla razionalità. Si ricorre alla Musica finché o quando ci si trovi al di fuori della Ragione.

La Musica accudisce mille timori sollevati dalla vera e vigile vita dello spirito. Quindi è lontana dalla vera vita dello Spirito. Ha una funzione consolatoria. La terribile Inquietudine sembra una bimba assonnata tra i fiori. La Musica non è neppure il “cibo dell’amore”. Quindi, oltre ad essere lontana dalla Ragione è lontana anche dal Sentimento. La conclusione è introdotta da un : “a meno che”. Ecco cosa concede Shelley alla Musica. La Musica bisbiglia qualcosa in lontananza: non possiede Ragione né Sentimento. Un essere del genere non può parlare, non può far altro che “bisbigliare”; infatti, non è la dimora dello Spirito. D’altra parte è qualcosa che fa riferimento esclusivamente a se stesso. Ha una precisa autonomia. Non ha funzione mimetica rispetto a una presunta realtà. Allora l’Amore potrà somigliarle, nel momento in cui si nutrirà di se stesso, come la musica. La Musica bisbiglia cose che vengono prima del linguaggio, in una maniera incomprensibile a chi abita questo linguaggio e in virtù di una spirale di senso che gira esclusivamente intorno a se stesso.

La follia romantica

Una sorta di follia cominciava a pulsare furtiva in esperienze ormai dichiaratamente insufficienti a esprimere “la meta”. Il fenomeno cominciava a dilagare nel magico mondo del Romanticismo ottocentesco. William Blake descrisse una visione maniacale avuta dal poeta William Cowper. Ma anche Gérard de Nerval, verso la metà del secolo, fece propria un’idea di follia intesa come eccezionale condizione energetica e creativa. Il poeta Friedrich Hoelderlin terminò la sua vita quasi completamente schizofrenico. Lo scrittore e drammaturgo Heinrich von Kleist mise fine ai suoi giorni con un patto suicida e Clemens Brentano fu afflitto da una psicosi di carattere religioso e da una depressione grave quanto quelle di Cowper. Anche il pianista e compositore Robert Schumann, forse l’ultimo dei Romantici, “fu ossessionato, sin dall’età di diciassette anni, dalla paura di diventare pazzo. Solo alla fine della sua breve vita, comunque, questi timori si tradussero in realtà: nel 1854, all’età di quarantaquattro anni, due anni prima della morte, si rinchiuse volontariamente in un manicomio”.

Il timore reverenziale di fronte al mistero è il nuovo atteggiamento di fondo dei romantici. “Il suo manifestarsi in musica è stato indagato nell’ambito specifico del ritmo, e precisamente nella risonanza prodotta dalla vibrazione per simpatia. Il compositore romantico si caratterizza per una pura visione interiore, che conduce al mondo della fantasia e assorbe tutte le sue forze. Quanto viene scrutato nell’interiorità è in armonia con le atmosfere di natura mediante un’unione mistica con il mondo”. (H. Besseler, “L’ascolto…”, pp.91-92)

L’estetica idealistica e la musica, I:

L’estetica musicale di Friedrich Schelling

L’Idealismo riporta in filosofia alcune suggestioni del Romanticismo, ma trasformandole profondamente. L’Idealismo pretende di sistemare, di condurre e inquadrare in un sistema quello che per i Romantici era apertura verso l’infinito. Da parte sua, Schelling riscopre la magia e quella vena sotterranea legata all’esoterismo che attraversa tutta la filosofia a partire dai neoplatonici del Rinascimento. “L’estetica musicale di Friedrich Schelling (1775-1854) affonda le radici in una Naturphilosophie teleologicamente o-rientata, che rifiuta il meccanicismo deterministico settecentesco per ritrovare il mondo magico di Paracelso e Boehme e il vitalismo dinamico di Leibniz” (G.Guanti, “Est. Mus.”, p.292).

La “Filosofia dell’arte”, l’opera postuma contenente le lezioni tenute da Schelling tra il 1802 e il 1805 prima a Jena e poi a Wuerzburg, rappresenta il grandioso tentativo di dedurre esteticamente l’universo attraverso la funzione plasmatrice dell’Idea divina, elemento platonico che sa recuperare il momento teogonico (presente in ogni produzione organica, in sommo grado in quella mitologica. “In essa la musica entra in una complessa rete di relazioni con tutte le altre forme d’espressione artistica” (G.Guanti, “Est. Mus.”, p.292).

L’estetica idealistica e la musica, II:

La musica nell’estetica di Hegel

E’ nell’opera di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) che possiamo vedere l’apice dell’Idealismo filosofico. Il filosofo tedesco inquadra in un sistema generale, tentativo che era stato già del suo predecessore Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), tutti gli spunti e le tensioni speculative dell’epoca. Nelle sue “Lezioni di Estetica” tenute a più riprese a Berlino, la musica occupa un ben preciso ruolo. “Nella musica l’’io non è più distinto dal sensibile stesso, i suoni scorrono nel mio interno più profondo. A essere coinvolta e a essere posta in movimento è la più intima soggettività stessa. Ed è questo a costituire il potere dei suoni in genere. E’ il soggetto come tale a essere presente in questa sua estrinsecazione, e non si mantiene di contro ad essa” (Lezioni di Estetica, p.255). Sono parole delle Lezioni di Estetica, appunto, nelle quali Hegel assegna alla musica un ruolo di estrema rilevanza all’interno del suo sistema. Come Schopenhauer, Hegel sottolinea la funzione centrale dell’elemento ‘tempo’ in relazione alla nostra esperienza. Una definizione pregnante di cosa sia la musica Hegel la pronuncia nelle sue Lezioni universitarie del 1823. Se Schopenhauer precisava che la percezione della musica “si effettua unicamente nel tempo e per mezzo del tempo, e che lo spazio, la causalità e quindi l’intelletto non vi hanno la minima parte”, Hegel scrive: “Nella pittura dunque da un lato è necessaria la figura, dall’altro a esserle propria è la magia dei colori. L’oggettivo, per dir così, già si invola, e l’effetto non avviene quasi più attraverso qualcosa di materiale. Nella musica, l’arte passa interamente dal lato soggettivo. Essa è da una parte l’arte del più profondo sentimento, dall’altro l’arte dell’intelletto freddo e rigoroso” (“Lezioni di Estetica”, 1823, p.254).

Ma, mentre per Schopenhauer la musica è l’ultima, la più alta delle espressioni artistiche, in Hegel quest’arte, pur superiore all’architettura, alla scultura e alla pittura, manca comunque del contenuto, “ed ha la sua determinatezza in semplici rapporti numerici, cosicché il qualitativo del contenuto spirituale non può essere completamente espresso nella sua determinatezza qualitativa del suono”. Essa abbisogna dunque della poesia, ovvero della parola, per compiersi adeguatamente.

D’altro canto, per Hegel, anche la dimensione temporale, che pur viene individuata come propria del linguaggio musicale, manca in quanto tale di qualcosa, perché essa, condannando per ciò stesso la musica a un’esistenza solo momentanea, “ha bisogno di una riproduzione sempre ripetuta”. Il pezzo di musica deve essere sempre di nuovo suonato per vivere nella nostra coscienza, altrimenti incontra il silenzio.

La reazione anti-idealistica, I:

Arthur Schopenhauer e la musica come “volontà che si oggettiva”

Arthur Schopenhauer (1788-1860) esordisce pubblicando nel 1814 la sua tesi di laurea: “Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente”. Pubblica in seguito “Sulla vista e sui colori” (1816) e nel 1818, ma con la data dell’anno successivo, il suo capolavoro: “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung). E’ stato detto più volte, e giustamente, che Schopenhauer si pone come punto d’incontro (o di scontro) tra esperienze filosofiche eterogenee: Platone, Kant, l’Illuminismo, il Romanticismo, l’idealismo e la spiritualità indiana. Ma la sintesi che ne scaturisce nella sua opera principale è nuova e originale.

Dal Romanticismo Schopenhauer trae alcuni temi di fondo del suo pensiero, come ad esempio l’irrazionalismo, la grande importanza attribuita all’arte e alla musica, e soprattutto il tema dell’infinito, cioè la tesi della presenza nel mondo di un principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni contingenti. Altro motivo indubbiamente romantico è quello del dolore; tuttavia, mentre sul piano filosofico il Romanticismo mostra una tendenza globalmente ottimistica, che si concretizza in un tentativo di dialettizzare e riscattare il negativo tramite il positivo (Dio, lo Spirito, la storia, il progresso, ecc.), Schopenhauer appare invece decisamente orientato a una visione pessimistica della realtà, di cui è uno dei maggiori teorici.

“La musica – scrive Schopenhauer – è dell’’intera volontà oggettivazione e immagine, tanto diretta com’è il mondo; o anzi, come sono le idee: il cui fenomeno moltiplicato costituisce il mondo dei singoli oggetti. La musica non è quindi punto, come le altre arti, l’immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa, della quale sono oggettività le idee. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quello delle altre arti: imperocché queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza. Essendo dunque la medesima volontà che si oggettiva, tanto nelle idee quanto nella musica, ma solo in modo affatto diverso, deve trovarsi non proprio una diretta somiglianza, ma tuttavia un parallelismo, un’analogia tra la musica e le idee, delle quali è fenomeno molteplice e imperfetto il mondo visibile” (“Il mondo come volontà e rappresentazione”, II:346-347).

La reazione anti-idealistica, II:

Kierkegaard e il “Don Giovanni” di Mozart: la definizione di “demoniaco”

Soren Kierkegaard (1813-1855), che si riteneva un ascoltatore “fornito solo di un orecchio innamorato”, cioé non un intenditore, demanda all’ascolto della musica, e a quella di Mozart in particolare, la verifica della sua riflessione sui grandi temi dell’eros, della seduzione e del piacere.

La prima parte di Enten-Eller (conosciuta in Italia come “Aut-aut”), (1843) comprende una minuta analisi del “Don Giovanni” mozartiano, che resterà per Kierkegaard l’opera “classica” per eccellenza. La seduzione musicale, che si sostanzia in Don Giovanni – così come il suo opposto complementare, la seduzione spirituale raffigurata da Faust – rappresentano per il filosofo danese “polarizzazioni interne al momento estetico, effetti e sintomi della sua insussistenza ontologica, non certo cause” (G.Guanti, Est.mus., p. 316). Compete alla musica esprimere ciò che “non può essere espresso nel linguaggio”, e che è “spiritualmente determinato in modo da cadere al di fuori dello spirito e dunque al di fuori del linguaggio”.

Per Kierkegaard “il significato della musica si mostra nel suo pieno vigore, ed essa come un’arte cristiana in senso forte, o meglio, come l’arte che il cristianesimo pone nel mentre la esclude da sé, come medio di quel che il cristianesimo esclude da sé e perciò pone: O in altre parole, la musica è il demoniaco, e nella genialità erotica sensuale ha il suo oggetto assoluto” (Aut-aut). Ed è proprio il “Don Giovanni” mozartiano il luogo in cui Kierkegaard incontra e definisce uno dei temi centrali della sua filosofia: l’angoscia. “In quella luce lampeggiante si muove qualche cosa come l’angoscia; così è la vita di Don Giovanni. Nella sua anima si muove un’angoscia, la quale però è in stretta connessione con l’energia della sua essenza, anzi è tutt’uno con essa”. (Aut-aut).

La musica fra Neo-criticismo e Positivismo

I.1: Il Positivismo sociologico ed evoluzionistico

Se nelle opere di Karl Marx e nel marxismo troviamo solo sporadiche annotazioni relative alle arti e alla musica, nel Positivismo invece la riflessione si fa intensa e produce risultati non indifferenti in questo campo.

Il Positivismo sociale, attraverso le opere dei suoi autori più rappresentativi, stila una lunga casistica di quello che ritiene positivo (ciò che è reale, effettivo, sperimentale). Positivo è anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che è inutile e ozioso. La cononscenza scientifica è l’unica conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico valido. La filosofia, secondo questo indirizzo, tende a coincidere con l’enunciazione dei principi comuni alle varie scienze. Poiché il metodo della scienza è l’unico valido, va esteso a tutti i campi di indagine, compresi quelli relativi all’uomo e alla società (sociologia). Il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo strumento per una riorganizzazione globale della vita in società che consenta di superare la crisi e le fratture causate dall’irrompere della modernità industriale e sociale. Il Positivismo della seconda metà del secolo appare, per l’appunto, come la filosofia della moderna società industriale e tecnico-scientifica. Esso rappresenta l’ideologia della borghesia liberale dell’Ottocento, l’ideologia dellaborghesia trionfante dopo la Rivoluzione francese e in impetuosa ascea. Intende presentarsi come un riformismo consapevolmente anti-rivoluzionario.

Il fondatore in ambito francese è Auguste Comte (1798-1857), con il suo “Corso di filosofia positiva”, di cui nel 1830 esce il primo volume e successivamente gli altri cinque, fino al 1942. La sociologia per Comte deve costituirsi nella stessa forma delle altre discipline e concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendono possibile la previsione, sia pure nei limiti della loro complessità. Estetiche dell’arte in ambito positivistico e sulla scia delle opere di Comte si hanno ad opera di I.Taine, “Philosophie de l’art”, 1865 e Lipps, “Aesthetik. Pshychologie des Schoenen und der Kunst”, 1903-06.

L’indirizzo evoluzionistico del Positivismo consiste, da una parte nell’assumere il concetto di evoluzione quale fondamento di una teoria generale della realtà e, dall’altra, nello scorgere nei processi evolutivi la manifestazione di una realtà – soprannaturale e metafisica – infinita e ignota.

Charles Darwin (1809-1882), la cui opera “L’origine delle specie” (1859), ha segnato un’epoca, ne “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” (1872) vede nel canto un fenomeno parallelo alle grida animali e, come queste, lo ritiene collegato originariamente all’’impulso sessuale: “l’uomo non avrebbe dunque necessariamente imitato gli animali ma piuttosto, spinto egli stesso dall’impulso sessuale, avrebbe sviluppato il canto a partire dal primigenio richiamo dell’accoppiamento” (G. Guanti, “Estetica musicale”, pp. 376-77).

Cercando di spiegare, invece, la musica come linguaggio fisico-naturale che coinvolge la molteplicità delle passioni, Herbert Spencer (1820-1903) riprende la teoria “dell’origine logogenica e patogenetica del linguaggio (…) Secondo questa teoria, in origine il linguaggio includeva elementi sia intellettivi che emotivi che più tardi si separarono. La musica e il canto deriverebbero dallo sviluppo indipendente e unilaterale degli elementi emotivi”. (G. Guanti, Estetica musicale, p. 377).

La musica fra Neo-criticismo e Positivismo

I.2: La nascita della psicologia sperimentale e la sua influenza sulla musicologia

Se la sociologia scientifica nasce e si sviluppa soprattutto in Francia sotto il segno del Positivismo, la psicologia scientifica nasce e si sviluppa soprattutto in Germania a contatto con scienze in rapido progresso come la fisica, la biologia, l’anatomia e la fisiologia. La genesi della psicologia scientifica è legata soprattutto ai nomi di Ernst Heinrich Weber (1795-1888), Gustav Fechner (1801-1877), autore di una “Vorschule der Aesthe-tik”, 1871-76, Hermann von Helmholtz (1821-1894), Wilhelm Wundt ( 1832-1920).

E’ specialmente Wilhelm Wundt a venire tradizionalmente considerato come il primo psicologo sperimentale. Per lui l’oggetto della psicologia è costituito dai dati di esperienza che occorre analizzare nei loro elementi. E questi elementi sono processi mentali, cioè atti ovvero operazioni o attività psicologiche, delle quali il ricercatore deve determinare le leggi che presiedono al loro svolgimento, come è il caso della legge di causalità psichica (che è diversa da quella della causalità fisica, giacché non regola oggetti ma processi che portano a sintesi creatrici) o quella delle relazioni psichiche (stando alla quale un contenuto di coscienza assume significato nella o dalla relazione con gli altri contenuti di coscienza).

La musica fra Neo-criticismo e Positivismo

II: Il neo-criticismo e l’estetica anti-romantica di Eduard Hanslick

Nel 1854 compare un’opera di Eduard Hanslick (1825-1904) che segnerà una tappa im-portante sul cammino della nascente Scienza della musica: “Il bello musicale. Contributo alla revisione dell’estetica musicale”. Questo testo diventa subito il principale riferimento di ogni estetica musicale antiwagneriana e antiromantica. “Punto di partenza di Hanslick, formatosi su Hegel e i post-hegeliani ma soprattutto sulla kantiana Critica del giudizio e sull’estetica formalista di Herbart è l’augurio che anche l’indagine estetica adotti il metodo delle scienze naturali.

Scrive Hanslick: “L’impulso verso una conoscenza il più possibile obiettiva delle cose, che nella nostra epoca agita tutti i campi del sapere, deve necessariamente toccare anche l’indagine del bello. Quest’ultima potrà se-guirlo soltanto abbandonando un metodo che parte dal sentimento soggettivo per ritor-nare, dopo una poetica scorsa per tutta la periferia dell’oggetto, di nuovo al sentimento. L’indagine del bello, se non vuol diventare illusoria, dovrà avvicinarsi al metodo delle scienze naturali almeno tanto da tentare di cogliere le cose nel loro nocciolo e di ricercare che cosa in esse vi sia di duraturo, di obiettivo, una volta che si prescinda dalle mille diverse e mutevoli impressioni. La poesia e le arti figurative sono molto più avanti della musica nella loro indagine e motivazione estetica a questo riguardo. I loro esteti hanno per la maggior parte ormai evitato l’errore di credere che l’estetica di una determinata arte si possa ricavare da un puro e semplice adattamento del concetto generale metafisico del bello (il quale in ogni arte subisce una serie di nuove differenziazioni). La servile dipendenza delle estetiche particolari dal supremo principio metafisico di un’estetica generale va sempre più cedendo di fronte alla persuasione che ogni arte vuol essere co-nosciuta nelle sue proprie particolarità tecniche e conosciuta in se stessa. Il ‘sistema’ va a poco a poco cedendo il posto all’’indagine’, e questa s’attiene al principio che le leggi del bello in ogni arte sono inseparabili dalle caratteristiche particolari del suo materiale, della sua tecnica”. Come si può notare, siamo su un terreno radicalmente diverso rispetto a ogni possibile estetica romantica. Dal punto di vista hanslickiano ormai l’indagine musicologica è ormai irreversibilmente un’indagine “scientifica”.

La musica del pensiero negativo. Nietzsche

Ma proprio quando il campo sembra saldamente in mano a neo-criticisti, formalisti e positivisti si staglia una figura che rimetterà tutto in discussione, Friedrich Nietzsche (1844-1900). E’ nota l’attenzione del filosofo tedesco all’arte, attenzione che attraversa tutta la sua opera. Nella suddivisione della sua filosofia in tre periodi (opere giovanili; pensiero genealogico o decostruttivo da “Umano, troppo umano” alla “Gaia scienza”; filosofia dell’eterno ritorno, che comincia con “Zarathustra”), che è certamente solo uno schema, e come tale non va sopravvalutato ma che è comunque largamente accettato, implicitamente o esplicitamente, dagli interpreti, l’arte ha un ruolo importante soprattutto nelle opere giovanili. Per Nietzsche, come scrive ne “La nascita della tragedia” (1872), l’arte è la sola forza capace di rendere sopportabile l’esistenza.

“Se Wagner ha sviluppato sino alle estreme conseguenze il concetto herderiano dell’unione originaria di poesia e musica, Nietzsche – nonostante il suo rifiuto del Romanticismo come sintomo di decadenza, il suo distacco dal Wagner del “Parsifal” nostalgico del cristianesimo, e il suo entusiasmo per la chiarezza mediterranea e solare della carme di Bizet – ha sviluppato il principio già presente in Wackenroder di un assoluto privilegio e autonomia della musica pura strumentale. Scopritore della musica come ideologia dell’inconscio (Adorno) vincolata a un pessimismo che ancora in Schopenhauer stava in un rapporto ambiguo con la società, e che non a caso fu attenuato dià nell’ultimo Wagner, Nietzsche ha polemizzato inoltre contro la nascente estetica musicale positivistica imbevuta di neokantismo, riprendendo e approfondendo un motivo già accennato da Heine e poi ripreso da Spengler nel “Tramonto dell’Occidente”: la consapevolezza che una civiltà giunta alla fine ha nella musica la sua espressione emblematica, come annuncio del crollo imminente” (G. Guanti, Estetica musicale).

Due grandi musicisti definiscono nelle loro opere la messa in crisi della tradizione, in parallelo alla messa in crisi della tradizione filosofica operata da Nietzsche: Claude Debussy e Gustav Mahler. “Io cerco di dimenticare la musica in quanto essa ostacola la mia comprensione di quello che ancora non conosco, o che conoscerò ‘domani’… Perché legarsi a quel che si conosce anche troppo?”. Chi pone questa domanda è Claude Debussy (1862-1918) nel suo libro “Monsieur Croche” antidilettante”. “Se alcuni decenni prima con Brahms era nata la coscienza storica del musicista, in una manipolazione sapientissima del materiale sonoro, con Debussy nacque la critica alla storia stessa, la critica all’idea di cultura, di razionalità, di progresso, in un pensiero parallelo a quello di un grande filosofo: Friedrich Nietzsche” (P. Repetto, “Il sogno di Pan”, p.45).

Dall’altra parte Mahler ha rappresentato – come ha scritto T.W.Adorno – “la precoce consapevolezza del fatto che la cosiddetta tradizione aveva perso la sua normatività”. Capace di arcane melodie, per seguire ancora Adorno, Mahler si sarebbe fatto alfiere di un linguaggio musicale “profondamente frantumato”. L’uomo frantumato, per Nietzsche, è l’uomo del passato; ma lo è anche in un altro senso: perché è l’uomo che si infrange sotto il peso del macigno del passato e del “così fu”, contro cui la volontà non può nulla, e si vendica infliggendo a sé e agli altri ogni genere di sofferenze, quelle che costituiscono la crudeltà della morale, della religione, dell’ascesi. Con Mahler quindi crolla l’ideale romantico dell’originalità, “perciò Mahler non disdegnava di prendere a prestito temi altrui, utilizzando determinati schemi formali per sconfessarli nell’atto stesso di servirsene. Insomma, egli sembrava voler lasciar passare (…) l’incondizionato tout court. Come per consentirgli di scorrere liberamente e irrompere imprevisto, disturbante, sì da frantumare la logica consequenziale chiamata in causa da qualsivoglia idea musicale” (M.Donà, Filosofia della musica, p.121).

E’ la fase nichilista del pensiero europeo. Non si dimentichi, però, che Nietzsche attribuisce al nichilismo un duplice senso: un senso passivo o reattivo, nel quale il nichilismo riconosce l’insensatezza del divenire e di conseguenza sviluppa un senso di perdita, di vendetta e di odio per la vita; e un nichilismo attivo che è proprio dell’oltreuomo, il quale si installa esplicitamente nell’’insensatezza del mondo dato per creare nuovi valori.

Bibliografia:

Opere di carattere generale

Heinrich, Besseler, L’ascolto musicale nell’età moderna, Il Mulino, Bologna 1993.

Massimo Donà, Filosofia della musica, Bompiani, Milano 2006.

Giovanni Guanti, Estetica musicale, La Nuova Italia, Milano 1999.

P. Repetto, Il sogno di Pan. Saggio su Debussy, Il melangolo, Genova 2000, p.45.

T.W.Adorno, Mahler. Discorso commemorativo di Vienna, in Immagini dialettiche. Scritti musicali 1955-65, Einaudi, Torino 2004.

Opere dedicate alla Filosofia della musica nell’Ottocento

-W.H.Wackenroder, Herzensergiessungen eines Kunstliebenden Klosterbruders; “La singolare vita musicale del compositore Joseph Berglinger” (Das merkwuerdige musi-kalische Leben des Tonkuenstlers Joseph Berglinger), in W.H.Wackenroder, “Scritti di poesia e di estetica”, Intr. e trad. di Bonaventura Tecchi, Sansoni, Firenze 1967.

-E.Th.A. Hoffamann, poeta e compositore, Scritti scelti sulla musica, a cura di Marian-gela Donà, Discanto, Fiesole 1985

-Hegel, “Lezioni di estetica”, Corso del 1823 nella trascrizione di H.G.Hoto, Traduzione e Introduzione di Paolo D’Angelo, Laterza, Bari 2000.

Monsieur Croche” antidilettante”, (trad.it. “Il signor Croche antidilettante”, traduzione e note di Luigi Cortese, SE, Milano 2000).

Antonio De Lisa

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