La nascita della musica elettronica
di Antonio De Lisa
E’ con l’uso di mezzi elettronici nella produzione del suono che entriamo in rapporto con la dimensione dell’artificiale. Si può fissare un periodo abbastanza preciso, preceduto da tutta una serie di tentativi, che va dal 1950 al 1964. Questo asse registra la fase di passaggio dalla musica elettronica alla computer music.
La possibilità di fare musica con una macchina era stata aperta nel 1906 da Thaddeus Cahill, uno scienziato canadese con il suo “Telharmonium”. In seguito l’esiliato russo Leon Theremin proporrà il suo “Theremine”, il francese François Maurice Martenot le sue “Ondes Martenot”, utilizzate da Varèse insieme a due “Theremine” nel suo Ecuatorial, il tedesco Friedrich Trautwein il suo “Trautonium”.
Nel 1958 la Philips, una fabbrica olandese di apparecchiature elettroniche, commissiona a Le Corbusier la progettazione di un padiglione alla Fiera di Bruxelles tale che fosse “una poesia dell’età elettronica”. L’architetto franco-svizzero invita Varèse a scrivere la musica per una fantasia di luci, colori, ritmi e suoni lunga otto minuti. Nelle intenzioni quella musica doveva rappresentare la “genesi del mondo”. Nasce così il Poème électronique, nastro a tre tracce (1958). Varèse, che ha settantatre anni, compone la maggior parte della musica direttamente su nastro magnetico. Con un generatore di impulsi vengono creati suoni di tamburo; una voce naturale di ragazza viene trattata elettronicamente. L’architettura sonora prevede la distribuzione dei suoni su quattrocento altoparlanti, che sono disposti in modo tale da creare un senso di dimensione spaziale. Lo spettatore può ascoltare il brano nella sua interezza indipendentemente dal momento dell’arrivo, semplicemente attraversando il padiglione. La musica diventa multidimensionale: non prevede più un ascolto frontale e si annullanno i marcatori di tempo di inizio e fine.
Nel 1950 Pierre Schaeffer insieme a Pierre Henry, a Parigi, produce un pezzo di musica, Symphonie pour un homme seul, interamente “concreto”, come lo definiva, basato su vari tipi di modificazione di suono vocale – respirazione, scoppi di riso, fischi, parlato- combinati con altre trasformazioni di suono orchestrale. Gli americani Vladimir Ussachevsky e Otto Luening danno vita a partire dal 1951 alla Columbia University di New York a un esperimento diverso, sia pure in un comune contesto sperimentale, come per esempio in Trasposition e Reverberation, del 1952, trasformando in studio dei suoni di pianoforte.
Karlheinz Stockhausen nel 1953, nello studio di Colonia, fornisce il primo esempio, con Studio I , di un pezzo interamente ed esclusivamente elettronico, basato su una tecnica di sintesi additiva che consiste nel combinare singole onde sinusoidali pure a partire da una fondamentale per creare una struttura artificiale di armonici e quindi di timbri. Con questo mezzo la materia sonora viene inventata dal nulla e il rapporto percettivo in una prima istanza può essere molto problematico.
Se si osserva la partitura del successivo Studio II (1954) dello stesso Stockhausen, il primo esempio di pubblicazione di una partitura di musica elettronica, si vedono quadrati e rettangoli che indicano i rapporti di frequenza degli armonici, triangoli che ne definiscono le dinamiche. Stockhausen, due anni dopo, nel 1956, resosi conto di certe insufficienze legate alla mancanza di profondità sonora insita nella tecnica additiva, verrà meno al suo purismo mescolando suoni di sintesi e suoni concreti, questi ultimi basati sulla voce di un bambino e facendo ruotare i suoni nello spazio attraverso cinque altoparlanti indipendenti che diffondevano la musica intorno all’ascoltatore. Questo pezzo è il celebre Gesang der Jünglinge (1956). Si può dire che con questo lavoro il processo compositivo viene immaginato in diretto contatto con uno sfondo emozionale, proprio nella sua tensione a farsi carico dello spazio della materia.
Intanto Bruno Maderna, sempre nello studio di Colonia, nel 1952 aveva creato il primo esempio, con Musica su due dimensioni per flauto, percussione e nastro, di una commistione diretta di suoni su nastro e suoni tradizionali, che in seguito, col live electronics avrà grande sviluppo.
Nel 1957 Max V. Matthews sviluppa nei Bell Laboratories in New Jersey il primo programma capace di generare suoni musicali che culminerà, dopo una serie di aggiustamenti, nel Music V. Il programma viene implementato su computer prima alla Princeton University nel 1964 e più tardi nella Stanford University. Nello stesso anno, il 1964, viene aperto il primo studio di computer music in Europa, precisamente a Utrecht, in Olanda. Si direbbe che si sia avverato il sogno di Varése, la cui opera interamente elettronica è del 1958 (Poème électronique), di realizzare nuovi strumenti per un nuovo pensiero musicale. Ma come spesso succede, i sogni si realizzano trascendendo il modello originale. Nel 1963 Iannis Xenakis scrive il suo Formalized Music, l’atto di nascita del pensiero compositivo algoritmico, nutrito al fondo da due assunti di base: una nuova alleanza tra musica e scienza, la messa in parentesi di un modello di pensiero compositivo non formalizzato.
La musica in questo quindicennio entra nel dominio tipicamente moderno dell’artificiale. Questi continui punti di biforcazione trasformano il linguaggio della musica e il modo in cui la percepiamo. Immaginiamo un grafico, due cerchi che si intersecano, al primo diamo l’etichetta di natura, al secondo di tecnologia, il punto di intersezione è il dominio dell’artificiale, come intersezione di natura e tecnica. Popper diceva che “non solo noi agiamo nel mondo 3 – il mondo delle teorie e delle opere- ma che il mondo 3 a sua volta agisce su di noi”. I compositori agiscono sul linguaggio per mezzo di una tecnica, ma questa poi retro-agisce influenzando e modificando il linguaggio. Nella manipolazione dello spettro di un suono, per esempio, si osserva che la risposta allo stimolo varia al variare dello stimolo stesso perché questo si presenta in modo sempre diverso; in questo caso i compositori avranno prodotto – singolarizzando gli elementi in un pulviscolo – un fenomeno di de-sintatticizzazione, che incide e perturba uno schema simmetrico e direttivo proprio del senso comune di cui si diceva.
L’altra esperienza importante è quella della spazializzazione. Quando i compositori movimentano il suono in modo da farlo girare nello spazio, noi non potremo dire che abbiano agito sulla tecnica, dovremo piuttosto riconoscere che, attraverso la tecnica, abbiano agito sul linguaggio, dato che hanno reso ellittica o circolare o caotica una dimensione che prima, basandoci solo sulle altezze orientate da un ritmo, immaginavamo e percepivamo come lineare. Agendo su questi elementi, i compositori agiscono direttamente sul senso delle cose che ne costituiscono la trama.
Non siamo soltanto – come potrebbe sembrare –in un ambito relativo al timbro come dimensione dominante della musica novecentesca. L’esaltazione del timbro è una conseguenza di un processo più profondo relativo all’entrata nel microcosmo del suono, nelle “pieghe” della natura (Deleuze), alla ricerca di una nuova ars subtilior, capace di parlare insieme alla sensibilità e all’intelletto. Il “nuovo inizio” di cui parlava Busoni: la nuova arte cognitiva dei suoni. Questa non occupa la scena centrale della musica contemporanea, affollata piuttosto di altre rumorose presenze. Infatti, “tra gli effetti della propagazione del bello nel quotidiano vi è l’abbassamento della sua tradizionale pretesa alla durata, al desiderio di rappresentare qualcosa ‘più perenne del bronzo’. Sorgono così opere d’arte dichiaratamente effimere, anche in ragione della voluta deperibilità o instabilità dei loro supporti materiali, come in certe sculture fatte di schiuma e sapone oppure di sabbia esposta al vento. Inutile deprecare tali tendenze, che sottolineano, tra l’altro, aspetti caratteristici della sensibilità contemporanea, tesa ad accentuare la natura di object ambigu dell’opera d’arte in un mondo in cui l’esperienza si serializza o si riscrive velocemente, incentrandosi spesso su singoli ‘eventi’ discontinui e virtualmente destoricizzati, che subiscono trasformazioni infinite, analoghe a quelle di cui è passibile un testo elaborato al computer “ (Bodei), ma è qualcosa cui sembra tendere quella figura di compositore capace di riannodare e riarticolare il rapporto con la fisica della realtà. Una fisica (e una logica) che oggi non temono di entrare sul terreno scivoloso dello “sfumato”, del “qualitativo”, della logica non più binaria, quel terreno che tanti problemi provoca agli stessi matematici e ai fisici.
Ascolti
“Karlheinz Stockhausen nel 1953, nello studio di Colonia, fornisce il primo esempio, con Studio I , di un pezzo interamente ed esclusivamente elettronico, basato su una tecnica di sintesi additiva che consiste nel combinare singole onde sinusoidali pure a partire da una fondamentale per creare una struttura artificiale di armonici e quindi di timbri.”
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
MUSICA DEL NOVECENTO
Per una bibliografia ragionata degli argomenti trattati in questo intervento mi sia consentito rinviare al mio “Avanguardie alternative. Il Novecento musicale degli irregolari e degli isolati”, in Sonus – Materiali per la musica moderna e contemporanea, Fascicolo 20, Dicembre 2000.
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